Roma 2017, The Only Living Boy in New York di Marc Webb: Recensione in Anteprima
Figli, amanti, genitori e mentori in una Grande Mela senz’anima. E’ l’alleniano The Only Living Boy in New York di Marc Webb.
Un’opera nelle intenzioni ‘alleniana’ quella scritta da Allan Loeb, sceneggiatore del pessimo Collateral Beauty, ambientata in una New York che ha smarrito la propria anima, tanto da considerare Filadelfia, quinta città più popolata d’America che dista circa 130 km dalla Grande Mela, il suo quartiere più animato. Un malinconico atto d’amore nei confronti di una città esageratamente mutata, abitata da zombie, uomini e donne incattiviti da una vita frenetica, strozzata dalle ambizioni e dagli ambigui sentimenti che fraintendono troppo spesso l’amore.
Protagonista Thomas Webb, giovane figlio di un ricco editore e di un’artista depressa e bipolare, appena laureato ma incapace di trovare una precisa direzione professionale. Abbandonata la borghese Upper West Side per la più modesta Lower East Side, Thomas, infatuato di una ventenne divoratrice di libri che lo rifiuta perché fidanzata, stringe amicizia con un misterioso e anziano vicino, perennemente alcolizzato e in poco tempo suo mentore. Tutto cambia, in questo fragile universo in continua evoluzione, quando il giovane scopre la doppia vita del padre, impegnato in una relazione con un’affascinante donna di 20 anni più giovane, che incredibilmente diverrà anche sua amante.
L’unico newyorkese ‘vivo’ del titolo è in realtà un giovane dalle mille opportunità puntualmente evitate, sentimentalmente altalenante ed emotivamente ambiguo. Ad indossarne gli stereotipati abiti Callum Turner, 27enne inglese nato modello e diventato attore, accecato dalla conturbante bellezza di una Kate Beckinsale divorata dall’insensatezza affettiva. Innamorata dell’affascinante Pierce Brosnan, che da un anno promette il divorzio dall’instabile Cynthia Nixon, va nel frattempo a letto con figlio ventenne, scatenando un’ovvia catena di conseguenze.
Una soap alto-borghese adolescenziale nei contenuti e nella sua evoluzione sul concetto di ‘amore’, che in quanto travolgente e incontrollabile sentimento si fa novità assoluta per il suo giovane protagonista. Webb e Loeb riportano in vita una snobistica realtà artistica dal taglio forzatamente indie che solo Allen, con il suo inimitabile sarcasmo, potrebbe rendere digeribile e non semplicemente insopportabile. The Only Living Boy in New York è uno di quei film in cui un uomo entra in scena citando Ezra Pound, ottenendo come surreale reazione da parte della sconosciuta di turno la conclusione del verso citato, tra cene altolocate in cui si ricorda con nostalgia la New York di un tempo e sfuriate improvvise per un Andy Warhol perduto. Il sapiente Bridges, che dal meritato Oscar vinto con Crazy Heart non riesce più ad abbandonare sbiascicanti personaggi con chiari problemi di alcolismo, accompagna Turner alla vita, snocciolando saggezza ad effetto con disarmante e gratuita continuità.
Fortunatamente sintetico nella durata, 88 minuti appena, il film vira improvvisamente nel finale grazie ad un inatteso e riuscito switch, in grado di dare per lo meno sensatezza ad un paio di personaggi centrali e chiudere un cerchio che si era fatto pericolosamente criptico, per non dire ridicolo. Ciò che rimane, però, è un’opera incredibilmente autoreferenziale e incapace di sorridere della propria retorica, condita da personaggi così al limite da non risultare mai credibili o anche solo empaticamente centrati. D’altronde allo sceneggiatore Allan, questo è certo, non manca solo una vocale per assimigliare a Woody.
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
The Only Living Boy in New York (drammatico, 2017, Usa) di Marc Webb; con Callum Turner, Jeff Bridges, Kate Beckinsale, Pierce Brosnan, Cynthia Nixon, Kiersey Clemons, Debi Mazar, Bill Camp, Tate Donovan