Cannes 2021, The Worst Person in the World, recensione del film di Joachim Trier
L’amabile sregolatezza di una maldestra ragazza norvegese in cerca della propria strada in The Worst Person in the World
Julie (una notevole Renate Reinsve) è un’eterna indecisa. Su tale aspetto Joachim Trier ci apre The Worst Person in the World: ora medico, ora psicologa, alla fine, forse, fotografa. Julie è una delle tante, come tante, ventenne norvegese che cerca di trovare il proprio posto nel mondo, malgrado non sappia dove attingere da quella tavola imbandita che si trova davanti.
Un’incertezza che, manco a dirlo, si riflette anche sulle sue relazioni; è interessante notare come la ragazza sembri non avere nemmeno un’amica, dimensione che vive con una naturalezza che quasi non ci consente di cogliere questo particolare aspetto. Diviso in dodici capitoli, più un prologo e un epilogo, questo schema letterario ci consente di contestualizzare le vicissitudini della giovane, figlia della propria epoca in tutto e per tutto.
Per dare contezza di quest’ultima affermazione, vale la pena citare uno dei questi capitoli, che s’intitola «Il sesso orale al tempo del #MeToo». Uno s’immagina chissà quale speculazione, mentre invece, come un po’ tutto in The Worst Person in the World, si tratta solo di un appiglio per collocare un evento specifico, che peraltro si consuma nella sua interezza in un altro capitolo ancora: Julie viene colta da un raptus letterario e comincia a scrivere quello che, di fatto, rappresenta il punto più alto della sua carriera non da scrittrice ma da lavoratrice, ossia un pezzo che finisce con lo spopolare su Facebook e diventare una sorta di caso.
Essere à la page, tuttavia, non è l’obiettivo primario di Trier, che costeggia l’attualità quel tanto che basta per rendercene edotti, riconoscendola senza però appiattircisi. Calandola sempre, peraltro, in quelli anfratti della quotidianità che in realtà fanno la differenza, come nella scena in cui Julie apre l’Instagram del suo ragazzo scoprendo che quest’ultimo segue ancora la sua ex. È tutto molto conciliante però, un Trier decisamente “altro” rispetto al film che l’ha consacrato, quel Oslo, 31. august che ad oggi resta probabilmente la sua opera più ispirata.
Qui il registro è diverso, forse perché Trier è un regista e prima ancora una persona anche solo leggermente cambiata da quella che era dieci anni fa. The Worst Person in the World è un film in cui, anche a livello visivo, ci si concede delle libertà che giusto in Thelma avevamo visto, sebbene lì sfiorassero ancora l’esercizio di maniera a tratti, mentre qui ogni singola trovata è per lo più asservita alla narrazione. Come nel caso di quella sequenza in cui si esce totalmente dalla realtà del racconto per entrare in un reame diverso, del tutto immaginifico, in cui Julie percorre le strade di Oslo mentre il tempo per tutti si è fermato, eccetto che per lei e per la persona che va ad incontrare.
È uno di quei passaggi che non danno adito a critiche, almeno in rapporto al loro peso specifico, senz’altro rilevante, perché questa semplice misura non fa il suo effetto solo a livello visuale, bensì colpisce proprio perché funzionale ad uno dei momenti chiave della parabola di Julie, che arriverà poco dopo. Una ragazza che evidentemente non è la persona peggiore del mondo, sebbene non faccia fatica a combinare cose più che discutibili, forse addirittura cattiverie, senza però che certe situazioni di cui è responsabile si rivelino sufficienti ad appiopparle un aggettivo che la qualifichi. Questa, insieme alla notte trascorsa con l’emerito sconosciuto (intitolata Tradimento) ad un matrimonio nel quale si è intrufolata, rappresentano i picchi di regia, per motivi diversi, di un film a cui non mancano certe uscite brillanti – qualcuno forse aggiungerebbe pure la sequenza allucinata, ma malgrado l’inventiva mi pare comunque inferiore alle altre due.
Senz’altro il lavoro più accessibile tra quelli girati da Trier, che con The Worst Person in the World sottopone un testo alla portata di chiunque, spassoso ed in alcuni frangenti sopra le righe, a dispetto di una chiusa non del tutto soddisfacente per via di una certa faciloneria, una sorta di morale tendenzialmente un po’ forzata. Nulla però che vanifichi il viaggio, contraddistinto da momenti di puro divertimento, a supporto di un processo raccontatoci come fosse un diario in terza persona, altro espediente che alleggerisce l’atmosfera anche in quei punti in cui le cose prendono una piega non proprio accomodante. Oltre che un modo per interrogarsi su alcuni aspetti pregnanti, specie attraverso Aksel (Anders Danielsen Lie), una sorta di alter-ego di Trier, che in lui catalizza tutto il distacco della propria generazione da quelle successive, e a cui spetta una delle frasi più significative, sincere e toccanti del film: «non voglio vivere attraverso la mia Arte. Voglio continuare a vivere nel mio appartamento, con te».
Lo scopo resta quello di farci assistere a come l’esistenza di Julie cambi in continuazione, sebbene, contrariamente a quanto lasci intendere il titolo, non senza una punta d’ironia, non sempre la responsabilità cada in toto sulla ragazza. Per questo non è così immediato il riconoscere un’etichetta all’ultimo lavoro del regista norvergese, che più che un dramma è una tragedia, della quale e con la quale si sorride. Un romanticismo tutto suo insomma, che fa leva, come sempre in Trier, pure sulla difficoltà che sperimentano le persone nello stare insieme. Per davvero.
The Worst Person in the World (Verdens verste menneske, Norvegia, 2021) di Joachim Trier. Con Anders Danielsen Lie, Renate Reinsve ed Herbert Nordrum. In Concorso.