Torino Film Festival: La promessa dell’assassino, Los ladrones viejos, Signorina Effe, The Princess of Nebraska, Adeul (Mio figlio)
Ecco il resoconto dell’ultima giornata trascorsa al Torino Film Festival: tra poco dedicherò un post finale al TFF per tirare le fila di questa edizione, con commenti, considerazioni e voti.“La scena della sauna diventerà famosa come quella della doccia di Psyco“. Dice questo David Cronenberg parlando della sequenza più violenta del suo nuovo capolavoro, La
Ecco il resoconto dell’ultima giornata trascorsa al Torino Film Festival: tra poco dedicherò un post finale al TFF per tirare le fila di questa edizione, con commenti, considerazioni e voti.
“La scena della sauna diventerà famosa come quella della doccia di Psyco“. Dice questo David Cronenberg parlando della sequenza più violenta del suo nuovo capolavoro, La promessa dell’assassino (Eastern Promises). Non perché effettivamente la tensione, il sangue che scorre e il nudo integrale di un inquietante Viggo Mortensen concederanno da soli la sequenza alla storia del cinema, ma perché come nel film di Hitchcock la sequenza arriva dopo minuti e minuti di assoluta tensione e angoscia: l’effetto è addirittura catartico.
Sì, perchè il film “gemello” di A History of Violence è, se possibile, ancora più misterioso, pericoloso e perfetto del film precedente. Nonostante abbia vinto un premio del pubblico a Toronto e sia già stato acclamato della critica, credo che, come nel film precedente, molti appassionati parleranno ancora di un film “poco cronenberghiano”.
Ci sarà tempo per discuterne, tanto la pellicola esce nelle nostre sale dal 14 dicembre e pubblicheremo la nostra recensione in anteprima. Vi basti sapere, per farvi un’idea, che lo stile e le tematiche sono Cronenberg doc. Che Naomi Watts è sempre brava, ma Viggo Mortensen regala la sua miglior interpretazione. Che il film non dà un attimo di tregua e il senso di minaccia è costantemente dietro l’angolo. E che il finale provoca brividi di emozione solo a ripensarci.
Al festival è passato anche Los ladrones viejos, strepitoso e divertentissimo documentario messicano. Diretto da Everardo González, il film si concentra su alcuni ladri che imperversarono nella Città del Messico dei ’60-’70: i ladri stanno ancora scontando la loro pena in carcere, e attraverso delle interviste dirette dicono la loro su ciò che hanno fatto, soprattutto sulla fortuna e i rischi che hanno avuto.
Diretto con un ottimo stile, mai banale, diretto e ritmato, questo I vecchi ladroni offre allo spettatore anche uno spaccato della vita messicana di quegli anni, quando la criminalità veniva spesso considerata un vero lavoro da coltivare nelle generazioni. Sorprende, incuriosisce e strappa la risata. Ma vale anche come documento politico, con frecciatine mai gratuite ma doverose verso quei dittatori che hanno fatto molti più danni di queste persone.
Abbiamo visto anche Signorina Effe, il nuovo film di Wilma Labate. Ambientato durante le giornate di sciopero degli operai della Fiat nel 1980, il film, come racconta la regista, percorre la strada di due passioni: quella di Emma, che vive e studia a Torino ma è di origini meridionali, per l’operaio Sergio, e ovviamente quella degli scioperanti.
Nonostante la bravura di Filippo Timi, ottimo nel ruolo di Sergio, il film non riesce a convincere. Colpa forse della scelta di partenza di ambientare una storia d’amore su un fondamentale punto di snodo della storia italiana. Il rischio c’era e non è stato scansato: la storia d’amore, nonostante il finale, non appassiona -e certi dialoghi non aiutano-, e l’ambizione politica della pellicola è superficiale e non priva di stereotipi.
Fuori concorso si è visto anche il secondo film di Wayne Wang, dopo A Thousand Years of Good Prayers. Se avevo qualche riserva sul comunque non brutto film precedente, questo The Princess of Nebraska conferma che Wang, nonostante cavolate da dimenticare, ha ancora qualcosa da dire. In fondo, il film è anche sorpredente.
Girato a bassissimo costo in contemporanea ad A Thousand Years, con stile meno laccato e Mini-DV (non è la prima volta per Wang), anche questo film vede per protagonista una ragazza di origini cinesi che vive in America. La si segue per una giornata, attraverso sapori minimalisti e discorsi più esistenziali: la pellicola è ipnotica, affascinante, e presenta situazioni interessanti. E, soprattutto, rispetto alla pellicola presentata per prima non ha la fretta di spiegare tutto: come se Wang qui avesse capito che i silenzi o, come nel finale, il testo di una canzone, possono regalare più emozioni allo spettatore che un dialogo affrettato.
Ultimo film per questa edizione è, direttamente dalla Corea del Sud che al TFF ha regalato solo buoni film, Adeul (Mio figlio). Un carcerato ha solo un giorno di libertà per passare del tempo con suo figlio, che non vede da 15 anni: suo figlio oggi ne ha 18. Molto brevemente: il film è bello, sfrutta la voce-off quasi come flusso di coscienza di padre e figlio per esprimere le loro paure, i loro imbarazzi, i loro dubbi.
E’ un film a tratti dolce, a tratti davvero ironico e grottesco, comunque coinvolgente. Diretto benissimo, ha un colpo di scena nel finale che costringe a rileggere tutto il film. Col pericolo di trovare alcuni notevoli buchi di sceneggiatura: però attenzione, non prendete decisioni affrettate e non bollate subito il film. Per quanto mi riguarda, c’è una risposta a tutto. Emozionante.