Torno da mia madre: il trailer italiano della commedia francese campione d’incassi
Dramma e conflitti del ritorno in famiglia della generazione “boomerang” protagonisti della commedia francese di Eric Lavaine
Mentre la perdita di lavoro, difficoltà economiche, crisi sentimentali ed esistenziali, continuano a riportare a casa ogni genere di adulto, Eric Lavaine decide di affrontare gioie e conflitti della cosiddetta generazione “boomerang”, portando al cinema Torno da mia madre (Retour Chez Ma Mère, Francia – 2016 – 91 minuti).
Tornando a collaborare con lo sceneggiatore Héctor Cabello Reye, Lavaine distilla la sua commedia francese dal dramma di chi passa da tutto a niente, da una vita indipendente al ritorno a rancori, conflitti e incomprensioni di famiglia.
Nella sinossi, Stéphanie (Alexandra Lamy) ha 40 anni, è divorziata e ha perso il lavoro. Si trova così costretta a tornare a vivere da sua madre Jacqueline (Josiane Balasko), che la accoglie a braccia aperte nel proprio appartamento. La convivenza non è facile e le strambe abitudini della madre si rivelano il pretesto per nascondere… un piccante segreto (Didier Flamand). Quando tutti i fratelli si riuniscono per cena, ecco che la tavola imbandita si trasforma in un campo di battaglia dove invidie e regolamenti di conti trovano spazio tra i gustosi piatti preparati da Jacqueline. Benvenuti in un universo ad alto rischio: la famiglia!
Il film del regista di Barbecue è una produzione Same Player e Pathé Production, coprodotta da TF1 Films Production, Appaloosa Cinema, SCOPE Pictures, Chabraque & Ryoan che, dopo lo straordinario successo ricevuto in Francia con 1 milione e 500 mila spettatori, 10 milioni di incasso e 3 settimane in testa al box office, arriva nelle nostre sale, distribuita da Officine UBU, dal 25 agosto 2016.
Intervista a Éric Lavaine
Com’è nato questo progetto?
Guardando dei reportage sulla “generazione boomerang”. Sotto questo aggettivo piuttosto divertente, si nasconde un dramma. Oltre alla “generazione Tanguy”, coloro che decidono tranquillamente di restare con i propri genitori, abbiamo anche quella “boomerang”, rappresentata da coloro che sono costretti o forzati a tornare a vivere dai genitori. Questo fenomeno, che ha colpito maggiormente i paesi del Sud Europa, a cominciare dalla Spagna, toccherà 410.000 Francesi adulti. Ci si ritrova costretti a tornare a vivere dai propri parenti generalmente a seguito di un licenziamento, a delle difficoltà economiche o a una rottura sentimentale. Quindi non è per scelta che si torna nel nido materno!
Per lei, è l’occasione di parlare della famiglia?
In BARBECUE, il mio penultimo film, mi sono interessato agli amici e questa volta in TORNO DA MIA MADRE mi occupo della famiglia: una quarantenne che torna a vivere dalla mamma mi sembrava un buon pretesto per affrontare il tema. È una questione che mi tocca perché, come faccio dire a uno dei personaggi: “Adoro i miei genitori, ma da qui a passare la vita con loro… al massimo un week-end!”. È l’identità della famiglia: è il posto dei regolamenti di conti, del non-detto e dei conflitti, ma al tempo stesso è una base fondamentale.
Fare ridere raccontando di una quarantenne obbligata a tornare a vivere dalla madre perché disoccupata è stata una scommessa rischiosa…
Anche restando ancorati alla realtà si possono avere delle situazioni molto divertenti. Il dramma genera spesso la commedia. E la risata è un modo formidabile di comunicare delle sensazioni e delle idee. Il rischio che si corre è che le risate “spengano” l’emozione. In TORNO DA MIA MADRE, è stato necessario dosarle per lasciare spazio anche allo smarrimento di Stéphanie.
Lei non esita a parlare della sessualità dei anziani.
L’altro aspetto che mi interessava nella situazione di una figlia che torna a vivere dalla madre, è che una volta adulti e si ha la fortuna di avere ancora i genitori, ci si sente ancora bambini. Si attribuisce al genitore la sola funzione di madre o padre, e si tralascia la loro funzione di amanti. Di colpo, parlare di sessualità degli anziani diventa un tabù: si nega ai nostri genitori il diritto di avere una vita sentimentale e sessuale. La visione infantile che ha Stéphanie di sua madre mi ha divertito.
Lei tratta anche del conflitto tra fratelli…
Quando mi sono accostato al soggetto, ciò che mi ha colpito, è stato che persone della “generazione boomerang” subiscono una doppia pena: non solo si confrontano con la loro sconfitta – ritrovarsi nella stanza della propria adolescenza è umiliante – ma i loro fratelli e sorelle non gli perdonano il fatto di rifugiarsi da mamma e papà. Pensano che se ne approfittino, e da qui parte una forma di gelosia.
Lei ha collaborato spesso con lo sceneggiatore Héctor Cabello Reyes. Come è stato scrivere con lui?
Solitamente partiamo da un’idea che mi diverte. Successivamente, si lavora a quattro mani. Trovo che scrivere sia già complicato in sé, e scrivere da soli è molto difficile per me: mi annoio molto velocemente. Ho bisogno di un compagno per divertirmi, testare le idee e trovare una soluzione: Héctor mi permette di avere uno sguardo più critico sui dialoghi. E poi, su un soggetto così ampio come la famiglia, ognuno può apportare il proprio vissuto. In questo modo abbiamo il doppio delle cose da raccontare. Peschiamo dalle nostre vite personali. Inoltre, Héctor possiede una qualità formidabile: è un attore eccellente, che coinvolge.
Lei mette in scena delle sequenze comiche inaspettate, come l’appuntamento di Stéphanie all’ufficio di collocamento.
Anche qui, questo tipo di scena parte da una constatazione della realtà. Quando l’agente dell’ufficio di collocamento, interpretato da Patrick Bosso, dice a Stéphanie: “Non le resta che lanciarsi nel coaching”, è molto vicino alla realtà: basti vedere il numero di persone disoccupate che decidono di diventare coach per gli altri! Lo stesso vale quando Stéphanie si accorge che il posto in “marketing relazionale” che le viene proposto consiste nel distribuire dei volantini su pattini a rotelle, e che suo fratello riprende con “Perché non hai accettato? Non esistono sotto-mestieri”, mi è venuta voglia di fare la guerra a tutti quei cliché che sentiamo in continuazione. Dire che non ci sono sotto-mestieri, è insopportabile! Ci sono molti più sotto-mestieri che professioni gratificanti e valorizzanti. Quello che mi piace nel cinema, è la possibilità di far ridere sulla base di miei pensieri su alcuni argomenti.
Il personaggio di Stéphanie vive un periodo molto difficile della sua vita…
Mi sono ispirato a un’amica architetto: aveva i soldi, una vita facile e poi un giorno ha perduto tutto. Passare da TUTTO a NIENTE è molto difficile da sopportare. Per descrivere la vita di Stéphanie fino a questo momento – il suo periodo felice – ho avuto l’idea di un’apertura molto glamour: il paesaggio è grandioso, il tempo è bello, lei è bella nella sua Audi decappottabile.. Audi che lei restituisce alla fine dei titoli di testa. E’ la fine dei giorni facili… e l’inizio del film!
Dall’inizio del film percepiamo lo smarrimento di Stéphanie.
Alla fine, il disagio morale è tanto importante quanto il disagio materiale. Dal momento in cui Stéphanie si trasferisce dalla madre, lei si prende subito cura della figlia per quale proviamo profonda empatia. Come nella scena dove Stéphanie perde la pazienza per la zip inceppata di suo figlio, sotto l’occhio sconcertato delle due giovani madri. Non è facile per lei assumere il ruolo di madre in un contesto tale e non riesce ad essere di esempio nei confronti del figlio.
Alla fine, il personaggio di Josiane Balasko è il solo ad avere una vita amorosa soddisfacente.
Esattamente! Sono sempre coloro che non consideriamo a essere i più felici. Nella nostra società, a causa delle convenzioni, tendiamo a rifiutare il fatto che i nostri genitori possano avere una vita amorosa e intima. I figli di Josiane Balasko dovrebbero gioire del fatto che la loro madre sia felice. Alla fine del film, è la madre che, malgrado l’età, è il personaggio più aperto: lei ha senza dubbio compreso la vita meglio degli altri. Penso che lei abbia qualcosa di molto moderno. Lei ha una doppia vita da molto tempo, senza che il marito o i figli se ne siano mai accorti. Anche questo viene da una storia vera: ho un amico che mi ha raccontato che quando aveva dieci anni, con sua madre, è rimasto bloccato con l’auto in panne in piena notte. Erano le vacanze estive e il padre era rimato a Parigi. E bene, è stato il vicino del secondo piano che ha aiutato sua madre “per caso”, li ha raggiunti alle tre del mattino fino in Bretagna! Dopo la morte del padre, sua madre e il vicino sono andati a vivere insieme ufficializzando una relazione segreta che continuava da più di vent’anni!
Come ha scelto le sue attrici?
Josiane, Mathilde e Alexandra hanno un punto in comune: hanno il ritmo. E che sia per la commedia o per il dramma, è la maestria della tempistica che fa le grandi attrici. Per quanto riguarda Alexandra Lamy, raramente mi è capitato di lavorare con un’attrice che così brava nella commedia, che incarna così bene un personaggio e che sappia suscitare empatia ed emozioni. Alexandra è molto ancorata alla realtà: è una tosta, viene dalle Cevenne! C’è sempre un lato di “vita vissuta” nelle sue interpretazioni, e questo rende i personaggi che incarna molto credibili! Anche se l’avevo già vista in RICKY di François Ozon, è stato soprattutto in funzione di un “colpo di forchetta” che l’ho scelta. Per un primo incontro, l’ho invitata al ristorante italiano di un mio amico. Dal mio primo incontro con Alexandra, che non conoscevo di persona, rapito dalla sua simpatia: malgrado l’aspetto sofisticato, ho avuto l’impressione di essere con uno dei miei migliori amici! E sul set è stato un vero spasso: si è sempre adattata a tutto. Per la madre, ho voluto un’attrice che fosse la Mamma italiana: penso che con le sue rotondità, Josiane Balasko manifesti una sensualità che si presta molto bene ad una vita sentimentale-sessuale raggiante. Con una piccola donna magra si sarebbe perso tutto questo. Josiane è una golosa della vita. Sono cresciuto con LES BRONZÉS e quando ho saputo che Balasko aveva letto la sceneggiatura e che voleva fare il film, per me è stato un sogno! E’ sempre stata molto rispettosa della sceneggiatura, anche se l’avevo incoraggiata a fare delle proposte. Ci siamo incontrati e mi ha fatto morire dalle risate. E soprattutto, si è intesa alla grande con Alexandra. Per la sorella, volevo una ragazza piuttosto carina e Mathilde è una bella donna. Mathilde interpreta una donna gelosa della sorella e se avesse avuto un brutto aspetto sarebbe stato meno divertente. Mathilde è bravissima ad interpretare il ruolo della cattiva pur generando empatia nei suoi confronti. Qui lei interpreta una donna infelice e che ce l’ha con il mondo intero; non si vuole bene e – come tutte le persone che non si vogliono bene – non vuole bene nemmeno agli altri. E’ necessario che suo marito la lasci per rendersi conto che lei tiene a lui. Inoltre, è molto contenta di sentirsi – senza dubbio per la prima volta – superiore a sua sorella minore: è molto difficile per lei ammettere che è sempre stata gelosa di Stéphanie. Ma poi anche lei finisce per deporre le armi. Mathilde è un’attrice formidabile e le sue occhiate a Jérôme Commandeur sono irresistibili.
E i suoi attori?
Jérôme Commandeur mi ha fatto pensare a Jacques Villeret ma più bello. Nella vita è molto divertente, con un certa fragilità, e anche se non è un veterano come Josiane, è avido di apprendimento e tra qualche anno sarà un attore affermato. In TORNO DA MIA MADRE, è un componente esterno della famiglia e interpreta un ragazzo molto gentile; sembra un po’ babbeo ma in fondo è solo molto attaccato al suo lavoro che adora. Non è fondamentale all’intrigo che lui dia un corso di psicologia a Stéphanie sulla “ricerca dell’utero materno” o che sia ossessionato dalle sue Stabilo, ma questo mi ha permesso di costruire dei bei momenti comici. Senza che lo sapessi all’inizio, la scelta di Philippe Lefebvre è stata una fortuna: è il sogno di ogni regista. Fa delle proposte, integra le indicazioni che gli vengono date e ha sempre ragione. E’ un attore formidabile con una grande filmografia alle spalle. Per l’amante della madre volevo un tipo seducente che formasse una coppia credibile con Josiane. Con Didier Flamand – che è irresistibile sia in scena che fuori – trovo che la coppia sia perfettamente verosimile: Josiane irradia e Didier potrebbe essere facilmente sedotto da lei e dal suo aspetto “italiano”.
Quali sono state le sue priorità nella messa in scena?
Dal momento in cui si fa un film per il cinema, c’è un servizio minimo che noi dobbiamo allo spettatore: ai miei occhi, il film deve essere bello e giusto. Non cerco effetti particolari, ma il risultato finale deve essere al servizio della situazione. Preferisco parlare di direzione artistica che di messa in scena. D’altro canto, volevo che il film fosse ambientato nel sud per privilegiare i colori caldi. Con il mio capo-operatore François Hernandez, abbiamo lavorato in stretto contatto con i costumi e la scenografia. D’altronde, i vestiti di Josiane riprendono i colori dell’appartamento come se lei si fondesse con la scenografia per dimostrare che lei abita lì da molto.
Tecnicamente è un film dotato di grande fluidità.
Questo film sarebbe potuto essere un pièce teatrale – ma siamo al cinema! E quindi abbiamo bisogno di una scrittura cinematografica ed effettivamente la fluidità globale è quello che mi interessa. Il film si svolge spesso in ambienti molto ristretti ed ho fatto in modo che film non fosse una semplice concatenazione di campi e controcampi. Per la scena della cena di famiglia, che è abbastanza lunga, mi sono spostato in maniera impercettibile da inquadrature larghe a quelle più strette. Più si entrava nei discorsi tra fratelli e sorelle, più le inquadrature divenivano strette. Abbiamo girato in un vecchio condominio di uffici, dove abbiamo ricostruito un appartamento molto più vasto di quello che sembra. Avevo lo spazio per fare grandi cose con le lenti focali!
A chi avete affidato le musiche?
Ho organizzato un casting! Ho chiesto a tre musicisti di basarsi su tre sequenze del film, specificando loro quello che volevo in termini di atmosfera: li ho avvertiti che avrei ascoltato le loro proposte una sola volta poiché lo spettatore in sala ascolta una sola volta i loro pezzi (e che avremmo potuto declinare in più varianti il tema). E così ho selezionato Fabien Cahen, storico collaboratore di Zazie. Penso che la musica sia molto riuscita: non è sentimentale ed è priva di effetti stilistici. Offre una certa coerenza all’insieme.
Mi parli della canzone di apertura.
Ho scelto “Any Story” di Hindi Zahra per aprire e chiudere il mio film. È un titolo dolce, avvolgente, con una certa malinconia. È una canzone che si sposa bene con lo spirito di TORNO DA MIA MADRE; era necessario che questi due o tre giorni che passiamo con questa famiglia ci rendessero felici anche se la situazione non fosse fondamentalmente cambiata. Non bisogna dimenticare che c’è un amore molto forte che lega questi fratelli e sorelle. E che bisogna lasciar correre i rancori e il “non-detto” per arrivare a ciò che di più bello può regalare la famiglia.