Titeuf – Il film, recensione
Presentato in anteprima nazionale al Giffoni Film Festival 2013, Titeuf – Il Film si prepara allo sbarco nelle sale italiane a due anni dall’uscita in Francia doppiato da alcune delle voci più rappresentative della scena italiana, da Massimiliano Alto, che presta la voce al protagonista, a Fabrizio Mazzotta, giunto a Giffoni per accompagnare il film.
Proiettato in 3D, la pellicola riprende gli stilemi della serie tv ma punge meno della striscia sia seriale che comics, cercando di coniugare l’irruenza del protagonista e del suo gruppo di amici (da Manù, il suo migliore amico, a Hugo, il suo “secondo” migliore amico), passando per tutte le anime del suo universo, dall’amata Nadia alla ‘bruttarella’ Dumbo, dalla prof noiosa al ragazzino sempre alla moda per arrivare ai bulli.
Si ricostruisce così davvero uno spaccato di ‘vita vissuta’: Titeuf ha problemi in famiglia, la ragazzina che ama non se lo ‘fila’, a scuola si addormenta, i bulli lo tormentano, odia la matematica. Tutto quel che può succedere a un ragazzino qualsiasi che si trovano a subire i problemi dei grandi, cercano per loro una soluzione, vivendo così in una continua proiezione verso l’età adulta, di cui non capiscono i meccanismi (non comprendono la necessità della menzogna) ma restando ‘ingabbiati’ dalla loro innocenza, che non contempla la riflessione, ma l’azione, in cui tutto è letto attraverso la formula del “se – allora”, alla continua ricerca di una spiegazione, qualunque sia, ma in sé tranquillizzante.
“Riflessione” diventa così il fil rouge del film che ruota intorno all’annosa domanda “Perché i grandi devono ‘riflettere’ sui propri sentimenti”. Di fronte a una comunità di bambini che vivono i sentimenti, i grandi finiscono sempre per essere i più infantili.
Il merito di Titeuf è quello di raccontare ai ragazzi – e anche agli adulti – una storia comune a tanti coetanei, tra genitori in crisi, le sofferenze dei primi amori incompresi, il continuo confronto con i bulli e con il ‘figo’ della scuola, che inevitabilmente accresce il senso di insicurezza. Una storia costruita per spiegare ai grandi cosa pensano i bambini in difficoltà (si pensi al rapporto tra Titeuf e lo psicologo cui viene spedito dopo la separazione dei suoi) e che dà qualche possibile ‘formula’ di sopravvivenza ai più piccoli, anche se poi tutto si risolve nella maniera più rassicurante.
Resta peculiare di Titeuf lo scarto tra età e ‘maturità’: si dice che Titeuf e i suoi amici abbiano 10 anni, ma le dinamiche e anche alcune discussioni (tra amanti, fratellastri, baci alla francese – non a caso -, rapporti tra sessi, la festa di compleanno) fanno molto 12enni, mentre l’odio per le ragazze è tipico dei più piccini. E in qualche modo si può anche dire che strizza l’occhio ai maschietti, con una ‘comicità’ che guarda molto alle cose che “non piacciono alle ragazze e le rendono inutili” ai ragazzini di dieci anni e poco meno.
Insomma, Titeuf abbraccia più di una generazione e non fa sconti nel racconto: domina la storia, senza concessioni ad effetti speciali (anche il 3D in fondo si apprezza per lo più nei titoli di testa, ma per il resto è anche superfluo), e il ritmo è molto ‘rilassato’ quasi a voler far capire bene ai più piccoli tutti i passaggi. Forse troppo rilassato per chi ha più di 10 anni… Ma la scelta narrativa è interessante, così come la molteplicità delle possibili letture per ogni fascia d’età: fa sorridere e commuovere.
Vedremo come sarà accolto dalle sale.