Trance: recensione in anteprima dal Taormina Film Fest
Col suo ultimo “Trance” Danny Boyle, dopo l’ottimo “127 ore”, gioca ancora coi generi consegnando una storia in bilico tra onirismo, crime-movie e perfino melò e proseguendo audacemente la sua ricerca poetica basata sul rapporto tra immagini e suoni. Forse sacrificato sul piano dei contenuti ma la forma svolge ancora egregiamente il suo lavoro.
“Trance”, in termini medici, esprime lo stato psicofisiologico contrapposto alla coscienza e caratterizzato dall’alterazione di sé, del proprio corpo e del mondo circostante, generalmente indotto grazie all’opera di soggetti esterni (psicologici o sciamani). Ma trance, in senso figurato, viene anche detto quello stato di estasi o esaltazione provocato da stimoli esterni come musica o danza. Entrambe le accezioni si sposano bene all’ultimo lavoro del talentuoso Danny Boyle, il secondo del suo percorso post-Oscar dopo quel riuscito tour-de-force visivo-sonoro che è 127 ore.
“Trance” il film, visto al Taormina Film Fest, racconta la storia classica di un furto di opere d’arte, complicato però dall’incidente occorso ad uno dei rapinatori (James McCavoy) e dalla sua successiva amnesia. Qui il tema del trance (la classica catalessi) si incardina come l’espediente medico utilizzato da una psicoterapeuta (Rosario Dawson) per riportare alla luce i ricordi sulla rapina e relativo luogo in cui è nascosta la refurtiva (il celebre “Volo delle streghe di Goya) . Da un’altra prospettiva “Trance” è però anche il pretesto per l’ennesima messa in scena, per suoni, colori e fibrillazioni, dell’immaginario di Danny Boyle, un altro attacco “sensoriale” all’equilibrio dello spettatore e alle sue certezze condotto da un autore che esplora i generi con la sicurezza di uno sciamano (o di un ipnoterapeuta) e attraverso l’abile manipolazione di ogni stimolo esterno.
Il decimo lungometraggio del regista britannico, a parte il generico accenno al plot di cui sopra, è dunque una di quelle pellicole che non può (né deve) essere raccontata perché appartenente a un certo filone di opere-rompicapo in cui gli elementi e i colpi di scena, di cui si presagisce senza problemi l’imminenza, rappresentano parte indispensabile del gioco e del relativo divertimento. Abbandonarsi a questa sciarada, senza però coltivare troppe aspettative o avanzare pretese di significati, è quindi una condizione indispensabile per lo spettatore smaliziato. E guardata con la giusta propensione “Trance” è una pellicola che, senza strafare, soddisfa appieno quest’ultimo.
Stilisticamente il film di Boyle prosegue su quella stessa ricerca sonora e visiva che aveva toccato il suo apice nella rappresentazione del dramma di 127 ore, dove le sperimentazioni linguistiche utilizzate (flashback, split screen e found-footage) supplivano perfettamente ai limiti spazio-temporali della vicenda, affidata lì a un solo io-narrante, e riuscivano a bilanciare perfettamente la disperazione dell’intrappolamento con esaltanti slanci cinematografici nati dalla fantasia del protagonista. Qui invece, nonostante la presenza di più personaggi (tra cui il capobanda Vincent Cassel, terzo lato del triangolo), si respira un’atmosfera decisamente più chiusa e soffocante, come a voler comunicare la gabbia in cui l’amnesia ha rinchiuso il suo fragile protagonista.
Se infatti il luogo in cui si svolge la vicenda è Londra, quella però più algida fatta di architetture moderne o sotterranei metropolitani, a Boyle stavolta interessano più gli interni, affidati ad asettici studi e appartamenti in penombra o illuminati da luci innaturali, mentre la costante presenza di specchi e vetrate “sdoppiano” il protagonista o rimandano alle silhouette abbozzate degli altri, secondo una precisa scelta visuale che sembra ribadire la filosofia di fondo del film, ovvero che tutti (e tutto) forse non sono quello che sembrano. Il “trance” del titolo poi dà l’occasione al film di librarsi attraverso sequenze oniriche in cui i piani della realtà e quelli del sogno mentale si incontrano e si sovrappongono, generando ulteriori cortocircuiti nella mente del protagonista e, inevitabilmente, in quelle degli spettatori. Non siamo dalle parti delle geometriche reviviscenze di Nolan ma il gioco comunque ha un suo fascino.
A completare il “quadro” (in ogni senso) e complicare lo spaesamento generale provvede poi un tappeto sonoro come sempre selezionato ad arte e con un senso perfetto dei tempi e dei suoni della modernità ( a svolgere l’egregio lavoro sulla musica è stato chiamato ancora l’esperto dell’elettronica Rick Smith del duo degli Underworld, già responsabili del tormentone di Trainspotting, Born- Slippy).
Certo a fine visione resta tangibile la sensazione che il gioco intavolato dal regista abbia finito per soffocare l’approfondimento psicologico dei protagonisti (nonostante il diligente lavoro degli attori e con il bravo McAvoy una spanna su tutti, non si va oltre figure un po’ schematiche ), e magari a Boyle non interessava più di tanto andare oltre simili abbozzi meramente funzionali al gioco. In ogni caso non si può restare indifferenti di fronte alle sue sempre formidabili capacità di metteur en scène e soprattutto di abile frullatore di generi cinematografici, che in questo caso vanno dall’heist-movie (con un inizio che sembra provenire dritto da “Gioco a due”) al film psicologico fino al dramma dotato di un suo cuore malinconico e autentico. In mezzo poi c’è perfino un lieve riferimento al tema della vita che imita l’arte e che, magari, non sarebbe dispiaciuto all’ultimo Tornatore; è solo un accenno, si badi, ma che riesce comunque a lasciare un suo segno.
Insomma c’è tanta carne al fuoco in questo ultimo lavoro di Danny Boyle e forse il tema stesso del trance non è sfruttato al meglio della sua complessità psicologica o della sua pericolosità clinica, riducendosi più che altro a pretesto per lasciare campo libero alla fervida inventiva del suo cineasta. Però c’è anche tanto di quell’amore dell’autore per il cinema, quel cinema inteso come esperienza totalizzante dal punto di vista visivo e sonoro, che alla fine gli si perdona volentieri anche il peccato veniale di una certa mancanza di sostanza.
Voto di Andrea: 7
Voto di Gabriele: 4
Voto di Federico: 4,5
Trance: (Regno Unito 2013 – Drammatico – Durata: 101 minuti) di Danny Boyle con James McAvoy, Vincent Cassel, Rosario Dawson, Danny Sapani, Matt Cross, Wahab Sheikh, Mark Poltimore, Tuppence Middleton, Simon Kunz, Michael Shaeffer, Vincent Montuel. Ecco il trailer.