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Torino 2012 – Call Girl: recensione in anteprima (Concorso)

Scandali politici, prostituzione minorile, politica. Ispirato alle elezioni svedesi del 1976, un thriller vintage solido e implacabile: leggi la recensione di Call Girl.

pubblicato 28 Novembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:10

Ecco un thriller solido, per niente facilotto, che riesce a coniugare il piacere dello spettacolo con una riflessione politica semplice, diretta ma efficace. In concorso al 30. Torino Film Festival, Call Girl è una specie di Tutti gli uomini del presidente in versione scandinava, rigoroso e appassionante, nonostante duri ben 140 minuti e sia quasi un “racconto corale” e frammentario.

Ispirato allo scandalo politico del 1976 in Svezia, Call Girl è l’opera prima di Mikael Marcimain, qui al suo primo lungometraggio cinematografico. Alle spalle ha diverse lavori in tv, ma soprattutto una collaborazione ad un film per il grande schermo che, non a caso, torna spesso in mente quando si guarda questa pellicola: Marcimain è stato infatti il regista di seconda unità de La Talpa di Tomas Alfredson.

Costosa (immaginiamo) co-produzione Svezia / Irlanda / Norvegia / Finlandia, Call Girl è un prodotto tecnicamente raffinatissimo e potente, che si fa forza grazie ad uno stile vintage per immergerci pienamente nel mondo degli anni 70. Non c’è un dettaglio fuori posto per quel che riguarda l’aspetto visivo e sonoro del film, che ha una certa forza oggettiva e implacabile.


Stoccolma, 1976. Uno zoom out che parte da uno schermo tv acceso ci fa entrare nel film: mancano 7 giorni alle elezioni. C’è poco tempo per stare ad ascoltare i discorsi che vengono affrontati nel talk show, perché poi siamo catapultati indietro di 5 mesi. Facciamo così la conoscenza di Iris, una quattordicenne irrequieta, scappata di casa già sette volte.

La madre non sa più come comportarsi, e decide di metterla in un riformatorio, la Casa Minorile Alsunda. Qui la ragazza potrà godere di alcune libertà, ma sarà comunque sorvegliata. Poco tempo dopo la raggiunge Sonja, la cugina coetanea e sua migliore amica. Ci vorrà poco perché le due ragazzine incontrino Dagmar Glans (una superlativa Pernilla August): la quale, tra feste e soldi facili, le recluterà nel suo giro di prostituzione minorile frequentato da politici e diplomatici…

Legge e autorità sono messe letteralmente alla berlina in Call Girl. Di facciata, i politici e la polizia fanno il loro meglio per garantire sicurezza e giustizia ai cittadini. Soprattutto alla popolazione femminile, su cui i candidati alle elezioni puntano parecchio. I giornali intanto strillano che diversi tipi di violenza sessuale andrebbero depenalizzati (ed è già in corso la revisione della nuova legge sull’argomento), mentre per strada i comizi parlano di uguaglianza tra uomo e donna nel mondo del lavoro.

Ma è tutta una facciata, come si diceva prima, organizzata e tenuta assieme grazie ad un’equilibrata rete di interscambio continuo tra governo e autorità, in un gioco che fa guadagnare tutti e “divertire” i diplomatici. Se in tv e in radio si parla di eguaglianza sociale per ambo i sessi, mostrando un rispetto equo per il gentil sesso, nelle case dei ricchi uomini di stato si consumano feste con lussuose donnine disinibite, e rapporti sessuali a pagamento.

Abbiamo citati Tutti gli uomini del presidente, ovvero il racconto cinematografico dello scandalo Watergate. Anche in Call Girl, come nel film di Pakula, abbiamo due persone che tentano di trovare la verità, nonostante le persone che stanno loro intorno siano i diretti interessati – e parte colpevole – della vicenda. Sandberg è colui che vuole far luce sul “caso” a tutti i costi, anche rischiando la propria vita, mentre a Roy mancano solo 2 anni per il pensionamento, ergo…

Girato con uno stile vintage, reso perfettamente grazie ad una fotografia suprema e ad una musica elettronica ossessiva (che richiama in un certo senso Drive e Maniac!), Call Girl è uno slow burner che quando acchiappa lo spettatore difficilmente lo lascia andare. Merito anche di un montaggio sopraffino, capace di sintetizzare al meglio i concetti che devono essere esposti. Il film ne guadagna così in ritmo: che non è travolgente o spericolato, anzi è a suo modo tranquillo, ma implacabile.

Quel che colpisce di più, comunque, è proprio la bravura di Marcimain, che sa muovere meravigliosamente la macchina da presa. Alcune intuizioni formali sono meramente estetiche, ma lasciano senza fiato: basta vedere il momento in cui l’auto di Sandberg viene colpita da un’altra macchina che arriva da una strada trasversale a quella che sta percorrendo. Il tutto viene ripreso dall’altro, con un’inquadratura a piombo a metri di distanza – un po’ alla Michael Mann -. Un momento breve ma intensissimo, che ci conferma che questo regista s’ha da tenere d’occhio.

Voto di Gabriele: 7.5

Call Girl (Svezia 2012, thriller / drammatico 140′) di Mikael Marcimain; con Pernilla August, Sofia Karemyr, Simon J. Berger, Sven Nordin, David Dencik, Ruth Vega Fernandez, Josefin Asplund, Magnus Krepper, Kristoffer Joner, Sverrir Gudnason, Outi Mäenpää, Dag Malmberg.

Torino Film Festival