ToHorror 2011: lezioni di trucco cinematografico con Michele Guaschino
Michele Guaschino, durante una lezione al Tohorror, fa una panoramica sulla storia degli effetti speciali di trucco al cinema.
Il ToHorror film festival ha ospitato l’incontro con Michele Guaschino, quarantenne torinese creatore di sorprendenti effetti speciali di trucco, maschere, creature di ogni tipo, autore materiale dei manichini di Maurizio Cattelan (in questi giorni esposti in una mostra monografica al Guggenheim di New York) e dei trucchi di scena per Arturo Brachetti, ma anche, ovviamente, di effetti per il cinema, ambito in cui ha approfondito la professione, prima sui set italiani, poi negli U.S.A. con Rick Baker.
Oggi, Michele Guaschino lavora in Italia, nel suo laboratorio torinese, nella speranza che si diffonda sempre più anche da noi l’esigenza di effetti speciali all’interno delle produzioni, ancora purtroppo limitate, spesso con budget bassi e non sempre preparate ad affrontare le necessità dell’effettista per realizzare il trucco, che ha bisogno di una preparazione molto precisa e studiata, anche attraverso story-board dettagliati. All’interno della sala del Blah Blah, Guaschino tiene una sorta di lezione introduttiva sulla storia degli effetti speciali di trucco nel cinema, procedendo per film-chiave, all’interno dei quali, il creatore degli effetti di trucco ha inventato una nuova tecnica.
Si comincia con il padre del trucco come effetto speciale al cinema, Lon Chaney padre, capace di deformare e trasformare il suo viso fino a creare maschere che ancora oggi restano iconiche, come Il Gobbo di Notre-Dame (1923) e Il Fantasma dell’Opera (1925). L’uomo dai mille volti, come spesso accedeva per gli attori agli albori del cinema, che avevano un’origine teatrale, usava truccarsi da solo e, non avendo a disposizione le tecniche e i materiali di oggi, come il lattice e la gomma, per ottenere un trucco così pesante deformava letteralmente il suo volto, mediante l’uso di ganci e tiranti, il taglio dei capelli e l’intervento su tutto ciò che nel volto possa essere in qualche modo modificato, sottoponendosi anche a trattamenti piuttosto dolorosi e fastidiosi pur di ottenere l’effetto voluto. Un esempio di dedizione allo spettacolo che fa la differenza tra il grande artista e gli altri.
La tappa successiva identificata da Guaschino nella storia di questi effetti speciali di trucco è il Frankenstein di James Whale (1931), con il trucco creato da Jack Pierce per la maschera immortale di Boris Karloff, un trucco sempre molto pesante e ancora creato direttamente sul volto dell’attore, con una lavorazione che richiedeva molte ore. Cosa che molto spesso faceva sì che gli attori, pur di non sottoporsi continuamente a questo trucco, non si struccasse tra un giorno e l’altro di riprese e andasse anche a dormire col volto del mostro, opportunamente protetto perché non si rovinasse.
Dopo Frankenstein e Jack Pierce il salto è lungo, in questa carrellata, e arriva fino a Il pianeta delle scimmie, di Franklin J. Schaffner (1968), con il trucco creato da John Chambers. Qui il progresso è enorme, perché si lavora con il lattice schiumato e non più direttamente sul volto dell’attore, ma su delle riproduzioni modellate in gesso attraverso dei calchi, applicando quindi delle tecniche di scultura al trucco, in modo che si potessero poi creare delle protesi da applicare sugli attori e delle quali si potessero fare molte copie, da poter utilizzare per tutti gli attori del cast (in un film come questo, in cui il mostro non è più solo uno) e si potessero mettere e togliere tra i diversi giorni di ripresa, permettendo tra l’altro agli attori di dormire senza maschere.
Il film successivo scelto da Guaschino è Piccolo grande uomo, di Arthur Penn (1970), in cui Dick Smith ha invecchiato Dustin Hoffman fino a 130 anni, rivoluzionando il trucco moderno. Smith infatti ebbe l’importante idea di non creare un’unica maschera, difficile da montare e smontare, ma anche da gestire, anche per problemi tecnici legati alla natura del lattice schiumato, che si restringe con la cottura, ma di suddividere il trucco in settori, creando quindi singoli pezzi della maschera, di più facile ed efficiente utilizzo e che riducono di molto il problema del restringimento, che viene così diffuso sulle diverse parti.
Viene poi il momento di un altro grande classico, da molti considerato il film più terrificante di tutti i tempi, L’esorcista, di William Friedkin (1973), con la riproduzione dell’intera testa di Linda Blair, sempre ad opera di Dick Smith, e la creazione della tubazione che ha reso possibile il famoso effetto del vomito verde, che poi altro non era che passata di piselli.
Si procede poi spediti verso Zombi, di George Romero (1978), con i morti viventi creati da Tom Savini, effettista dallo stile più teatrale, anche più grezzo di altri, ma proprio per questo molto efficace nel cinema splatter, di cui può essere a buon merito annoverato come uno dei padri. Interessante che lo stesso Tom Savini abbia spesso dichiarato di essersi ispirato per i suoi effetti alla triste e cruda realtà della sua esperienza durante la guerra del Vietnam.
E dopo gli Zombi, si passa a The elephant man, di David Lynch (1980), con l’impressionante trucco di Christopher Tucker su John Hurt.
Veniamo quindi a un vero e proprio momento di svolta, con l’uscita di due film sui lupi mannari nello stesso anno, il 1981, L’ululato, di Joe Dante con gli effetti di Rob Bottin e Un lupo mannaro americano a Londra, di John Landis con gli effetti di Rick Baker. Il lavoro più importante, in entrambi i film, è quello di mettere in scena, senza interruzione, la trasformazione da uomo a lupo (in un’epoca in cui la computer graphic, era un sogno ancora abbastanza lontano), utilizzando praticamente tutte le tecniche e i materiali all’epoca disponibili. Nel 1982 viene istituito l’Oscar per la categoria del trucco, praticamente per premiare il lavoro di Rick Baker.
Il tempo stringe e si passa rapidamente a Dick Tracy, di Warren Beatty (1990), vero e proprio festival del trucco con tutti i villain interpretati da grandi star trasformate e spesso irriconoscibili, in un lavoro di make-up magistrale ad opera di John Caglione jr e Doug Drexler (premiato con l’Oscar).
Si passa poi attraverso le meraviglie create da Greg Cannom per Dracula, di Francis Ford Coppola (1992), la trasformazione di Martin Landau in Bela Lugosi in Ed Wood, di Tim Burton (1994), sempre ad opera di Rick Baker, per poi giungere a Il signore degli anelli, la trilogia di Peter Jackson (2001-2003), dove il lavoro di trucco è mastodontico, volto a creare ogni genere di creatura e per il quale è stato necessario l’utilizzo di tutte le tecnica e i materiali esistenti, integrati poi dagli effetti digitali.
E dove è più evidente l’integrazione tra gli effetti di trucco tradizionali e le tecniche digitali, in questo rapido excursus effettuato da Michele Guaschino, è ne Il curioso caso di Benjamin Button, di David Fincher (2008), in cui Greg Cannom ha creato le diverse età di Brad Pitt con tecniche classiche di trucco e l’intervento del digitale per adattare soprattutto le proporzioni e le dimensioni del corpo dell’attore che deve vivere al contrario la vita del suo personaggio.