The Imitation Game: Recensione in Anteprima
Il biopic su Alan Turing diventa realtà. Tuttavia nemmeno un buon Benedict Cumberbatch consente a The Imitation Game di far breccia come avrebbe potuto
Durante la Seconda Guerra Mondiale i tedeschi progettarono una macchina, Enigma, che permettesse loro di comunicare indisturbati, senza che nessuno potesse decifrarne il contenuto. Beh, in realtà qualche possibilità c’era, nell’ordine di 159,000,000,000,000,000,000. A questo si aggiungeva un ulteriore moltiplicatore di difficoltà: ogni ventiquattrore esatte, la macchina azzerava automaticamente i vecchi codici per rimpiazzarli con altri. E così via, ogni giorno.
Gli Alleati compresero presto che decifrare quei messaggi avrebbe spostato pesantemente l’ago della bilancia, perciò “familiarizzare” con Enigma e renderla accessibile divenne una priorità. Entra in scena qui un introverso matematico, esperto in materia, il maggiore nel Regno Unito. Alan Turing. Ed è su tale impegno che The Imitation Game si sofferma, ricostruendo a suo modo una vicenda tra le più rilevanti del XX secolo.
No, non siamo forzatamente altisonanti: l’apporto di Turing non solo permise agli Alleati di mettere a segno uno dei fendenti più profondi, bensì diede anche il là a quel marchingegno che di lì a qualche tempo avrebbe preso il nome di computer. Per un settore che da sempre si è sentito naturalmente attratto dalle biografie di uomini illustri, dal Napoleone (1927) di Abel Gance in giù, poter parlare di Turing era divenuta pressoché una necessità. Perché non lo si è fatto allora?
È una domanda alla quale non sapremo come altro rispondere se non con il classico, inflazionato «forse i tempi non erano maturi». Sarà. Ma a ben vedere la storia del suddetto è tormentata, oltre che scoprire un nervo non da poco per i giorni nostri, ovvero la legge britannica che condannava gli atti omosessuali, sodomia in primis, equiparandoli a crimini. Cronaca vuole che fu questo il motivo per cui, nel giugno del ’54, Alan Turing si suicidò.
Quanta carne al fuoco! Geopolitica, storia, sociologia, tecnologia e chi più ne ha più ne metta. Fare un film su Turing non era affare semplice. Finché non è venuta fuori la biografia di Andrew Hodges, Alan Turing: The Enigma, ed allora sembrava che fosse arrivato il momento. Più interessante appare la scelta di Morten Tyldum alla regia, per un film di questa portata. Ma in fondo, forse, tutto questo bisogno di nomi blasonati dietro la macchina da presa non c’era; e la visione del film conferma il perché.
The Imitation Game è essenzialmente diviso in tre parti: la prima, che è anche quella che il film privilegia, risale agli anni della Guerra, quella in cui Alan ed il suo gruppo lavorano alla macchina che servirà a “scardinare” Enigma; la seconda riguarda l’ultimo periodo della sua vita, a Guerra archiviata, così come lo stesso Turing, tenuto sotto scacco perché oramai la sua omosessualità è nota a chi di dovere, ed il diretto interessato evidentemente sa troppo; la terza, per certi aspetti la più riuscita, riguarda l’infanzia/adolescenza e l’amicizia con Christopher, unico vero amico che Alan abbia mai avuto, tanto da restarne segnato a vita.
Il punto è che The Imitation Game scorre con una tale placidità, come se fosse avulso dalle vicende che mostra, da lasciare interdetti. Alan, il protagonista, viene in qualche modo miniaturizzato, reso un semplice nerd ante litteram col complesso di Peter Pan, per cui entrare nel mondo degli adulti è semplicemente inaccettabile. Eppure Cumberbatch le prova tutte pur di risollevare le cose, ma neanche lui può nulla dinanzi ad un contesto in cui ciò che di più interessante avremmo dovuto cogliere riguardo a questo personaggio, viene prudentemente lasciato dentro a un cassetto.
In molti gridano già all’operazione-King’s Speech (Il ritorno del Re), aggiungendo: trattasi un mero «acchiappa-Oscar» di siffatta risma. Ma sebbene possano sembrare troppo nette, forse pure un pelo ingenerose, certe esternazioni trovano il loro fondamento in un film sorprendentemente piatto, a tratti mero compitino da portare a casa per far contenti genitori e maestri. Due elementi chiave della vita di Turing, ben distinti l’uno dall’altro, ovvero il suo genio matematico e la sua omosessualità, attraversano la scena come se niente fosse, fantasmi di una storia che li considera solo e soltanto quando li evoca a esplicitamente. Quando poi alla fine ci si concede pure l’immancabile svolta gay-friendly, allora anche quel po’ che si era riuscito a costruire grazie esclusivamente alle prove di alcuni attori (Cumberbatch e la Knightley su tutti) comincia a sgretolarsi: allo scenario viene sottratto pure quel briciolo di consistenza, con Alan esposto a santino contemporaneo (pure un po’ stupidotto sinceramente), laddove invece la sua tragedia avrebbe senza alcun dubbio meritato tutt’altro argomentare.
Dicevamo dei flashback relativi a quando il noto matematico è ragazzino, che rendono nella misura in cui li si considera a sé stanti, per nulla sorretti dalle vicende inerenti ad altri periodi della vita di Turing, da qualunque prospettiva la si guardi. Pensiamo pure al discorso inerente al ruolo che Alan ebbe in rapporto alla risoluzione del secondo conflitto mondiale: tutta la parte che tratta il continuo (e noioso, diciamolo pure) trial & error, viene per lo più intervallato da qualche spezzone parallelo teso ad illustrare la (non)relazione con Joan (Keira Knightley), anche quest’ultima ridotta sbrigativamente ad ingenua ragazzina con una cotta per la persona sbagliata – perché sai, ad Alan le donne non piacciono… oh oh.
E probabilmente è questa la cifra di The Imitation Game, la sua pressoché totale mancanza di incisività nell’affondare le mani in quel dramma personale di uno e di molti, quel suo limitarsi ad esporre i fatti, senza curarsi di permettere allo spettatore di collocarli, attraverso il filtro della narrazione. Quel filtro che dovrebbe prendere lo spettatore, scuoterlo dalla poltrona e metterlo sottosopra. Invece niente di tutto questo. Tyldum e soci optano per la via più facile, che molto spesso non è la migliore. Con un materiale così, poi, devi proprio impegnarti a tarpare le ali.
Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 7
The Imitation Game (USA, 2014) di Morten Tyldum. Con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear, Charles Dance, Allen Leech, Matthew Beard, Tuppence Middleton, Tom Goodman-Hill, Ancuta Breaban, Lee Asquith-Coe, James Northcote, Victoria Wicks, Scott Stevenson e Stuart Matthews. Nelle nostre sale da giovedì 1 gennaio 2015.