Torino 2019, quarto giorno, tra convenzionalità ed eccezione
Ce n’è davvero per tutti in questa quarta giornata del Torino Film Festival, da titoli più convenzionali ad altri decisamente sopra le righe
La nostra giornata si apre col Concorso. Fin de siglo arriva da un regista argentino, Lucio Castro, e racconta la storia di come Ocho e Javi si sono conosciuti e poi innamorati. La prospettiva è quella di Ocho, attraverso il quale viviamo questa storia mediante tre piani temporali. Difficile riportare troppo evitando al contempo di svelare il twist finale, che al contempo dà spessore ad una storia che fin lì Castro ci riporta con molta placidità, cercando di mantenere una giusta distanza dai due protagonisti, che parlano, si scambiano idee, effusioni, amplessi, tracciando peraltro due vedute differenti sull’omosessualità: una infarcita di cliché, cosa che può avere un senso proprio alla luce del tipo di operazione che viene fuori alla fine; l’altra, invece, più attuale, più normalizzata, riflettendo due momenti diversi, a distanza di vent’anni, che effettivamente sembrerebbero in linea col discorso. Ecco, però si fa fatica per larga parte del film, il ritmo troppo cadenzato, come se Castro si facesse prendere la mano dalla sua scelta di stare lì ad osservare – non solo i due ragazzi, ma con essi pure un cambio di paradigma a cavallo tra due secoli.
Perso lunedì, sono riuscito a recuperare The Projectionist di Abel Ferrara. Mi fa piacere constatare che, per quanto mi riguarda, Ferrara a ‘sto giro fa centro in entrambi i casi. A differenza di Tommaso, altra roba, questo è un documentario decisamente più formale; senonché è il soggetto a fare la differenza. Un tuffo nel passato che lo riporta nella sua New York, quella in cui si è innamorato del cinema ed in cui ha successivamente mosso i primi passi. Il protagonista è Nicolas Nicolaou, un imprenditore venuto decenni fa da Cipro, e che col tempo si è costruito il suo piccolo ma più che dignitoso impero. L’unico a resistere nel corso degli anni ai numerosi cambiamenti, con le major ed i multiplex a costringere tutti i piccoli esercenti a mettersi da parte. Non lui, non Nick, che invece ha ancora svariate sale sparse per i vari distretti della Grande Mela, divenuti parte integrante del tessuto urbano e sociale. Dai cinema porno degli anni ’70/’80, fino alla battaglia per riavere le prime visioni: c’è la storia di un luogo, che in fin dei conti ci riguarda più di quanto sembra.
Spider in the Web è una spy-story che un cuore ce l’avrebbe pure, malgrado solo a sprazzi riesca a mostrarcelo. Il fatto di essere così codificato credo rilevi fino a un certo punto, dato che film su questa falsa riga spesso e volentieri abbracciano la convenzionalità, lavorando su altro. Ben Kingsley regge ma da solo non può riuscire ad elevare il materiale, nonostante sul suo personaggio convergano svariate rette che comportano almeno altrettanti spunti. Eppure, non saprei, si rimane freddi, dall’inizio alla fine.
Guns Akimbo è il titolo fuori di testa a cui un Festival come Torino, se ha modo, non rinuncia mai. Credevo che in tal senso avessimo dato con El Hoyo, ma qui si gioca in un’altra Lega proprio. Jason Lei Howden raccoglie una serie di paturnie sul nerd andante, le infila dentro una centrifuga e tira fuori questo frenetico action che si rifà alla cultura videoludica a tutto tondo: ci sono dentro i social nelle svariate declinazioni (Twitter, Twitch, YouTube), la foga per fenomeni à la Fortnite o Borderlands (uno dei personaggi replica certe pose in modo quasi identico), certe vibrazioni anni ’80, ed in generale la sregolatezza assoluta e assolutizzata di questa cultura così contemporanea. Una giostra da cui è comprensibile voler scendere almeno tanto quanto lo è il volerci stare sopra, divertendosi.