Transcendence: Recensione in Anteprima del film con Johnny Depp
Cosa succederebbe se un’Intelligenza Artificiale maturasse una coscienza oppure si affidasse ad una già esistente? Nel solco di questo complesso quesito apparentemente fantascientifico Wally Pfister edifica il suo debutto da regista in Transcendence
In un mondo che prima di andare a letto lasciamo in un modo per poi trovarlo completamente cambiato al mattino dopo, questioni come l’interconnessione e le intelligenze artificiali diventano argomenti reali. Fino a qualche tempo fa appannaggio esclusivo della Fantascienza, negli ultimi anni certi fenomeni cominciano ad assumere una valenza diversa, non del tutto avulsi da un contesto futuristico e futuribile, certo, ma il cui retrogusto è sempre più sospettosamente familiare.
In Transcendence la provocazione parte dal titolo, che applica una categoria non propriamente tecnologica ad un processo meramente tecnologico. Una sfida in cui Wally Pfister, il direttore della fotografia di Chris Nolan, si getta con non poco coraggio: trattasi infatti del suo primo lungometraggio in qualità di regista. E che la soglia del rischio fosse alta non lo si scopre certo adesso, a cose fatte, visto che lo stesso Pfister ha pubblicamente espresso nel recente passato alcune riserve riguardo all’imbarcarsi in un progetto così ambizioso. Ma vediamo di che parla Transcendence.
Will Caster (Johnny Depp), un geniale nonché acclamatissimo scienziato, porta avanti teorie nient’affatto ortodosse in merito allo sviluppo di un’intelligenza artificiale collettiva: il suo obiettivo è quello di servirsi della rete per potenziare all’inverosimile tale intelligenza, aprendo a scenari effettivamente impensabili. Resta da stabilire quali implicazioni comporterebbe un passaggio del genere, oltre a soffermarsi su come e se sia poi gestibile un potere di questo tipo. Il discorso è complesso, tuttavia il dottor Caster e la sua fedele ed altrettanto spigliata moglie Evelyn (Rebecca Hall) tendono a minimizzare le implicazioni negative, spingendo ugualmente verso tale direzione.
Non a caso Will lavora per conto suo ad un progetto che prende il nome di PINN (Physically Independent Neural Network), una macchina senziente in grado di “ospitare” una non meglio precisata coscienza (d’ora in avanti ci serviremo di questo termine per comodità ancor prima che per convenzione, pur consapevoli che tale definizione è impropria). In un contesto del genere, perciò, non possono mancare degli oppositori, ossia un gruppo auto-costituitosi sotto il nome di RIFT (Revolutionary Independence From Technology), nemico giurato di questo disumanizzante processo teso ad accorciare sempre di più il confine tra uomo e macchina. Senonché Will, prossimo alla sua dipartita, decide di servirsi di PINN per conservare la sua di coscienza, ossia ricordi, esperienze e conoscenze maturati nel corso di una vita: perché, vedete, stabilire cosa sia la coscienza ma soprattutto come dimostrare di essere autocosciente è un po’ il leitmotiv su cui fa leva l’intero fulcro narrativo del film.
Come si può ben vedere, le premesse sono oltremodo invitanti. I temi evocati sono enormi nonché oggetto di un dibattito ancora in corso e ben lungi dal potersi anche solo dire vicino alla conclusione. Ma qui non siamo in aule accademiche, né tantomeno in certi convegni dove luminari o sedicenti tali s’incontrano per discutere con competenza circa il futuro che ci aspetta. Siamo al cinema, dunque, quali che siano le tesi, bisogna in qualche modo coinvolgere prima che convincere. Un traguardo che Pfister e soci hanno senz’altro chiaro in mente, dato che Transcendence non si pone affatto alla stregua di un’opera di divulgazione scientifica, restando piuttosto fedele alle istanze di un’opera di finzione.
Ciononostante è proprio su questo campo che il film si scontra con alcuni scogli che tenta di oltrepassare con nemmeno troppa convinzione. Come accade spesso con direttori della fotografia che optano per il “grande salto”, la naturale inclinazione a conferire un impatto visivo degno di nota tende a prevalere su altre esigenze parimenti essenziali, se non addirittura prioritarie a seconda del progetto. Questo è uno di quei casi in cui la narrazione ha il compito di compattare la cospicua mole di spunti di cui il film si fa portavoce; ed è proprio su questo campo che Pfister ahinoi un po’ si perde.
Perché Transcendence è un film che, a dispetto delle apparenze, dà l’idea di un lavoro in fondo piccolino, quasi intimo se possibile: due/tre location base, pochi attori, un’atmosfera da horror sci-fi, ma soprattutto una love story. Jack Paglen (lo sceneggiatore) si barcamena a stento tra il generale di una tematica a carattere planetario ed il “privato” di una storia d’amore tra due persone. Una chiave interessante, funzionale al discorso peraltro, laddove bisogna in qualche modo mettere in evidenza l’opposizione tra una fredda evoluzione tecnologica e ciò che definisce certi personaggi come umani. Solo che il tutto appare così stringato, talmente ridotto da non lasciare emergere l’enorme potenziale che senz’altro giace al cuore di una trama di questo tipo.
Johnny Depp, per esempio, è sorprendentemente distaccato, impersonale, atteggiamento che trova fondamento fino ad un certo punto nel ruolo che è chiamato ad interpretare. Specie in relazione alla piega che alla fine prende la trama, quando un twist sottile ma percettibile rimette in gioco tutto, in parte dissociando la stessa dalle tesi fino a quel momento espresse. Una volta immessa nella rete, la coscienza di Will si appropria delle sconfinate conoscenze che circolano nell’etere in forma di pacchetti dati o che so io. Diventa insomma quel dio al quale lui stesso velatamente allude all’inizio del film: non mancano in tal senso gli ammiccamenti a certi episodi evangelici, come il miracolo del cieco nato o il concetto stesso di risurrezione.
Transcendence ha l’innegabile pregio di aprire a discussioni le più alte, questo sì. Tra filosofia, etica, religione, morale, robotica, eugentica, tecnologia e scienza in generale c’è tanta di quella carne al fuoco da far impallidire anche il più scafato. Ed è bene evocarne almeno uno di questi accenni, giusto per dare un’idea circa la portata delle ambizioni dell’intero progetto.
Un’opera che, procedendo su un terreno prettamente filosofico, in un primo momento vira su un neo-platonismo filosofico notevole, spingendo sul concetto di Idea, sull’incorporeità del nostro essere, ossia su ciò che abbiamo di più intimo. Salvo poi aprire, per l’appunto, ad un aristotelismo che profuma di San Tommaso d’Aquino, nella misura in cui, sul finire, la tesi a lungo sebbene poco efficacemente coltivata nel corso del film viene ribaltata: quando la scoperta della verità su Will ed il suo operato passa da un processo di (re)incarnazione, sotto una forma a questo punto “gloriosa” (di nuovo il Nuovo Testamento). Tutti spunti come abbiamo già sostenuto notevoli, sorretti però da uno storytelling claudicante, difficilmente incisivo.
Finché si tratta di spiazzarci con un’estemporanea panoramica, si vede che Pfister è a suo agio; le incertezze emergono, purtroppo, quando si tratta di convogliare tutta questa gran roba verso un centro che dia consistenza e stabilità: anche perché, in tal senso, un qualunque Ghost in the Shell ha già detto di più, e meglio. Così com’è Transcendence si limita più che altro a solleticare le menti al fine di porre le domande giuste, che non è poco; ma per toccare i tasti giusti, quelli che per così dire muovono, ci vuole anche altro.
Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 4
Transcendence (USA, 2014) di Wally Pfister. Con Johnny Depp, Paul Bettany, Rebecca Hall, Kate Mara, Cillian Murphy Clifton Collins Jr. e Morgan Freeman. Nelle nostre sale da domani, giovedì 17 aprile.