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Torino 2010: commenti a caldo su Last chestnuts e Third star

Passato il giro di boa del 28° Torino Film Festival, è giunto il momento di premiare il mitico John Boorman con il Gran Premio Torino, andato l’altr’anno a Coppola e Kusturica. Purtroppo il regista non è potuto essere presente alla premiazione e alla proiezione del suo splendido Un tranquillo weekend di paura (che ancora oggi,

pubblicato 2 Dicembre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 17:30


Passato il giro di boa del 28° Torino Film Festival, è giunto il momento di premiare il mitico John Boorman con il Gran Premio Torino, andato l’altr’anno a Coppola e Kusturica. Purtroppo il regista non è potuto essere presente alla premiazione e alla proiezione del suo splendido Un tranquillo weekend di paura (che ancora oggi, soprattutto su grande schermo, continua ad inquietare ed emozionare) a causa del maltempo, ma verrà premiato domani durante una conferenza stampa.

Continua intanto il concorso: ad oggi sono 11 i titoli presentati, e la sezione competitiva non presenta ancora titoli a cui vorresti dare fuoco, anche se per ovvie ragioni si tende ad avere i propri preferiti (per chi scrive: ancora Winter’s bone) e a non apprezzare titoli che qualcuno potrebbe amare (il “nuovo arrivato” Les hommes debout)…

Last chestnuts – di Zhao Ye (In Concorso)
Una donna si reca a Kashihara nel distretto di Nara per ritrovare il figlio scomparso. L’unica cosa che ha con sé è la macchina fotografica che il ragazzo ha dimenticato. Nel suo viaggio conoscerà le persone che suo figlio ha frequentato, ma ritrovarlo non sarà facile: anche perché la donna è appena uscita da un’ospedale…

Il cinese Zhao Ye ritorna con il suo terzo lungometraggio in competizione a Torino, dopo il sopravvalutato Jalainur. Lo fa con un film piccolissimo (dura un’ora esatta) ambientato stranamente in Giappone. Una storia semplicissima, che potrebbe essere raccontata interamente in mezzo foglio A4, che però riesce a colpire per la sua assoluta delicatezza.

E’ una storia d’amore, un percorso per ritrovare la persona amata, certo. Ma è anche un ritratto al femminile dolce, malinconico e triste, in cui si affaccia man mano che passano i minuti l’ombra della malattia: uno spettro che si fa potentissimo e devastante nell’ultima, convincente inquadratura.

Non tutto fila liscio, anche perché la ricerca di uno stile che unisca poesia e realtà non sempre viene trovato a causa di qualche scena un po’ superflua. Ma è anche vero che ci sono momenti bellissimi, come quello in cui la donna osserva dei bambini giocare a baseball in un campo. E lo spettatore sa che nel suo cuore in quel momento c’è il proprio figlio… Un piccolo haiku da non sottovalutare.

Voto Gabriele: 7

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Third star – di Hattie Dalton
James è un giovane malato terminale che decide di partire per la costa orientale del Galles assieme ai suoi amici più cari, Miles, Davy e Bill. E’ l’occasione per stare un’ultima volta assieme, per chiarirsi, per rimettere in gioco le proprie esistenze…

Che Third star abbie la qualità per piacere, non ci sono dubbi. Provate ad unire una trama già emotivamente forte sulla malattia all’on the road, ed otterrete proprio questo film, sospeso a metà tra commedia e dramma. Peccato che la regista Hattie Dalton, qui al suo esordio nel lungometraggio, si faccia prendere la mano.

Molte delle sue scelte sono forzate, estreme, sempre a rischio retorica, tanto da inficiare il risultato finale macchiandolo. La Dalton ha la mano pesante, calca proprio quanto non dovrebbe (le scene di dolore fisico di James), continua a rimettere in gioco i personaggi.

Ma non in modo spontaneo, lasciandoli vivere e “crearsi da sé”, ma con una programmaticità falsa che si scopre subito. Ogni scoperta avviene quando deve avvenire, ogni ribaltamento sistema un momento di pausa/stanca. Così facendo, la regista gioca con lo spettatore spingendolo verso un lunghissimo e dolorosissimo finale, in cui gli animi sensibili avranno vita difficile nel non piangere.

Dipenderà anche dal mood in cui vi trovate a guardare questo Third Star, tra l’altro confezionato in modo tutt’altro che brutto, ma non fatevi ingannare troppo dalla presunta “leggerezza” dello stile, che ha in sé un ritmo piacevole, condito da dialoghi comici: perché in realtà si tratta di un elefante in un negozio di cristalli. E alla fine della storia i cristalli sono davvero tutti rotti.

Voto Gabriele: 4

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