Totò, Peppino e… La banda degli onesti
Nel 1956 usciva “La banda degli onesti”, film che consacrava una delle coppie storiche della commedia italiana, quella formata da Totò e Peppino De Filippo.
Franco e Ciccio, Gianni e Pinotto, Bud Spencer e Terence Hill, Dean Martin e Jerry Lewis, Stanlio e Ollio e… Totò e Peppino, come dimenticare gli irresistibili duetti di Antonio De Curtis e Peppino De Filippo in classici come “Totò e Peppino e la Malafemmina”, “Totò Peppino e la Dolce vita” e soprattutto “La banda degli onesti”, film che di fatto consacrò una delle coppie storiche della comicità italiana.
Cardone: “Mi raccomando, fatevi dare una banconota da 10.000 lire, bella grande”.
Antonio: “Sì, me la faccio dare a due piazze, la banconota da 10.000 lire è misura standard”.
“La banda degli onesti” diretto nel 1956 da Camillo Mastrocinque e scritto da Age e Scarpelli resta uno degli apici della comicità all’italiana con battute memorabili e un brio che ritroveremo in un classico come “I soliti ignoti” e che avevamo già saggiato in “Un americano a Roma”.
Quella di Totò e Peppino De Filippo è una comicità schietta capace di far scaturire la risata senza ricorrere a volgarità, ma con rodate gag che miscelavano avanspettacolo, la trascinante fisicità di Totò e la vis teatrale e sorniona di De Filippo, per un mix irresistibile che resta ad oggi inarrivabile e purtroppo all’epoca spesso sminuito da una certa critica snob e ben poco lungimirante, ma il tempo vedrà premiati Totò e Peppino e le loro schermaglie a fil di battuta.
Cardone: No, no e poi no! Io la notte voglio dormire tranquillo, non voglio essere roso dai morsi della coscienza.
Lo Turco: Allora volete essere roso dai morsi della fame?
“La banda degli onesti” ci racconta di Antonio Bonocore (Totò), portiere di uno stabile di Roma che dopo la morte di un anziano inquilino si ritrova in possesso di una valigia che contiene alcuni cliché originali della Banca d’Italia e della carta filigranata per stampare delle banconote da 10.000 lire. Bonocore invece di liberarsi della valigia e del suo scomodo contenuto decide di usarlo mettendo insieme un’improbabile squadra di falsari della domenica, allestendo una stamperia clandestina e chiedendo la collaborazione del tipografo Giuseppe Lo Turco (Peppino de Filippo) e del pittore Cardone (Giacomo Furia), naturalmente entrambi in bolletta. Dopo essere riusciti a stampare e spacciare una banconota da 10.000 lire si scatenerà il panico a causa del figlio finanziere di Bonocore: il ragazzo, infatti, confiderà al padre di un’indagine in corso su un giro di banconote contraffatte…
Da notare che il sodalizio di Totò con Peppino De Filippo arriva al suo apice nel periodo in cui la malattia degenerativa che colpì Totò agli occhi lo rese quasi cieco, ma Totò riusciva comunque a recitare, atto che per lui era naturale quanto il respirare. Sul set, nonostante le difficoltà, Totò sfoggiava una presenza scenica innata e un’alchimia con il suo partner che si percepiva in una sintonia quasi simbiotica.
Lo Turco: Io vado a Montecarlo.
Antonio: Ah!
Lo Turco: Li c’è il casinò.
Antonio: Ma, che bisogno c’è di arrivare a Montecarlo, se il casino lo teniamo già qua.
“Se potessi avere mille lire al mese” intonava Gilberto Mazzi nel celebre brano del ’39 e la banda di falsari della domenica capitanata da Totò di lire negli anni ’50 ne sognava in banconote da diecimila e per un po’ il sogno si è materializzato, ma una banda di criminali onesti non ha ragion d’essere e visto che il crimine non paga, il terzetto alla fine del film finirà per rimetterci di tasca propria e ritrovarsi ancora indebitato fino al collo e con in tasca neanche le “Mille lire” della famosa canzone. Di questo si parlerà in uno dei prossimi post di Soundsblog: non perdetevelo, soprattutto se siete alla ricerca di qualche indizio per scoprire un oggetto misterioso…
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