Venezia 2018, Three Adventures of Brooke: recensione del film di Yuan Qing
Festival di Venezia 2018: l’opera prima di Yuan Qing si presenta come uno scorcio à la Rohmer, cui però la giovane regista cinese integra un che di tenero e più personale
Sing Si (Xu Fangyi), anche detta Brooke, è in vacanza ad Alor Setar, Malesia, da Pechino. Su una via di campagna la giovane è costretta a fermarsi per un problema alla bici: ha il copertone della ruota scoppio. Le si avvicina una coetanea della zona, che si offre d’aiutarla. Già così siamo in un territorio oltremodo familiare, che non rimanda semplicemente ad un regista, i cui echi si possono intuire, bensì ad un film specifico, quel Reinette e Mirabelle che in buona sostanza si apre con la stessa identica scena. Le due si conoscono, fanno amicizia, addirittura Brooke viene portata a spasso dalla ragazza che ha appena incontrato.
È solo la prima delle tre storie di Three Adventures of Brooke (il titolo in francese del film sopracitato è, non a caso, 4 aventures de Reinette et Mirabelle). Nelle altre due si opera un cambio di prospettiva che tende a distaccarsi dal realismo con cui erano state avvicinate le due giovani protagoniste; come in Right Now, Wrong Then di Hong Sang-soo, per dirne uno, si tratta di episodi alternativi, che muovono da una domanda specifica, se vogliamo: cosa sarebbe accaduto se, invece d’incontrare questa persona, Brooke ne avesse incontrate delle altre?
In ciascun frammento i vari personaggi ritornano, interpretando sé stessi, non altri; perciò ad essere casuali sono gli incontri, non tanto le persone. Ognuno di questi ha un impatto sulla giovane protagonista, sebbene solo nell’ambito di una di queste storie Brooke viene fuori davvero, così come il suo malessere, ciò che l’ha portata ad intraprendere questo viaggio. È un lavoro piuttosto fine, per quanto semplice, che vede lo spettatore in prima linea in questo gioco mediante cui la ragazza si scopre un po’ alla volta, con discrezione.
Rohmeriano pure nella misura in cui Three Adventures of Brooke è anche un film sul tempo, oltre che sui tempi, affare dello spirito anzitutto, perciò molto più che il mero avvicendarsi di giorni, mesi o stagioni. Basti pensare come e quanto ci mette Brooke a maturare, o semplicemente far venir fuori certe verità che in fondo già conosce in ognuno dei tre segmenti. Lei, antropologa, allarga idealmente le braccia dinanzi all’evidenza che conoscere l’uomo, conoscerlo davvero, non può rappresentare la risposta a tutto ciò che ci tormenta.
Il confine tra scienza e mistero è senz’altro segnato da un passaggio che ritorna in tutti e tre gli episodi: Brooke pare sempre attratta da questa indovina, la quale, consultata due volte su tre, le dice sempre la stessa cosa: «le persone che incontri sono il riflesso del tuo stato d’animo. Dimenticati di te stessa ed attirerai su di te molte fortune». È questo che cerca la giovane? Un incontro che l’aiuti ad andare avanti, a capire quello che da sola non riesce a cogliere? Non è forse quello che ci si aspetta da tutti i viaggi, ossia un evento, una persona o che so io che ci aiutino non tanto rispetto a ciò che desideriamo ma a ciò di cui abbiamo bisogno?
Il film di Yuan Qing traduce in verità momenti ordinari, scampoli di quotidianità che certa nostra distrazione ci induce ad equivocare come mero contorno. Non lo sono. Il dibattito su un amuleto e le sue presunte proprietà magiche, partendo però dal fatto che chi lo ha venduto c’ha fatto la cresta; così come i progetti e le speranze di alcuni ragazzi che vorrebbero fare di Alor Setar un posto che attragga quante più persone possibile, salvo poi ricredersi sulla bontà delle loro idee, più che sulle loro intenzioni, per via del fatto che ogni intervento che sperano di apportare finirebbe con lo snaturare ciò che rende quel posto davvero unico.
C’è un momento in cui ci si concede anche una licenza che se vogliamo vira improvvisamente su un registro diverso rispetto a quello adottato sin dall’inizio; anziché contraddirlo, però, finisce con l’impreziosirlo, quando questo misterioso personaggio s’intromette in una conversazione e racconta i fatti di coloro che stavano parlando, aggiungendo di essere Dio, ecco perché sa tutte quelle cose e molte altre. Il resto è tanto garbo e il giusto grado di dolcezza per questa storia che si regge su pochi elementi ma azzeccati, presupponendo un ordine meraviglioso, in cui aleggia sempre qualcuno o qualcosa che tutt’al più guida, non dispone a proprio piacimento.
L’idea delle tre vicende che cominciano tutte allo stesso punto, nel medesimo modo, per poi prendere strade totalmente diverse, cavalcando il più classico dei «what if…», non fa che confermare l’aspirazione di un film piccolino ma talmente pregno che si chiude come si apre: con un’ideale carezza.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
Three Adventures of Brooke (Cina/Malesia, 2018), di Yuan Qing. Con Xu Fangyi, Pascal Greggory, Ribbon, Kam Kia Kee, Allan Toh Wei Lun, Lim Yi Xin, Zhan Zizhen ed Andrew Lok. Giornate degli Autori.