Home Festival di Cannes Cannes 2019, The Lighthouse, recensione: Pattinson e Dafoe si contendono l’inquietante mistero di un faro

Cannes 2019, The Lighthouse, recensione: Pattinson e Dafoe si contendono l’inquietante mistero di un faro

Festival di Cannes 2019: Pattinson e Dafoe in stato di grazia per il secondo lavoro di Robert Eggers, un horror dall’impronta surrealista e l’afflato autoriale

pubblicato 26 Maggio 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 19:12

Al suo secondo film Robert Eggers pare aver già scelto verso quale sentiero inoltrarsi. Ed è uno di quelli oramai sempre meno battuti, così impazienti i registi che fanno fortuna dopo il loro esordio più o meno indipendente di fare il salto, un progetto ad alto budget che consenta loro di seguire le orme di un Christopher Nolan o chi per lui. Dopo The Lighthouse, qualora vi fossero i presupposti, Eggers direi che, posto davanti al bivio, abbia scelto l’altra strada.

The Witch, a suo modo, è già un saggio rispetto a ciò che a questo regista interessa, ossia premesse interessanti ma esili narrativamente, su cui non s’intende edificare chissà quale impalcatura, trame complesse e/o elaborate, preferendo piuttosto puntare sull’esperienza. Il film di debutto lo è stato: uno dei migliori horror di quell’annata, che si è imposto non tanto per il suo porsi al di là rispetto ad altre produzioni su cui A24 su tutti sta spingendo da anni, ma per essere riuscito rispetto alle sue ambizioni. Suggestioni a tinte horror in degli USA ancora in divenire, landa desolata e misteriosa, gravida di elementi riconducibili a forze poco decifrabili. Partire insomma dal tema del Male opposto al puritanesimo dei “nuovi” americani, per culminare in quel ammaliante crescendo di un finale che svela le carte in maniera elegante, che colpisce. Fin qui The Witch, appunto.

E The Lighthouse? Qui due marinai, Thomas Wake (Willem Dafoe) ed Efraim Winslow (Robert Pattinson) vengono scaricati su un’isola, a sorvegliare, per così dire, un faro. Siamo sul finire del diciannovesimo secolo, scelta che si riflette nei rimandi letterari, forti, fortissimi, di questo secondo lavoro di Eggers, debitore in larga parte, e per diverse ragioni, di autori come Edgar Allan Poe e di Herman Melville: dal primo il registro dell’orrore, marcatamente americano; dal secondo la resa strabiliante di dialoghi che si rifanno ad un inglese marinaresco, molto inventivo e zeppo di termini desueti – in tal senso ci si è rifatti pure a certi racconti di Sarah Orne Jewett.

Più che meri spunti, insomma, bensì ispirazioni sopra e attorno cui ricamare per concepire questa storia, che è una discesa verso la follia per immagini. The Lighthouse, infatti, non si appiattisce sulle fonti e ricrea un’esperienza febbricitante, a tratti disturbante; un film che, a prescindere dall’evocativo bianco e nero, poteva tranquillamente essere girato a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ed in cui, non per nulla, si riscontra un’eco riconducibile a L’île au trésor di Raul Ruiz, che però è del 1985 e si basava su un racconto di Stevenson. Di Ruiz c’è quell’afflato autoriale accennato in apertura, quel mettere da parte la narrazione lineare per puntare tutto sull’esperienza filmica.

Dello stato mentale di Efraim infatti noi partecipiamo con trasporto analogo, anche noi spettatori investiti da visioni ed allucinazioni che di tutta prima ci pungolano, per poi travolgerci, così come appunto ne rimane soverchiato il personaggio di Pattinson. Quest’ultimo e Dafoe (quest’ultimo in particolare, che d’interpretazioni borderline ne sa qualcosa ma che qui si spinge come mai prima d’ora) si rivelano peraltro degli eccezionali partners in crime di Eggers, reggendo alla grande il gioco del regista, che li vuole lì a gigioneggiare, con tutta la generosità possibile, al fine di calcare la mano sull’aspetto se vogliamo comico di certi personaggi. Perché sì, c’è pure quella nota lì, più leggera, opposta all’atmosfera in larga parte opprimente alla quale in The Lighthouse si viene sottoposti.

Fino a quel finale psichedelico, volendo restare alla stagione a cui, velatamente o meno, Eggers si rifà: un omaggio a 2001 Odissea nello Spazio, dopo avere, per quanto possibile, balbettato alternativamente Bela Tarr e Andrei Tarkovskij. Questo anche per dire quanto alti siano i riferimenti, che fanno di The Lighthouse se non altro un tentativo colto di far parlare le immagini, di fare leva su un linguaggio sempre più relegato all’angolo della sperimentazione, mentre qui abbiamo due attori di cui almeno uno è espressione di un mainstream molto contemporaneo, emancipato ma pur sempre diffuso e alla portata (Pattinson d’altronde si appresta ad interpretare Batman, per dire).

Ed infatti si fa eguale ricorso tanto ad espedienti visivi quanto sonori, quest’ultima componente essenziale di un progetto che si percepisce anche come trip, e che in certi termini va senz’altro recepito. Il bizzarro, scomposto, a tratti ridicolo rapporto tra Thomas ed Efraim, questo continuo scambio di ruoli, ora da vittima ora da carnefice, un gioco al massacro tutto psicologico, che nel frattempo contribuisce a far montare qualcos’altro, quel quid che è un po’ il cuore di The Lighthouse, ignoto e inquietante, ma che chiede al contempo di essere rivelato, lassù, dove campeggia la luce abbagliante di quel faro.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8.5″ layout=”left”]

The Lighthouse (USA, 2019) di Robert Eggers. Con Willem Dafoe e Robert Pattinson. Quinzaine des Réalisateurs.

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