The Operator, arriva al cinema con Universal la storia di chi ha sparato a Bin Laden
La vita del Navy Seal che ha ucciso Bin Laden diventa lungometraggio.
The operator. Il colpo che uccise Osama bin Laden e i miei anni con i Navy SEAL, autobiografia di Robert O’Neill edita in Italia da Mondadori, diventerà cinema grazie alla Universal Pictures e Lorne Michaels del Saturday Night Live. A riportarlo è l’Hollywood Reporter. Kristen Lowe e Mika Pryce supervisionano il progetto per lo studios. Michael Russell Gunn, visto in precedenza al lavoro con il dramma HBO creato da Aaron Sorkin The Newsroom e con il thriller politico guidato da Kiefer Sutherland Designated Survivor, scriverà la sceneggiatura.
Nella notte fra il 1º e il 2 maggio 2011, mentre nella situation room della Casa Bianca il presidente Barack Obama seguiva in un silenzio carico di tensione una delle operazioni militari più segrete della storia, a dodicimila chilometri di distanza, in un compound di Abbottabad, nel Pakistan occidentale, un raid dei Navy SEAL, le forze speciali della marina degli Stati Uniti, metteva fine alla vita di Osama Bin Laden, il terrorista più ricercato al mondo. La tragedia dell’11 settembre – una ferita ancora aperta nella carne viva di un’intera nazione – sembrava finalmente avere trovato giustizia. Fin dal giorno dopo, però, le circostanze della morte del capo di al-Qaeda suscitarono innumerevoli interrogativi e contribuirono ad alimentare le tante teorie del complotto. Chi erano gli uomini che avevano portato a termine la missione? Chi l’aveva pianificata? Se Bin Laden era davvero morto, chi, materialmente, aveva premuto il grilletto?
In The Operator Robert O’Neill, il Navy SEAL dal cui fucile partirono i colpi letali, risponde a queste domande ripercorrendo le varie fasi dell’operazione e ricostruendo, quasi in presa diretta, gli ultimi istanti di vita dello «sceicco del terrore». Il racconto di O’Neill, però, muove da lontano, dall’infanzia trascorsa a caccia di cervi nei boschi del Montana alla decisione di arruolarsi e di sottoporsi all’addestramento più duro, spietato e selettivo del mondo per essere ammesso nel corpo d’élite per eccellenza della marina militare americana. Quindi il dispiegamento in Iraq, alla ricerca dei terroristi, poi in Afghanistan, nella guerra contro i talebani. Quasi diciassette anni di carriera, quattrocento missioni, un succedersi ininterrotto di operazioni condotte sempre nella massima segretezza. Ma O’Neill non racconta solo la guerra. Anzi. Il suo sguardo si sofferma piuttosto su tutto ciò che «precede» il combattimento vero e proprio: la meticolosa, quasi maniacale pianificazione, l’addestramento continuo ed estenuante, lo stress emotivo dell’attesa. E poi l’angoscia, che si ripresenta, puntuale, al momento di lasciare la famiglia. Come pure le tante ore di noia trascorse nelle basi militari di mezzo mondo, tra eccessi, spacconate, bevute colossali ed epiche sfide alla playstation. Per arrivare, infine, a quel compound di Abbottabad, quando, nel visore notturno a infrarossi, compare l’ombra dell’uomo che da dieci anni rappresenta il peggiore incubo dell’America.