Torino Film Festival – #TFF32 – La Playlist del direttore di Blogo.it
TFF32, film e racconti dal Torino Film Festival 2014.
Il Torino Film Festival 2014 è finito.
Ecco i premi, i magnifici restauri di Profondo Rosso e Via col Vento, il diario del Festival di Gabriele Capolino.
Di seguito, invece, il mio racconto. Che parte con le considerazioni finali (senza parlar dei premi, che mi hanno lasciato un po’ interdetto).
Del Torino Film Festival e dell’Italia al cinema
Che bello, questo Torino Film Festival. Che brava Emanuela Martini. Queste sono le prime due cose che mi sento di dire, a dispetto di tutti quei borbottii in coda per entrare di quelli che “si stava meglio quando si stava peggio”. Di quelli che “non si fa così”. Di quelli che sanno sempre come si fa. Di quelli che lo fanno, male.
È il vizio dell’Italia. Al cinema e non solo: tutti ct della nazionale, tutti barricaderi con le facce degli altri, tutti capaci a dirigere un festival cinematografico importante come quello di Torino.
Solo che per saper dirigere un festival ci vuole l’abc. Quello culturale, proprio.
E così, bisognerebbe sapere come stare in coda, per esempio. E, no, se ci sono cinquanta persone che aspettano educatamente il loro turno e hai un amico che sta per prendere i biglietti, non hai il diritto di superare tutti e affidarti a lui. E no, se qualcuno ti fa notare che la coda c’è per tutti e che tutti, verosimilmente, hanno impegni, una vita, un film da vedere, qualcosa di estremamente importante da fare, non hai il diritto di insultarlo.
La differenza fra soggettiva e oggettiva la insegna il cinema. Eppure tutti questi affamati di film, abilissimi parolai che ti smontano un film come se masticassero pane e cinema da quando sono quattrenni e come se ne avessero girate, di scene, fino ad averne noia, non riescono a cogliere la differenza applicandola alla vita pratica. Le (piccole) regole di convivenza quotidiana e civile, che valgono per tutti, se le vedi in soggettiva, ti sembrano soprusi. Il fatto è che molti vivono come un’ingiustizia il non poter esercitare il sopruso sull’altro – la furberia, come per esempio lo scoprire il bug che a mezzanotte e un minuto consente di emettere i biglietti che dovrebbero uscire, invece, dalle 9. E saperlo in pochi, e approfittarne. E poi lamentarsi se la cosa, giustamente, viene risolta.
Poi bisognerebbe sapere come si sta al cinema. Non disturbare le proiezioni. Non commentare ad alta voce – a nessuno interessa quel che pensi tu, mentre si vede un film. Puoi crederci? Be’, fidati – non approfittare di un intermezzo musicale perché tanto nessuno parla per fare la battuta brillante, non accecare il vicino con l’applicazione “torcia” dello smartphone, e tante altre piccole cose che si eliminerebbero facilmente. Ricordandosi che al mondo ci sono anche gli altri e i film non vengono proiettati in sale vuote dove si è gli unici signori e padroni.
I titoli di coda, poi. Signore e signori miei, vi portano via un paio di minuti di vita al massimo. E vi possono far scoprire anche cose interessanti. Tipo come è stata realizzata una scena, per esempio. E in ogni caso sono anche l’occasione per riflettere il giusto alla fine del film. Non è che quando leggete un libro poi lo buttate via appena finito, no?
D’altro canto, l’Italia al cinema non fa miglior figura quand’è dall’altra parte della barricata, se propone cose informi e indefinibili e sfuggenti a qualsiasi categoria del bello come Frastuono, un pasticcio che ci si trova in concorso non si sa bene perché.
Poi c’è l’Italia provinciale. Quella che si lamenta di tutto. Quella che non perdona la selezione a Emanuela Martini, perché gli altri anni era meglio (a me sembra che la provincialità non possa perdonare a Martini di essere una donna e di essere una non-famosa: a parità di selezione, se questo stesso, identico Festival, fosse stato diretto da un nome arcinoto, avrebbe ricevuto molti complimenti).
Eppure, per fortuna, nonostante tutti questi piccoli segnali che raccontano – come la quotidianità lontana dal cinema – l’inesorabile decadenza di un paese, il Torino Film Festival è finito con la promessa di tornare per la sua trentatreesima edizione. Dal 20 al 28 novembre 2015. Noi siamo già pronti a raccontarvelo di nuovo.
Torino Film Festival 2014: la mia playlist e il racconto
Mentre il nostro Gabriele Capolino copre in maniera capillare il Torino Film Festival 2014, in pieno svolgimento, ecco un racconto “alternativo” con una playlist in aggiornamento continuo, fra scorci torinesi, file e disguidi, tagli e bei film. Verrà aggiornata in maniera asincrona e casuale.
TFF32 – Tagli e la prima di Emanuela Martini
«Io non sono una show woman, non so che cosa si aspettano da me stasera, all’inaugurazione. Io sono un critico, una cinefila, il mio mestiere è raccontare e presentare i film, non sono un tipo da palcoscenico»
ha detto così, secondo La Stampa, Emanuela Martini, al debutto come direttrice. Ma tutti sappiamo bene quanto di lei ci sia anche nelle precedenti edizioni del festival.
Quest’anno ha dovuto fronteggiare tagli da parte del Comune – arrivati a cose già impostate, film selezionati e via dicendo –, che si sono tradotti in un cinema in meno (niente Lux), nel catalogo non stampato su carta (e così agli accreditati viene data una borsa vuota con il nome di uno degli sponsor: surreale) e in tante code. E tante scuse, perché di fronte ai tagli non si può fare molto. Un peccato, perché Torino resta il secondo evento cinematografico in Italia e uno dei più interessanti in Europa.
TFF32 – Playlist giorno 1
La mia lunga settimana torinese parte con un ritmo monotono, in treno, con il consueto regalo di Trenitalia e 30 minuti di ritardo. Per fortuna i film sono pronti ad accogliermi con un quartetto sincopato di proiezioni stampa.
Gentlemen – In concorso. Sontuoso svedese di Mikael Marciman, regista di Call Girls (scoperto al Tff due anni fa). Si ritorna alla fine degli anni settanta, in una Svezia politica che l’Italia non conosce e che Marciman affresca in maniera impeccabile
Big Significant Thing – Commedia americana indipendente, deliziosa e raffinata
’71 – War movie, survival (non horror come dice, traendo in inganno, la breve sinossi del programma). Per la serie: English do it better. Notevole.
Eau Zoo – Francese, sperimentale. Per me da dimenticare.
TFF32 – Playlist giorno 2
La sinfonia delle code. «Ah, certo, Venezia è meglio», «Signora, si muova», «Vuole una mano?»
Programmi con colonne grigie e blu o gialle che si riempiono di segni. Il mio programma è una specie di campo di battaglia. Gente che si lamenta, gente che critica a priori, gusti che si accavallano, gente che «l’ho già visto a Cannes». È il Torino Film Festival
Per la prima volta, fallisco nel tentativo di prendere un biglietto per un film che voglio vedere.
Qualcosa è cambiato, nell’organizzazione perfetta che ricordavo. Ed è il fatto che le biglietterie automatiche “sfornano” i biglietti per la proiezione del giorno dopo non dalle 9, come chiaramente scritto nelle “modalità d’ingresso”
Ogni maledetto natale – Commedia grottesca della premiata ditta Boris. In sala si ride, Cattelan non c’entra molto, l’operazione è riuscita.
It Follows – Bell’horror, rigoroso e ben girato, coerente fino in fondo. Però troppo moralista, per i miei gusti: l’orrore sessualmente trasmissiìbile nella puritana provincia americana è un’arma a doppio taglio. O spingi sull’acceleratore o non lo fai. E se non lo fai, come in questo caso, rischi che il sottotesto si mangi la narrazione.
Tokyo Tribe – Sion Sono l’ho scoperto al Torino Film Festival, e non l’ho più lasciato. Musical da non perdere. Non è il suo film migliore come dicono molti? È una domanda che ha senso? È visionario, colorato, morboso, manga, fortemente metaforico, grottesco, hip hop, citazionista, girato da urlo. E con con una filmografia come quella di Sion Sono, può provare a fare quello che vuole. Continasse a lungo!
Whiplash – Ha vinto il Sundance e si capisce perché. Nessuna concessione moralista nella scalata all’eccellenza. Grande jazz, ottima regia, montaggio serrato, recitazione ad alti livelli.
TFF32 – Playlist giorno 3
Inupiluk – Cortometraggio. Interessante, anche gradevole, ma un po’ fine a se stesso. Due amici francesi ospitano a Parigi due groenlandesi che non hanno mai lasciato il loro villaggio, e li guidano alla scoperta di un mondo nuovo.
La chambre bleu – Da Cannes a Torino, questo lavoro Mathieu Amalric, in 4:3, tratto da Simenon è formalmente elegante. Claustrofobico, drammatico senza eccessi, senz’altro da vedere. Struttura interessante: l’interrogatorio al sospetto omicida che si interseca con flashback mai forzati e il volgere vorticoso verso il verdetto finale.
Hit 2 pass – Errore mio. Ho sbagliato i conti degli orari e ho perso la proiezione stampa di The Duke of Burgunduy, che recupererò domani. Docu indie canadese. Davvero troppo indie per i miei gusti. Pessimo, il peggiore fin qui.
The Filth And The Fury – Julien Temple e i Sex Pistols. Non si può chiedere di meglio.
Life after Beth – Jeff Baena ridisegna il concetto di horror grottesco. E lo fa bene, straordinariamente bene. Divertente, cult.
Magic in The Moonlight – il nuovo Woody Allen. Purtroppo verrebbe da dire: Woody, spostati che non riesco a vedere il film. È il solito Allen. Gran dialoghi, maniera e tutto quanto. Il problema è che se giochi con l’illusione (il cinema) devi nascondere l’elefante dal palcoscenico, come un bravo illusionista. Invece, conoscendo Allen – spero che nessuno abbia sperato che si fosse trasformato in un credente – è tutto sul piatto da subito e non ci vuole alcuna abilità per sapere dove si andrà a parare. Tutto telefonato. Peccato.
Wir Waren Könige – The Kings Surrender, in concorso. Gran poliziesco tedesco, serrato e avvolgente. Nessun assolto, fino al finale con la chiosa a carico di un personaggio presentato così: «è famoso per frasi come quella». Per chi conosce bene la serie tv The Shield molti dejavu. Da vedere.
Da segnalare che, in serata, evidentemente l’organizzazione del Festival ha risolto il “bug” dei biglietti dalla mezzanotte. Ecco dunque la comunicazione di servizio: i biglietti per il giorno dopo (quelli blu) si ritirano dalle 9 del giorno prima.
TFF32 – Playlist giorno 4
Si parte presto, per la coda mattutina alle macchinette automatiche. E poi via, nella sinfonia dei film di oggi.
Stray Dog – Documentario su un biker veterano del Vietnam, la sua famiglia, gli amici. Toccante, intenso, potente.
Violet – In concorso. Una vera e propria opera d’arte. Girato in 65mm, fotografia splendida, grande capacità di affrescare situazioni e psicologia con le immagini. Cinema puro, a quanto pare non capito in sala alla prima proiezione. La seconda ha preso solo applausi (e qualche defezione). Non per tutti, forse ostico, ma straordinario. Non si riesce a smettere di pensarci.
The Guest – Bello, divertente, citazionista ma con stile e originalità. Soundtrack davvero bella.
Historia del miedo – Film con giudizio sospeso. Sospeso mica per altro, ma perché ho perso i dieci minuti finali. Sì, anche questo è TFF. Siccome con accredito+biglietto blu si può entrare solamente in perfetto orario al film successivo, e siccome la pianificazione era perfetta ma in apertura di film hanno parlato in tre più traduzione, è andata a finire che le due proiezioni si sovrapponevano. E così ho perso il momento in cui le varie note sincopate del lavoro sarebbero finalmente confluite nella compiutezza della partitura. La paura e, in qualche modo, i desaparecidos, elemento imprescindibile della storia argentina. Prima o poi scoprirò come va a finire.
The Duke Of Burgundy – Molto interessante. Se qualcuno lo pensa come film morboso o erotico, ha capito poco della pellicola. In verità racconta da un punto di vista inedito, non moralista, una relazione erotica lesbo-master-and-slave, con un’interessante introspezione psicologica nel loop delle microvariazioni che portano avanti la storia. In un mondo dove non esistono gli uomini.
Cold in July – Con Jim Mickle (regista) e Joe R. Landsdale (sì, lo scrittore) in sala a presentare il film, la premessa è ottima. E la pellicola non tradisce le aspettative. Una tripartizione chiaramente ispirata alla struttura del libro, con un cambio di registro coraggioso e introdotto da un grandissimo Don Johnson il cui ingresso in scena è da antologia cult. Celebrazione degli anni ’80 e del cinema di genere, Cold in July, i generi, li attraversa con disinvoltura e abilità, per la gioia dello spettatore. Siamo pronti persino a perdonare un paio di buchi irrisolti in sceneggiatura, va bene così.
TFF32 – Playlist giorno 5
Anche oggi la consueta fila alle casse (molto breve, a dire il vero, organizzandosi per tempo).
The Canal – Horror con tanta, troppa roba. Tutto sommato senza infamia e senza lode. La sequenza finale lo salva da una sonora bocciatura: il pre-finale era da incubo. Cioè, tremendo.
The Babadook – In concorso. Questo è un film horror: tensione, paura, recitazione magistrale, grande struttura e coerenza narrativa, nessuna pretesa di spiegare tutto. Non vincerà, perché un horror non può vincere, giusto?
The Mend – Immersione nelle vite di altri, più che racconto. Situazioni, più che trama. Dialoghi normali. A metà fra il godibile e l’irritante, purtroppo lo dimenticherò presto. Ma ha spunti senz’altro interessanti. Poca empatia. Avrei fatto meglio a vedere Qui, documentario di Daniele Gaglianone.
Anuncian Sismos – Fin qui il peggiore fra i film in concorso che ho visto. Sciatto e poco strutturato, tenta di essere sperimentale, diventa quasi incomprensibile. Peccato, lo spunto dell'”epidemia di suicidi” sembrava interessante, ma il film è soltanto brutto.
The Theory Of Everything – Cosa vuoi aspettarti da un film blockbuster biografico su un guru della scienza contempranea, vivente, malato e icona “pop”? Questo. Niente di più, niente di meno. Redmayne, attore protagonista nei panni di Stephen Hawking, strepitoso.
Manage Tes Morts – Metà documentario metà film, venti minuti finali eccezionali, il resto non mi è sembrato irresistibile, sebbene interessante.
TFF32 – Playlist giorno 6
Oggi è succesa una di quelle cose che capitano. Non sono riuscito a vedere il primo film che avevo pianificato (The disappearance of Eleonor Rigby: Him, e così perdeva un po’ di senso la visione dell’omologo The disappearance of Eleonor Rigby: Her), causa biglietti da fare. È la dura legge del Festival: si fanno scelte, a volte non vanno a buon fine, si va di “piano B”.
In questo caso il “piano B” si è evoluto così:
– The Iron Ministry: potente documentario sulla rete ferroviaria cinese. O meglio, sulle persone che viaggiano a bordo dei treni cinesi. Tre anni di riprese, storie claustrofobiche contrappuntate da inserti che richiamano la videoarte. Politica e voglia di migrare, gente semplice, giovani con le loro ambizioni, lavoratori, l’enorme contrasto fra le classi per ricchi e quelle per il volgo. Il treno “vive” con le persone che lo popolano. Per qualcuno, all’usita dalla sala, è «incredibile che ci abbia messo tre anni a fare questo), il regista (e filmmaker) J.P. Sniadecki. Per me, invece, è un lavoro molto bello e riuscito e fa venir voglia di sapere cos’altro c’è, nel girato che non ci è dato di conoscere.
– For Some Inexplicable Reason – In concorso (lo avrei visto comunque, ho approfittato della proiezione stampa). Basso budget, trovate interessanti e divertenti, tocchi surreali, il racconto della generazione di trentenni ungheresi affidato ad Aaron, laureato in teoria e storia del cinema e deciso a chiamarsi fuori dalla realtà del produci-consuma-crepa che lo circonda (dove per “produci” si legga: il lavoro alienante; per “consuma” si legga: tutto ciò che è fruizione di massa, scontata, banale, veloce. Anche il sesso; per “crepa” si veda la bellissima sequenza d’apertura, con Aaron che muore. Svariate volte). Ottima lezione di cinema e zero alibi per chiunque si trinceri dietro la “scusa” del basso budget. Se ci sono le idee, il film funziona. E questo funziona, dall’inizio fino ai bellissimi titoli di coda, omaggio a chi lavora nel mondo del cinema e altra lezione, questa volta per il pubblico che non è abituato a guardarli.
Il resto della giornata è andato come da programma
Turist / Force Majeure – Un po’ drama, un po’ comedy (anche se le risate sono a denti stretti), è la storia di una settimana bianca in famiglia, che minaccia di trasformarsi in tragedia. E la tragedia è lì, incombente, ad ogni inquadratura: dallo splendido resort ai monti che fanno da cornice alla bella famiglia padre-madre-figlia-figlio, tutto lascia presagire che prima o poi accadrà qualcosa di catastrofico. E infatti si parte con un disastro sfiorato. Una valanga che per poco travolge il bar dove famiglia e altri avventori si godono il pranzo. Non succede niente, ma il marito “macho” scappa di fronte al pericolo senza proteggere i suoi. Si prosegue lentamente ma rigorosamente verso un bel finale.
As You Were
Poi, la pausa serale, finito il trentesimo film, per vedere Malmo-Juventus. Anche il calcio vuole la sua parte.
TFF32 – Playlist giorno 7
La mattina si comincia con la consueta coda. Organizzandosi bene e arrivando presto è molto semplice essere fra i primi a prendere i biglietti. L’obiettivo personale è prendere quello per Profondo Rosso per venerdì sera. Imperdibile.
La coda fomenta gli animi, l’esistenza delle regole uguali per tutti anche. Un signore pensa bene di superare tutti e chiedere se sono ancora disponibili biglietti per il film che vuole vedere lui. Gli si fa notare che se lo facessero tutti l’attesa diventerebbe infinita e caotica. Lui pensa bene di insultare il sottoscritto. E pensare che vedere film dovrebbe essere un’attività rilassante.
Superato il piccolo incidente, la programmazione della giornata è abbastanza rivoluzionata rispetto alle mie scelte iniziali (non certo per l’incidente di cui sopra, sia chiaro), ma si rivela molto interessante.
L’enlévement de Michel Houellebecq diventa la prima scelta di oggi. Con lo scrittore in persona a interpretare se stesso, il rapito. Un gioco letterario e cinematografico, un esercizio di stile, certo, ma godibilissimo. Non mi aspettavo molto, per me una rivelazione.
Actress – Documentario molto bello, umano, empatico e doloroso. Storia di un’attrice che faceva un piccolo ruolo nella serie tv The Wire. La sua vita raccontata mentre tutto cambia e mentre lei prova a tornare in scena.
The Rover – Road movie cupo, post-apocalittico tutto sommato un po’ fine a se stesso. C’è umanità anche nell’Australia più cupa. Il filmì comunque si guarda per vedere dove va a parare. Ma il risultato non mi sembra dei migliori.
20.000 Days On Earth – Documentario narrativo su Nick Cave, scritto (anche) da Nick Cave, con Nick Cave. Quando un atto narcisistico si traduce in una pellicola così bella e intensa, si perdona tutto al narciso di turno. Se poi quel narciso è Nick Cave, allora il film diventa una chicca imperdibile per i fan e un documentario originale e godibilissimo per tutti. Strepitosa la prima parte di intervista dallo psicanalista.
Frastuono – Semplicemente imbarazzante e ingiudicabile. Un vero peccato trovare un lavoro così confuso, pasticciato e pretenzioso in concorso al Torino Film Festival. Un vero peccato che sia italiano.
The Drop – La stanchezza del sottoscritto ha prevalso. Difficile da giudicare in condizioni di attenzione precaria, sembra comunque un buon lavoro “nero”, con il compianto Gandolfini a fare una gran parte. In italiano lo trovate – e lo troverò anch’io, perché devo recuperare – con il terribile titolo Chi è senza colpa
TFF32 – Playlist giorno 8
Mercuriales – Disagio generazionale in 16mm con due belle protagoniste. Spunti interessanti. Non vira mai verso quel che si potrebbe temere, tipo sesso-droga-suicidio, ma rimane in superficie, in maniera più delicata. Però non arriva al dunque.
What we do in the shadows – Splendido. Un mockumentary su un gruppo di vampiri coinquilini. Con tutto quel che segue. Trovate orrifiche per amanti del genere e non.
The Editor – Divertissement horror canadese, citazionista dal genere italiano, che saccheggia e omaggia in tutti i modi possibili (Fulci su tutti). Ad un certo punto c’è spazio pure per Videodrome. Luci accese su titoli di coda e ovvio codino (geniale).
Il viaggio di Carlo – documentario di Daniele Segre
Nessuno siamo perfetti – documentario su Tiziano Sclavi. Dolente, poetico, imperdibile per tutti gli amanti dell’indagatore dell’incubo Dylan Dog e per il suo creatore. Una struttura da intervista doppia (l’intervistato è sempre Sclavi, ma in una versione a colori e una in bianco e nero, che spesso si smentiscono l’una con l’altra) e altre testimonianze a contrappunto per omaggiare con delicatezza, amicizia e amore un uomo che ha cambiato il mondo del fumetto in Italia e che ha creato – anche se non lo sa o non lo ammette – un capolavoro assoluto.
Kami No Tsuki / Pale Moon – Bel dramma giapponese.
Profondo rosso – A Torino e con Dario Argento. Imperdibile. Il maestro, come lo chiamano, giustamente, dalla platea, presenta il suo capolavoro. Applausi. Titoli di testa, parte la musica dei Goblin. Applausi.
Poi un’immersione al cinema in un horror straordinario, perfetto.
TFF – Playlist giorno 9
Ho virato la programmazione di oggi radicalmente verso i documentari e, per cause di forza maggiore, eliminato la prima visione mattutina e l’ultima serale (The Homesman è stato spostato a domani dall’organizzazione, ma si recupererà facilmente). La mia playlist è dunque cambiata così
Angriff Auf Die Demokratie – Eine Intervention – Atti di una conferenza dell’8 dicembre 2011 in cui 10 intellettuali tedeschi parlano dell’attacco alla democrazia perpetrato dall’Unione Europea e dalle sue istituzioni non democratice, non trasparenti. Tre anni dopo, la situazione sembra cristallizzata nello stato di crisi permanente. Documento fondamentale, da archivio a futura memoria.
Approaching The Elephant – Documentario su metodi di educazione alternativi: un anno all’interno di una Free School, dove non esistono materie obbligatorie e dove le regole sono decise da bambini e educatori insieme, secondo un processo democratico. Non aspettatevi un’agiografia, è un film documentario senza tesi di partenza, che mette in evidenza tutte le problematiche del sistema educativo alternativo.
Srok / The Term – Documentario sui rivali di Putin: un affresco impietoso dello show mediatico in politica. Sia quello del “nuovo” zar di tutte le Russie sia quello dei suoi oppositori. Un gioco delle parti senza speranza.
We Are What We Are – unico film di finzione della giornata, è anche il mio commiato al Festival per quest’anno. Horror intenso e ben realizzato, anche se non riesco a togliermi di testa la sensazione di dejavu che ho provato per tutto il film.