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The Nest – Il nido, recensione, valido affondo sul genere

Il piccolo Samuel alle prese con i segreti della villa retta dalla madre. The Nest – Il nido segna una tappa interessante nel panorama del cinema italiano di genere, almeno quanto alla scorza

pubblicato 16 Agosto 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 17:34

Una villa lontano da tutto e tutti è regolata da dinamiche insolite: quel che apprendiamo subito è che da lì, una volta entrati, non è possibile uscirne. Ad averlo stabilito pare essere Elena, la tenutaria di questo sfarzoso, immenso ed elegante immobile immerso nel verde e così isolato. C’è questo senso di protezione, di «noi contro loro» che aleggia dalle prime sequenze, quando il padre di Samuel cerca di portare via quest’ultimo, ancora infante, lontano da quella sorta di lussuoso carcere.

The Nest – Il nido è uno di quei film rispetto ai quali è bene non sbottonarsi troppo in merito al genere, non importa fino a che punto il suo finale, quel twist che in teoria dovrebbe mettere in discussione tutto ciò a cui abbiamo assistito fino a quel punto, risulti telefonato. Roberto De Feo lavora dignitosamente con delle premesse così abusate, che rimandano ad un genere specifico che rimandano all’horror. Qualcuno a questo punto dirà: «che ne è di ciò che ho letto qualche rigo sopra circa il non sbilanciarsi sul genere?». Nessuna schizofrenia o dimenticanza: finché si resta ai rimandi, agli stilemi verso cui The Nest è debitore non si stanno ancora svelando le carte.

C’è qualcosa che non va nel lavoro di De Feo, e mi pare il caso di segnalare tutto ciò prima di passare ad altro, ossia a ciò che invece funziona. Sì perché il vero limite, sostanziale ma non insormontabile, sta appunto in questo eccesso di derivazione, che non si limita al genere o a certi mondi, stili et similia. A The Nest manca non tanto un incipit di livello quanto soprattutto una scrittura che in qualche modo sublimi la familiarità dataci da troppe componenti, siano essi alcuni profili presi di peso da una miriade di altri film “a tema” così come certi passaggi inerenti alla narrazione, già prima del capovolgimento finale, per via dei quali, appunto, a più riprese il film rischia di arenarsi, perdendo troppo d’intensità.

Intensità che, ad ogni buon conto, non fa nemmeno registrare picchi elevati. C’è di base un tono – e qui ci avviciniamo, per così dire, alle virtù dello sforzo di De Feo – che sa in alcuni casi ammaliare, ma che soprattutto si sa tenere costante. Mi riferisco in particolar modo ad una certa raffinatezza della messa in scena, l’elegante scenografia che fa il paio con una composizione non originale ma senz’altro ricercata. È la componente che, su tutte, non soltanto tiene a galla il tutto, ma che lo rende credibile, staccando, e non di poco, la quasi totalità delle altre produzioni italiane, quale che sia il genere e/o il target.

Emergono alcune incertezze sul fronte della recitazione, non solo dai due giovani protagonisti (Justin Korovkin e Ginevra Francesconi), le cui prove andavano incanalate verso un tipo di performance meno “teatrale”, lavorando magari sull’intonazione, specie nel caso di Korovkin, specie in considerazione di linee di dialogo non così brillanti. C’è chi probabilmente sarà disposto a soprassedere, ancora una volta riproponendo quell’equivoco per cui in ambito di genere certi aspetti siano connaturati, mentre ritengo sia necessario avere non meno cura di un’area che tanto fa non di rado per colmare certe lacune. Anche perché, nel caso specifico, il rapporto tra i loro due personaggi si rivela centrale, anzi, indispensabile nell’economia del racconto.

Non per nulla lo stacco si nota di più proprio in virtù di quanto evidenziato sopra circa la credibilità del prodotto: una confezione così accessibile, curata, ha la controindicazione di porre in maggior risalto quei limiti che diversamente si tenderebbe non dico a non notare, ma a considerare quasi con più indulgenza. The Nest invece è opera visivamente interessante, che spicca rispetto alla congerie di tentativi ahimè insufficienti che di tanto in tanto riesce persino ad approdare in sala.
All’inizio e per un po’ ti tira dentro mediante il fascino della sua location, l’indovinata scelta dei colori ed in generale di una fotografia che non ha quasi nulla da invidiare ad altri lavori più blasonati, specie nella commistione di questi elementi, cui si aggiunge una discreta colonna sonora a fare da sfondo, che accompagna senza mai farsi invasiva, tranne evidentemente nel caso della cover di Where Is My Mind, messa volutamente in evidenza. Entro una certa qual misura si riesce persino a mescolare la dimensione onirica, dunque tendenzialmente fantastica, a quella impronta più realistica che The Nest necessita per depistare, pur riuscendoci fino a un certo punto; peccato solo, come già in parte accennato, per alcune situazioni che rompono un po’ quest’equilibrio, senza però vanificarlo del tutto.

Al netto dei suoi limiti, The Nest è un prodotto atipico per il nostro sistema produttivo, che compensa quella certa ritrosia ad osare, quali che siano state le ragioni, con un’esecuzione sopra la media, competente, forse ancora troppo ancorata ad un modo d’intendere e girare certe tipologie di storie che altrove si sta già cercando di superare, anche se non in tutti i casi il tentativo si rivela pienamente fruttuoso. Attraverso questo suo lavoro, che segue anni di cortometraggi decisamente più “liberi”, Roberto De Feo parrebbe porre le basi affinché in futuro vi siano per lui le condizioni di cimentarsi in un progetto più atipico, che si tenga per quanto possibile alla larga dalla congestione di un segmento che, prima ancora che nuove storie, necessita di nuovi sguardi attraverso cui raccontarle.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

The Nest – Il nido (Italia, 2019) di Roberto De Feo. Con Francesca Cavallin, Justin Korovkin, Ginevra Francesconi, Maurizio Lombardi, Gabriele Falsetta e Massimo Rigo. Nelle nostre sale da giovedì 15 agosto 2019.