To the Wonder: l’ultima recensione di Roger Ebert sul film di Terrence Malick
To the Wonder di Terrence Malick è l’ultimo film recensito dal critico Roger Ebert, scomparso a 70’anni dopo una lotta contro il cancro. Cineblog vi propone la traduzione della recensione, e le righe scritte dal regista in ricordo del giornalista.
Il 4 aprile 2013 ci ha lasciato Roger Ebert, il critico americano più famoso ed influente al mondo. La famiglia, i colleghi, i critici, Hollywood e tutto il mondo dello spettacolo si è fermato per ricordarlo.
Come avevamo già avuto modo di scrivere, Ebert aveva annunciato di avere un altro cancro, dopo quello che anni prima lo aveva lasciato senza mascella e la capacità di mangiare e parlare. Questo secondo cancro, quello al femore, lo ha sconfitto a 70’anni. Nonostante tutto, Ebert aveva tanti progetti: uno di questi era il restyling completo del suo sito, oggi rimesso a nuovo dalla moglie Chaz e dal suo fidato team, che si occuperanno ora in avanti delle recensioni dei film.
Proprio sul nuovo sito è apparsa una settimana fa l’ultima recensione scritta dal critico. L’ultima recensione che aveva scritto, e che aveva consegnato al collega e amico Jim Emerson, che ha deciso di pubblicarla così com’è, senza rifiniture. L’ultimo film che Roger Ebert ha recensito è To the Wonder di Terrence Malick, un regista che ha sempre rispettato. Il film è uscito la scorsa settimana negli Stati Uniti.
Il giornalista aveva dichiarato che, riducendo la mole di lavoro in seguito al cancro, si sarebbe dedicato a scrivere solo dei film che amava. To the Wonder sarebbe stato probabilmente il primo di questa serie. Noi vi proponiamo la traduzione della recensione (l’originale la trovate sul sito), e dopo trovate anche le righe che Terrence Malick ha scritto per ricordare Ebert.
To the Wonder: la recensione di Roger Ebert
3.5 stelle su 4
Distribuito meno di due anni dopo il suo “The Tree of Life”, un’epopea che cominciava con i dinosauri ed osservava un futuro incerto, “To the Wonder” di Terrence Malick è un film che contiene solo una manciata di personaggi importanti e pochi momenti cruciali della loro vita. Nonostante ci siano dialoghi, è sognante e [i dialoghi] si sentono in modo parziale, ed essenzialmente potrebbe essere un film muto – muto, tranne per la sua musica per lo più malinconica.
Il film vede per protagonisti Ben Affleck e Olga Kurylenko nei panni di una coppia che s’innamora perdutamente, teneramente e in modo trascendente in Francia. [Il film di] Malick inizia nel momento in cui visitano il Mont Saint-Michel, la cattedrale che si trova su una roccia al di fuori della costa francese, e si sposta sulle sponde della Senna, ma davvero, il paesaggio è il terrazzo di questi due corpi, e [rappresenta] i modi venerabili con cui Neil e Marina si approcciano l’un l’altra. Pezzi rubati di dialogo, risate, pensieri condivisi vagano oltre noi. Nulla è caricato col fine di ottenere un effetto drammatico.
Marina, una madre single, decide di trasferirsi con la sua figlioletta, Tatiana, in America con Neil, e l’ambientazione di colpo diventa la pianura dell’Oklahoma, una terra vista quasi come disabitata. Sì, ci sono delle persone, ma ne vediamo poche ed entriamo in contatto solo con alcune di loro. C’è ancora la sommessa serenità della Francia, ma le differenze tra i due cominciano ad aumentare, e c’è rabbia in qualche loro parola. Neil rientra in contatto con Jane (Rachel McAdams), una ragazza americana della quale una volta era innamorato, e la romantica perfezione tra lui e Marina sembra svanire.
In Oklahoma incontriamo Padre Quintana (Javier Bardem), un prete europeo la cui chiesa è nuova ed illuminata. Possiamo quasi sentire l’odore della vernice dell’arredamento. La sua fede è stata messa alla prova, e molte sue frasi sono indirizzate a Gesù Cristo, quasi fosse una sorta di ex amante. Quintana visita dei prigionieri, degli ammalati, gente povera e analfabeta i cui dialoghi sono parzialmente compresi anche da loro stessi.
Visto che tutte queste relazioni s’intrecciano, Malick le descrive attraverso una meditata bellezza ed una cura degna di un pittore. L’atmosfera è spesso simile alla sensibilità delle scene del paesino all’inizio di “The Tree of Life”. Malick ha un repertorio di immagini essenziali a cui fa ricorso.
Non abbiamo bisogno che ci venga detto che Malick qui è autobiografico; questi ricordi di sicuro appartengono al narratore. In entrambi i film è immerso nei salotti e nelle cucine, osservando i prati ordinati e la pace rurale del vicinato al di fuori.
Quando il film è cominciato, mi sono chiesto se mi stavo perdendo qualcosa. Mentre continuava, ho capito che a molti film potrebbe mancare parecchio. Nonostante abbia grandi star, Malick li usa nel modo in cui il regista francese Robert Bresson intedeva quando chiamava gli attori “modelli”. Ben Affleck qui non è la star di “Argo” ma un uomo, spesso silenzioso, intossicato dall’amore e dopo dalla perdita. Bardem, prete lontano da casa, mi ha fatto comprendere come mai prima d’ora la solitudine del clero celibe. Vagando in questa chiesa vuota nel bel mezzo della giornata, è una figura desolata, che grida pregando ed ha bisogno di sentirsi in contatto con Gesù.
Un film più convenzionale avrebbe attribuito una trama a questi personaggi e avrebbe reso le loro motivazioni più chiare. Malick, che è di sicuro uno dei registi più romantici e spirituali, qui appare quasi nudo di fronte al suo pubblico, un uomo che non riesce a nascondere la profondità della sua visione.
“Bene”, mi sono chiesto, “perché no?”. Perché un film deve spiegare tutto? Perché ogni movitazione dev’essere espressa chiaramente? Alcuni film forse non sono fondamentalmente lo stesso film, con solo qualche dettaglio diverso? Non stanno forse raccontando la stessa storia? Cercando la perfezione, vediamo come i nostri sogni e le nostre speranze potrebbero essere. Comprendiamo come arrivino come un dono non attraverso il nostro potere, e se li perdiamo non è forse peggio che non averli mai avuti?
Ci saranno molti che troveranno “To the Wonder” sfuggente e troppo arioso. Resteranno insoddisfatti da un film che suggerisce piuttosto che fornire. Lo capisco, e penso lo capisca anche Terrence Malick. Ma qui ha provato ad arrivare ancora più nel profondo: ad arrivare al di sotto della superficie, e trovare l’anima nel momento del bisogno.
Terrence Malick ricorda Roger Ebert
Il rappresentante di Terrence Malick ha fatto avere ai colleghi di Roger Ebert che lavorano per il suo sito queste righe, con le quali il regista ricorda il critico:
[Mr. Malick] è davvero dispiaciuto di venire a conoscenza della morte di Mr. Ebert e lo ricorda, con profonda gratitudine, come un uomo gentile e generoso, di sostegno per tutti, un uomo amabile la cui bontà non verrà mai dimenticata da tutti quelli con cui è entrato in contatto.