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Torna Paul Thomas Anderson con The Master: i suoi film, il suo cinema e la sua America

Paul Thomas Anderson torna con l’acclamato e discusso The Master, il film sulla nascita di Scientology. Cineblog ne ripercorre i film, le tematiche e la carriera.

pubblicato 3 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 19:01

Ma Paul Thomas Anderson, che ritroviamo da oggi nelle sale con The Master, è l’erede di Robert Altman o è l’erede di Stanley Kubrick? È pazzesco pensare che, fino a qualche anno fa, non ci fosse alcun dubbio: d’altronde, con film corali come Boogie Nights e Magnolia, con chi vuoi fare un paragone? Aggiungiamoci il fatto che nel 2006 il regista è stato un aiuto fondamentale per Radio America, l’ultimo capolavoro (corale) di Altman, e l’equazione è fatta.

Ma sin da quattro anni prima, ovvero da Ubriaco d’amore, la definizione inizia a vacillare. La filmografia di P.T. Anderson subisce un cambiamento brusco, che esalta alcuni e lascia perplessi altri. E, nella sua carriera, è solo il primo vero cambiamento che lascia a bocca aperta. Il “dittico” Il petroliereThe Master, per i quali Anderson è stato paragonato tecnicamente appunto a Kubrick, segna un’altra via all’interno del suo cinema: qualcuno la definirebbe più sperimentale, e dopotutto non avrebbe detto una scemenza.

Rispetto alle sceneggiature “di ferro” dei film precedenti, Il petroliere e The Master sembrano a prima vista reggersi su regia, musica, colori ed interpretazioni. Invece la scrittura c’è ancora, ma soprattutto resta una cosa: il suo cinema, che cambia, muta, ma resta sempre personale. Anderson viene definito un regista hollywoodiano, ma è un errore: semmai si tratta del “gigante” del cinema indipendente americano. Le sue opere – affreschi enormi e opere-fiume – sono infatti praticamente invendibili al grande pubblico mainstream, come dimostrano gli incassi.

Sydney
Boogie Nights
Magnolia
Ubriaco d\'amore
Il petroliere
The Master

Anche The Master, dopo una partenza record al botteghino, si è arenato. L’unico suo film che ha avuto un discreto successo in patria è, paradossalmente, Il petroliere. Anderson viene però premiato sempre ovunque da critica e giurie. È uno dei pochi registi a detenere un curioso record, ovvero aver vinto il premio per la regia ai tre festival più importanti: Palma d’Oro per la regia (Ubriaco d’amore), Orso d’Argento (Il petroliere), Leone d’Argento (The Master).

Senza major alle spalle, Anderson può fare i film che vuole nel modo in cui vuole. Non senza difficoltà, ovviamente (quelle legate a The Master sono ormai risapute). Così è riuscito a costruire una poetica ben riconoscibile, fatta di tematiche ricorrenti e sempre più approfondite. Fatta soprattutto però di personaggi indimenticabili, resi ancora più grandi dalla quantità di star che hanno collaborato con lui, come Philip Seymour Hoffman e Julianne Moore.

Dalla famiglia allargata di Boogie Nights alle famiglie distrutte e in cerca di redenzione di Magnolia, Anderson ha sempre indagato sul rapporto fragile e problematico tra padre e figlio, tra maestro e allievo, tra guru e seguace. Si tratta di un punto cruciale delle relazioni esposte in quasi tutti i suoi film, ad iniziare dall’esordio, Sydney. Padri assenti, che hanno abusato dei propri figli o li hanno abbandonati; e figli sperduti cresciuti nell’odio, nel rancore. Alla ricerca di qualcosa, forse di un’altra figura a cui aggrapparsi.

Mettendo in un certo ordine i suoi film, si nota bene come a suo modo Anderson abbia affrescato cronologicamente la Storia degli Stati Uniti: la scoperta del petrolio con le sue conseguenze all’inizio del ‘900 (Il petroliere), il post-Seconda Guerra Mondiale e la nascita delle sette religiose (The Master), il passaggio tra anni 70 e gli anni 80 di Reagan (Boogie Nights), l’oggi di ognuno di noi (Magnolia). Descrive un’America in cerca di identità, che vaga cieca all’interno della sua stessa solitudine: con il suo passato difficile da metabolizzare e digerire, le sue ferite e le sue cicatrici. In cerca di una guida, di qualunque figura che possa anche solo darle l’illusione di segnalarle una strada.

Il suo prossimo lavoro sarà Inherent Vice, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, con il quale Anderson tornerà in zona noir con uno stile che si preannuncia surreale: ovvero, le due caratteristiche dei suoi film meno incasellabili (Sydney e Ubriaco d’amore). Nuovo cambio di rotta? Evidentemente, e va benissimo così. Quindi è inutile continuare a chiedersi di chi sia erede Anderson. Perché probabilmente è l’erede del miglior cinema americano: quello che, anche se spesso difficile e “impenetrabile”, sfida, indaga e non ha paura di nulla.

I 6 film di Paul Thomas Anderson

Sydney (1996): deserto del Nevada. Casinò ovunque. John ha perso tutto al gioco, e si dispera in un diner. Un vecchio signore, Sydney, gli offre un caffè. L’anziano gli dà un grande aiuto, ad iniziare dai trucchi del mestiere (di gambler)… Sconosciuto ai più, è l’esordio del regista: un noir strano, fragile, minimalista. Ma i temi-cardine del cinema dell’autore (il rapporto padre/figlio, il passato come fantasma) ci sono. Grandissimo l'”altmaniano” Philip Baker Hall, anche nei successivi due film di Anderson.

Boogie Nights (1997): il sottotitolo italiano sa di pruriginoso (L’altra Hollywood), ma ha un suo senso. 1977: Eddie Adams ha un unico talento (è super-dotato), e finisce nella scuderia di attori porno di Jack Horne. Soldi e feste per tutti, finché (con un suicidio!) non iniziano gli anni 80. Affresco di un’epoca che fu, e di una nazione che sognava la libertà e il successo anche con le famiglie allargate: ma che stava per entrare in uno dei suoi decenni più orribili. Grande cura formale con virtuosistici pianisequenza, un cast da urlo, e una geniale inquadratura finale. Capolavoro.

Magnolia (1999): il film più altmaniano di Anderson, ovviamente. 24 ore nella San Fernando Valley, dove è nato e cresciuto il regista. Si apre con una coincidenza assurda, poi inizia a seguire una ventina di personaggi. Padri terribili, bambini prodigio, figli abbandonati, presentatori tv, mogli redente, guru del sesso: tutti s’incrociano, con le loro solitudini e le proprie storie. Poi tutti cantano, e poi tutti vengono investiti da una pioggia di rane. Un’opera assolutamente sterminata e bigger than life, e per questo estremamente generosa. Adorabili le canzoni di Aimée Mann.

Ubriaco d’amore (2002): il “brusco” cambio di rotta. Inizio: un’assurda telefonata, una macchina che si rovescia, una pianola. Uh. Barry Egan ha sempre vissuto con sette sorelle, che in qualche modo lo hanno sempre soffocato (“sessualmente”), e colleziona punti-omaggio. Viene ricattato dal capo di una linea erotica, mentre s’innamora di Lena. Una commedia assolutamente fuori dai canoni, che sbanda, accumula e prende una via tutta sua. Forse il film più personale di Anderson, il suo “ufo”. Adam Sandler inedito e grandioso.

Il petroliere (2007): secondo cambio di rotta nella filmografia del regista. California, inizio ‘900: un piccolo minatore trova l’oro nero, ed inizia ad arricchirsi. Ci sarà sangue. Anderson prende i due princìpi cardine della società americana moderna (capitalismo e religione) ed affresca la sua “nascita di una nazione”. Impalcatura che richiama Huston e Kazan, e primi 15 minuti da infarto, cinema distillato e purissimo. Musiche “stonate” di Jonny Greenwood tra le più inquietanti ed importanti degli ultimi 10 anni. Daniel Day-Lewis è così enorme che può permettersi di bere tutti i nostri milkshake.

The Master (2012): Freddie è un reduce della Seconda Guerra Mondiale. Tornato salvo, ma non “sano”, incontra Lancaster Dodd, il “Maestro” a capo di una specie di setta… Scientology è solo il punto di partenza: e infatti quasi nessuno lo cita più parlando del film. “Prendete il controllo della vostra vita”: ma come può farlo Freddie, ferito e turbato nell’anima per sempre? Anderson ritira fuori lo splendore anacronistico del 70mm per nascondere sotto una patina elegantissima le contraddizioni di un paese dilaniato. Giganteschi Phoenix e Hoffman, ma Amy Adams è così sottile e inquietante da turbare. Musiche di Greenwood impressionanti. Non per tutti, difficile e da ripensare: ma è unico e tristissimo.