The Irishman, i tempi di lavoro del film di Martin Scorsese si allungano
La lavorazione di The Irishman sta subendo dei ritardi che rischiano di compromettere la presentazione del film ad un festival autunnali. La ragione sono gli effetti speciali
Ci eravamo già abituati all’idea di una mega-apertura a Venezia, annunciata in pompa magna. E poi magari la lunga cavalcata agli Oscar, processo a cui la Mostra nell’era Alberto Barbera si è in qualche modo legata. Ed invece è probabile che nulla di tutto questo accadrà; che un nuovo caso Roma, frutto di un ulteriore sodalizio con Netflix, non si verificherà di qui a breve.
I lavori di The Irishman procedono sì, ma hanno trovato nella fase di de-aging di Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci, ossia il ringiovanimento tramite computer grafica, un osso più duro del previsto. Un passaggio che preoccupa Martin Scorsese, il quale giusto un mese fa ha avuto modo di manifestare attraverso un podcast con Joanna Hogg questa sua ansia (via Indiewire).
In quell’occasione si è parlato in particolare della resa degli occhi, con riferimento al movimento delle palpebre, su cui Scorsese nutre qualche riserva. Si capisce dunque che siamo già su un altro territorio, e che già adesso sia possibile cogliere la portata dell’impresa in cui il regista italo-americano ha voluto cimentarsi.
Lui che non è certo nuovo a progetti così rischiosi da un punto di vista tecnologico, basti pensa a Hugo Cabret, esperimento in 3D che alla fine pagò, specie per via di quelle 11 nomination agli Oscar. Rispetto a The Irishman, proviamo a ipotizzare, il ragionamento non sarà stato così complesso: Netflix avrà dato a Scorsese carta bianca e un budget notevole, e, anche in considerazione del fatto che i tempi per certe cose sembrano proprio essere maturi, quest’ultimo avrà pensato che fosse il momento giusto.
Tempo addietro, praticamente in concomitanza con l’uscita di Rogue One in sala, ebbi modo di scrivere un pezzo circa non tanto l’avvento quanto l’imporsi del fotorealismo al cinema, tappa sempre più ineludibile. In quel caso, certo, partivo dal rimpiazzo in toto di un attore, dalla sua ricostruzione ex novo insomma, ma certe considerazioni possono valere anche in funzione di una procedura diversa ma analoga come quella affrontata in The Irishman.
Scorsese, in tal senso, si trova nella posizione di doversi porre certe domande che si rivelano capitali non solo per questo suo lavoro ma per la piega che una parte del settore potrebbe ad un certo punto prendere. Cosa resta infatti delle performance degli attori allorché la necessità di renderli più giovani di molti anni implichi una ricostruzione così invasiva di certe loro espressioni, movimenti e quant’altro?
Ho perciò l’impressione, in fondo confermata dalle stesse parole di Scorsese, che il problema non sia espressamente di natura tecnica. Non tanto, dunque, la resa, il risultato di un lavoro oggi fattibile con gli strumenti che si hanno a disposizione; il discorso è di gran lunga più complesso e potrebbe riguardare l’opportunità o meno di ricorrere a certe misure.
Riserve a cui non si deve subito dare una connotazione di stampo moralistico, come si sarebbe portati immediatamente a pensare. Non si tratta infatti, non subito almeno, di discutere se sia giusto o sbagliato. Per dirne una, si tratta invece di chiedersi se sia appunto opportuno parlare ancora di recitazione laddove un regista non semplicemente dirige o guida un attore, bensì, in concerto con uno o più tecnici, si ritrova a dover mettere mano su tutta una serie di componenti che a quel punto dipendono molto relativamente dall’attore stesso.
Ciascun regista ha peraltro il proprio modus operandi, la propria idea di cosa o come intenda il recitare, dunque il dirigere degli attori. Ma che ne è, ad esempio, dell’imprevedibilità, di quel gesto, movenza o che so io, appena percettibili, del tutto inaspettati, dovuti all’estro o ad un’inclinazione del momento? Quell’accorgimento che dura magari una frazione di secondo ma che rimane, che s’imprime più e meglio di tutte le altre scene o elementi di un film.
Scorsese, da maestro qual è, potrebbe essersi trovato dinanzi a dilemmi simili, restandone addirittura atterrito. Da professionista, prima ancora che artista, porterà a termine il lavoro in un modo o nell’altro, questo è chiaro. Tuttavia le questioni che tale la pratica sta già sollevando non possono essere minimizzati ed è molto probabile che divengano oggetto di studio serio e approfondito a beneficio di coloro ai quali toccherà cimentarsi con uno degli sviluppi più significativi di quest’epoca.