Trash a Roma 2014: una favola-thriller raccontata da Stephen Daldry, Richard Curtis, Rooney Mara
Parlando di Trash con il regista Stephen Daldry, lo sceneggiatore Richard Curtis e la protagonista femminile Rooney Mara al Festival Internazionale del Film di Roma 2014.
La nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma ha ospitato l’anteprima europea di Trash, il thriller dai tratti fiabeschi, sceneggiato da Richard Curtis partendo dall’omonimo romanzo di Andy Mulligan e diretto da Stephen Daldry.
Un film già applaudito al Rio Film Festival, distribuito da Universal Pictures nei cinema italiani il 27 novembre 2014, raccontato dai suoi stessi protagonisti attraverso un Roundtable con il regista Stephen Daldry, lo sceneggiatore Richard Curtis e la protagonista femminile Rooney Mara.
Una tavola rotonda che ha permesso a giornalisti di testate italiane e internazionali di parlare del film direttamente con Stephen Daldry, il ben noto regista teatrale e cinematografico inglese, apprezzato per aver saputo portare il ritmo di Billy Elliot sia al cinema che a teatro, ora di nuovo alle prese con il mondo dei ragazzi.
Il film è una favola? C’è una vena ottimistica in questo Brasile?
Nel mio paese ironia e cinismo convivono tra loro, e si accompagnano a un’idea di disperazione connessa con la voglia di cambiamento di persone che vivono in condizioni di povertà estrema, comunità messe alla prova dalle condizioni di vita. Le persone in Brasile avvertono questa spinta ottimistica verso il cambiamento. È una favola, una storia improbabile, la maggior parte delle storie che raccontiamo hanno dell’incredibile. Non solo questi tre ragazzi, ma tutti quelli che ho incontrato, hanno un forte senso della giustizia e della realtà. Ho provato a mettere tutto questo nel film, anche improvvisando, abbiamo infatti permesso ai ragazzi di cambiare quel che volevano e per quanto fosse possibile di calare la storia nella loro realtà. Gli ho chiesto quale fosse il futuro del Brasile e loro hanno voluto dire la loro. È stato caotico, pazzesco, ma meraviglioso.
Qual è la sua opinione sulle Olimpiadi in Brasile?
Abbiamo incontrato manifestazioni, non organizzate da partiti, ma da una fascia molto ampia di popolazione, la middle-class come le classi più povere. L’aspetto affascinante è che ci si trova di fronte a una protesta guidata da rabbia mista a speranza e ottimismo. Probabilmente le manifestazioni non hanno raggiunto gli obiettivi preposti, forse questo avverrà con le prossime elezioni, ma quel che conta è la speranza che le persone trasmettevano, un potente senso di giustizia e una richiesta di cambiamento. Per le Olimpiadi la preoccupazione è che ci siano obiettivi sostenibili, considerato il progetto a lunga scadenza. Ma i problemi delle Olimpiadi sono diversi da quelli emersi con i Mondiali di calcio, che sono stati funestati da scandali sulla corruzione. In Brasile la corruzione è endemica, anche tra le forze dell’ordine: la gente non si fida e ai bambini viene insegnato di non parlare con i poliziotti.
Nella sua lunga carriera ha realizzato solo 5 film, perché?
Lavoro molto a teatro. Non sono solo un regista di cinema, ho molti altri interessi, e con il cinema non si guadagna mai abbastanza. Quindi se devo guadagnare per fare un film, torno a teatro, dove i compensi sono accettabili.
Cosa cerca in una sceneggiatura?
Uno spunto interessante ovviamente, ma non c’è una regola. In questo caso era la prospettiva geografica, quante sfide mi avrebbe proposto come dovere imparare a conoscere un paese duro in cui ho vissuto per due anni, questo è stato molto difficile. Ero interessato agli ostacoli.
È stato difficile scegliere i tre ragazzi?
Un processo lungo. Volevo trovare ragazzini calati nella storia. Gli abbiamo dato blocchi narrativi da leggere, discutere, cambiare; abbiamo passato del tempo nella loro comunità per imparare a conoscerli. È il loro film. La crew brasiliana era indisciplinata, con ritmi rilassati, pronti ad assecondare i mille cambiamenti d’umore dei ragazzi, tipo “non voglio girare questa scena, ora voglio girare quella” oppure “ora non possono girare, vogliono dormire”.
Lei è riuscito ad adattarsi o ha rischiato il crollo nervoso?
Devi sapere che se dici a un ragazzino di fare qualcosa lui non lo farà mai. Lascia che siano loro a dirti quello che vogliono fare.
Qual è la differenza tra Trash e tutto il resto?
Ognuno potrebbe trovarne una. Per me è stato cercare una chiave d’accesso ai ragazzi per ottenere da loro quel che volevo. Loro sono lo spirito, il cuore e l’anima del film. La storia è semplice, simile ad altre raccontate milioni di volte a proposito di giustizia sociale e povertà o corruzione in Brasile. Tutto questo viene fuori perché i ragazzi sono parte della storia e perché ne hanno voluto parlare. Quello che la rende una storia diversa è il sentimento, lo humour, l’amicizia che i ragazzi hanno trasmesso; non ha molto a che fare con me, ma con quello che loro sono riusciti a tirare fuori. Credo che sia favoloso, per loro e per il loro paese, per superare quei pregiudizi che vedono le persone che abitano le favelas come pericolose, infelici, problematiche. Queste persone hanno un grande ottimismo e spirito di amicizia, non vorrebbero vivere altrove, le loro famiglie e le loro comunità sono lì, il loro modo di celebrare la vita nel quotidiano, nonostante la violenza, la droga, è contagioso, genuino. Ma non accade solo in Brasile. Sono stato anche in uno slum in Sud Africa, dove il senso della comunità è fortissimo, ti viene da pensare “deve essere orribile vivere lì”, ma in realtà è anche sorprendente.
Perché Rooney Mara è nel cast?
Perché ha una capacità unica, sa essere estremamente espressiva anche senza fare nulla o dire nulla. È una persona generosa, ha amato lavorare con i ragazzi, loro cominciavano a dialogare e io potevo accendere la camera a un certo punto e cominciare a girare. Lei ha trovato un modo di comunicare con loro. Lo stesso con Martin Sheen. Lui ha una forte passione politica, una vicinanza alla chiesa cattolica, derivante dal suo lavoro con le comunità, è stato molto disponibile a… creare confusione, un caos molto apprezzato dai ragazzi.
Ha un progetto in Olanda in questo periodo?
Il musical Billy Elliott è stato tradotto in olandese, stiamo provando in questo periodo; è stato tradotto in molte lingue, anche in sud coreano e in giapponese…
Ha mai pensato nella sua carriera di creare un videogioco?
Un videogioco?
No, non ci ho mai pensato, ma potrebbe essere interessante. Il mio rapporto con i computer è difficile, solo un illetterato digitale, ma sono aperto…
Alla fine è Stephen Daldry a rivolgere una domanda ai giornalisti:
Com’era il film, vi è piaciuto?
Ma per conoscere la risposta dovete andare al cinema…
Roundtable Richard Curtis
Il Roundtable del film continua parlando di ispirazioni, difficoltà e progetti futuri con Richard Curtis, acclamato sceneggiatore, regista e attore britannico dal talento versatile, capace di concepire un personaggio dalla verve comica come Mr. Bean, e commedie brillanti come Quattro matrimoni e un funerale, Il diario di Bridget Jones o Notting Hill, oltre ad essere co-fondatore e vicepresidente dell’organizzazione di beneficenza Comic Relief che si batte contro ingiustizie e povertà del mondo.
Come si è trovato a dover scrivere un film diverso dal suo stile abituale?
Ho trovato molto stimolante dover mettere a fuoco le dinamiche di un film realistico.
Qual è l’ispirazione del film?
L’ispirazione diretta è chiaramente il libro dal quale è tratto, che abbiamo provato a rendere nella maniera più vivace possibile.
Nel passaggio dal linguaggio letterario a quello cinematografico, cosa è stato più difficile da trasporre?
L’aspetto più interessante è stato visitare il Brasile per la prima volta, per verificare il grado di realismo che potevamo raggiungere. Il primo viaggio è stato davvero spiazzante, poiché l’immagine comune del Brasile è quella di un uomo che beve un cocktail sulla spiaggia di Copacabana circondato da belle ragazze. Invece, la prima cosa che abbiamo visto è stata una prigione, la seconda degli slum. Abbiamo cercato di vivere la peggiore esperienza che potevamo vivere nel Paese, per poter immergere il racconto nella realtà.
Avete valutato altre location come l’India o le Filippine?
Personalmente, ho vissuto nelle Filippine da ragazzo, quindi ero molto legato all’idea. Ma Stephen Daldry, il regista, ha trovato molto complesso il sistema di individuazione dei giovani attori (le varie audizioni, il processo di selezione, etc.). In Brasile tutto è accaduto spontaneamente.
Il libro è stato molto criticato. Quanto queste critiche hanno influenzato il suo lavoro?
Il processo è stato strano, perché all’inizio si tende a essere molto fedeli, adattando il libro alla sceneggiatura, mentre in una seconda fase si inizia a variare, a distanziarsi dal testo originale. Mettiamola a livello matematico: se nel libro accadono cento eventi e nella tua sceneggiatura ne devono accadere solo cinquanta, bisogna trovare un modo per unire l’evento N.30 con il N.40 in una concatenazione narrativa completamente diversa dal libro. Prende forma un testo completamente differente, che via via viene confrontato con il libro, accorgendosi di aver magari tralasciato degli episodi importanti: si torna al lavoro, e così via. La sorpresa, almeno speriamo, è che al termine del lavoro, lo spirito del libro rimane ed emerge intatto, pur se la concatenazione degli eventi è completamente mutata. Questa è la mia esperienza con tutti gli adattamenti a cui ho lavorato.
Qual è stata la reazione di Andy Gulliman, l’autore del libro?
Credo gli sia piaciuto molto. Ci è venuto a trovare in Brasile per un paio di settimane. Ovviamente, per lui il contrasto tra il libro e la sceneggiatura è risultato forte, essendo colui che ha immaginato l’intera storia in ogni dettaglio. Ma mi è apparso compiaciuto e felice dell’esito.
Possiamo definirlo una fiaba o un film ottimista?
Potremmo definirlo un film d’azione con un lieto fine. Nella realtà, storie del genere finirebbero con i protagonisti sbattuti in prigione o uccisi dalla polizia.
Come è stato scrivere una storia di ragazzi, si è sentito di tornare alla loro età?
Beh, il film precedente a cui avevo lavorato (Questione di tempo, 2013) aveva per protagonista un ventenne. Per tutto il tempo della lavorazione ho vissuto la contraddizione tra l’avere 60 anni e pensare come un ventenne…perché mi ricordo esattamente come vedevo e sentivo la vita a 20 anni.
In questo caso, c’è un sottotesto religioso molto forte. Sono stato molto religioso fino a 16 anni…poi ho scoperto le ragazze (ride). Inoltre, ho tre ragazzi dell’età dei protagonisti, quindi ho trovato molto interessante vedere le cose dal loro punto di vista.
Perché non scrive il seguito di Notting Hill?
Ci ho pensato. Una svolta thriller, in cui uno dei protagonisti viene ucciso…per fortuna non ci potevamo permettere Julia Roberts per il seguito, dunque non si è mai realizzato! Avevamo pensato a Hugh Bonneville come protagonista, ma non abbiamo mai nemmeno cominciato a lavorarci su.
Ma come ha immaginato i protagonisti del film nel seguito? Sono ancora felici insieme?
Non credo si possa immaginare il seguito delle storie d’amore delle commedie romantiche. Non sono molto convinto francamente che stiano ancora insieme. L’unica coppia che mi posso immaginare ancora insieme è quella di Brief Encounter (David Lean, 1945).
Lei ha questo doppio ruolo di regista e sceneggiatore. Qual è la differenza? Sembra una persona molto paziente, forse dietro la macchina da presa perde le staffe?
Diciamo che da regista ho imparato progressivamente a lavorare molto meno rispetto al passato. Una delle cose che ho amato di Trash è la gestione assolutamente fluida che ha Stephen, molto aperta alle sperimentazioni e agli imprevisti. Questo perché io sono un maniaco della precisione: quando giro un film sono molto attento ad esempio al clima, alle luci, voglio che si crei esattamente l’effetto che ho in mente. Il montaggio è stato un processo misterioso, poiché noi non sappiamo il portoghese, quindi ogni volta che tagliavamo un dialogo non sapevamo se avesse senso o meno, quindi dovevamo rivederlo con una madrelingua.
Facevate prima a imparare il portoghese!
Forse, hai ragione (ride)!
Può parlarci del suo prossimo progetto?
Ho appena terminato un film, tratto da un libro di Roal Dahl, con Judi Dench e Dustin Hoffman.
Ha in progetto un film per il periodo natalizio?
A livello cinematografico credo starò fermo per un po’. Ora mi sto concentrando nel sostegno alla lotta contro la fame nel mondo, che è un tema a me molto caro. Questo è un motivo per cui ho amato questo film, perché parla di giustizia e povertà, di eguaglianza sociale. Durante il film mi dividevo tra il lavoro sul set e l’organizzazione di una campagna a riguardo.
Può parlarci del suo ruolo attivo in queste campagne?
Sono all’interno di diversi progetti. Sostengo campagne come “Zero Poverty 2030” o “Everyone”; vogliamo che i leader dei diversi paesi prendano una posizione chiara e decisa. Stiamo cercando un linguaggio per rendere questi temi comprensibili a tutti, anche ai politici stessi, così che possano rendersi conto della gravità della situazione e della possibilità di intervento che hanno. Siamo riusciti a coinvolgere le più importanti personalità del Brasile, ad esempio. è un altro motivo per cui sono molto affezionato a questo film.
Roundtable Rooney Mara
Questo Roundtable si chiude parlando del film con l’esile e angelica Rooney Mara, irriconoscibile per chi la ricorda nelle vesti della dura Lisbeth Salander di The Girl with the Dragon Tattoo, nella versione cinematografica americana di Millennium – Uomini Che odiano le Donne, e la ritrova nei panni dimessi e il look acqua e sapone di Olivia, la giovane assistente di Padre Julliard (interpretato da Martin Sheen) che insegna inglese ai ragazzi che raccolgono rifiuti nella piccola città-discarica brasiliana (costruita appositamente per il film). L’attrice che si trova per la prima volta alle prese con la realtà delle favelas brasiliane, forte di una reale esperienza di volontariato in Kenya, e con l’organizzazione Uweza che ha fondato.
Hai avuto difficoltà a girare con una troupe in Brasile, dove i tuoi colleghi non parlavano inglese?
Recitare in un’altra lingua ovviamente non è facile, a causa della cosiddetta “barriera del linguaggio”. Francamente, non ricordo nemmeno quante volte abbiamo girato le singole scene. Ma è stato molto divertente lavorare con loro.
Ti eri documentata riguardo le favelas prima del film?
Non sapevo nulla riguardo le favelas prima. Non ero nemmeno mai stata in Brasile, avevo solo visto il film The Waste Land, un film incredibile, un brillante esempio di opera d’arte cinematografica. Ho lavorato molto in Kenya nello slum Kibera, che è un ambiente simile per alcuni versi, molto differente per altri, ma non avevo mai avuto un’esperienza diretta del mondo delle favelas.
Qual è stato il primo impatto?
In realtà, non è che il film sia girato effettivamente nelle favelas, ma ne abbiamo visitate alcune. Il mondo delle favelas è stato descritto abbondantemente in molti film brasiliani, questa volta si è preferito un approccio diverso, evitando di riprendere direttamente la reale situazione.
La tua precedente esperienza negli slum in Kenya è stata preziosa per affrontare la situazione?
Sì, perché siamo stati a contatto con molti bambini, abbiamo provato a insegnare loro l’inglese. Il tempo in cui non recitavo lo passavo con loro, mostrandogli delle cartoline didattiche con delle parole inglesi. Il bello è che ciò è accaduto subito, il primo giorno di riprese, per cui la sensazione non è stata quella di recitare in un film, ma di stare insieme con questi dolcissimi bambini. Un’esperienza non solo divertente, ma che mi ha reso molto felice.
Cosa ti è piaciuto di più della storia del film?
Mi ha colpito molto la relazione tra i tre protagonisti, questi fantastici ragazzini che sono insieme dispettosi e amorevoli l’uno nei confronti dell’altro. Sono davvero adorabili, in primo luogo nella vita reale, fuori dal set. Per questo sono riusciti a dare vita “reale” ai personaggi, ad aggiungere qualcosa di profondamente personale a ciascuno dei protagonisti. La loro personalità risplende in tutto il film.
Come è stato recitare accanto a degli attori giovanissimi e alla prima esperienza?
Molto interessante. So che si sono esercitati molto prima di iniziare a girare. In realtà, questo è il “loro” film, io appaio in una minima parte. Ho trovato affascinante collaborare con loro, assistere al loro modo di affrontare questa prima esperienza. Verso la fine del film hanno sviluppato un atteggiamento più professionale…hanno cominciato a lamentarsi, a dire frasi come: “il mio personaggio non farebbe mai una cosa del genere!”… come attori veri e propri! È stato divertente assistere a questa transizione, da una recitazione assolutamente istintiva a una progressiva identificazione col personaggio.
Pensi che un film come Trash possa rappresentare un’evoluzione nella tua carriera di attrice?
Come ho detto prima, credo che questo sia fondamentalmente il film dei ragazzi. Io ho solo aiutato lo svolgimento della narrazione. Ho considerato interessante collaborare con dei ragazzi alla prima esperienza, oltre a poter visitare un paese come il Brasile, avere l’opportunità di imparare una lingua nuova come il portoghese. Ogni volta che ho la possibilità di viaggiare e conoscere nuovi luoghi se posso la colgo al volo. Ma non scelgo ruoli in base all’utilità che possono avere nella mia carriera.
Spesso vieni descritta come un’attrice da film d’azione, in realtà questo film è scritto da Richard Curtis, autore delle commedie romantiche più famose degli ultimi anni …
Infatti, non so da dove provenga questo luogo comune a riguardo, che si ripresenta sempre. Ho girato credo solo un film che si potrebbe definire “d’azione”. Del resto, io amo le commedie romantiche scritte da Richard.
Forse, è Lisbeth che aleggia ancora?
Non lo so. Mi piacerebbe molto però tornare a interpretarla.
Hai imparato il portoghese?
Solo poche parole, poche frasi. Sono poco presente nel film, sono stata sul set poche settimane, non abbastanza da poter imparare una lingua. Ma posso dire che è una lingua meravigliosa.
Perché hai deciso di fare l’attrice?
Fin da giovane sapevo che volevo diventarlo, ma ho iniziato solo a 18 anni, volevo prima terminare i miei studi.
Qual è la relazione con i social network?
Per quanto abbia recitato nel film The Social Network (di David Fincher), non ho alcuna relazione! No ho né Facebook, né Twitter. Ho solo un account Instagram, ma non pubblico le mie foto. Lo seguo solo per vedere le foto delle mie nipotine o dei miei amici.
Come passi il tuo tempo quando non lavori?
In maniera molto noiosa. Vado alla posta, faccio la spesa, proprio come una donna comune.
Qual è il tuo hobby?
Dipende cosa consideriamo un hobby… mi piace leggere, vedere film, l’architettura d’interni. Purtroppo, è difficile leggere mentre lavoro.
Puoi parlarci del tuo prossimo film, Pan?
Non indosso ali, né spicco il volo se è quello che volete sapere! Scherzi a parte, sono molto contenta, è stato elettrizzante, ho terminato le riprese poche settimane fa, non vedo l’ora che esca.
Come è stato lavorare con Hugh Jackman?
Credo che sia una delle persone più adorabili del mondo di Hollywood. Un lavoratore infaticabile.
Diresti lo stesso di te?
Assolutamente no! Sono pigrissima. O meglio, preferisco delle fasi di lavoro estremo, magari realizzare due-tre film di seguito, per poi godermi un riposo più lungo. Prima di Trash, venivo da un anno in cui non ho girato nessun film, ad esempio.
Trovi difficile passare da periodi di riposo assoluto a periodi di intenso lavoro?
Nell’anno in cui non ho lavorato, ho comunque studiato per i progetti a venire. Per cui anche se non stavo girando nessun film, ero comunque molto occupata nel prepararmi. Credo di aver sviluppato una certa forma di particolare disciplina a riguardo.
Ultima domanda, che musica ascolti?
Amo Alanis Morrisette, Fiona Apple e i Green Day!
Iniziativa realizzata in collaborazione con Universal Pictures International Italy