Trieste Science+Fiction 2014: incontro con Sasha Grey
Trieste Science+Fiction 2014: Sasha Grey è al festival per presentare Open Windows, il nuovo cyber-thriller di Nacho Vigalondo. L’abbiamo incontrata per discutere del film, del suo personaggio e della sua carriera.
Attrice, scrittrice, dj, produttrice, sceneggiatrice. E poi anche icona. La conosciamo tutti, Sasha Grey, e la ragazza è ben conscia che è innanzitutto per il suo passato, di cui parla senza nessun problema e fortunatamente non rinnega. Arriva a Trieste per presentare Open Windows, il film di Nacho Vigalondo che la vede co-protagonista assieme a Elijah Wood di un gioco al gatto e al topo tra mille finestre racchiuse in uno schermo del computer.
In Open Windows Sasha interpreta Jill, un’attrice famosissima sulla cresta dell’onda che vorrebbe avere più controllo sulla sua vita: prima che, ovviamente, scoppi il casino che si vede nel film, tra un cyber-terrorista che vuole rapirla, hacker e corse contro il tempo. Non proprio il caso di un’attrice che interpreta sé stessa in questo caso, ma c’è indubbiamente qualcosa di Sasha in Jill. Al Science+Fiction l’attrice ha incontrato un gruppo di giornalisti per parlare del film e della sua carriera, e noi di Blogo abbiamo partecipato.
Nel 2009 eri già considerata una regina dei film per adulti e avresti potuto capitalizzare questo successo per seguire le orme di Jenna Jameson, che è diventata una imprenditrice a tutto tondo. Ma invece hai deciso di smettere quando eri all’apice della carriera per esplorare altri orizzonti.
Innanzitutto forse non dovrei dirlo, ma non sono molto brava a capitalizzare in senso monetario. Di solito il business è una cosa secondaria sulla quale mi focalizzo quando cerco dei progetti. Ma nel 2009 in realtà ho fondato una casa di produzione, dirigevo e producevo tutti i film, e ho iniziato questo con un partner. L’ho fatto perché pensavo che dovevo raggiungere i miei obiettivi come performer, quindi il passo naturale successivo fu proprio creare la mia compagnia. Però dopo tre mesi questa si è sciolta. Quindi potevo o fondare un’altra casa di produzione o darmi ai casting per film, visto che già all’epoca ero coinvolta in entrambe le industrie [film hard e non hard, ndr]. Così decisi che se c’era un momento per affrontare questo passaggio tra una e l’altra era proprio quello. All’epoca dormivo tre ore a notte, sarebbe stato impossibile continuare a fare audizioni e coltivare relazioni lavorative con altre persone. Decisi di farla finita, anche se fu difficile lasciare qualcosa che conoscevo bene e rischiare. Ed eccomi qui oggi.
Hai fatto un grande film con Soderbergh, The Girlfriend Experience. Ti aspetti un’altra occasione del genere?
Sono una persona molto nostalgica. Ho una forte passione per i film, che oggi sono più una forma di business e non d’arte. È un’industria instabile, ed è ad esempio per quello che scrivo sceneggiature: credo mi renda migliore come scrittrice e anche come attrice. Lo faccio però anche per crearmi delle opportunità che altrimenti non esisterebbero. Non è una cosa facile, ma spero di riuscire a portare a termine una sceneggiatura completa assieme al mio mentore, Anthony D’Juan, e magari questa sceneggiatura verrà diretta da un nome importante come Soderbergh, o magari un regista alla sua opera prima. Non ho in mente nessuno di specifico, ce ne sono troppi con i quali vorrei lavorare: Lynch, Nolan, Sorrentino, Bigelow, Linklater…
Quindi sei indirizzata verso quel tipo di cinema.
Sì. Amo i film e il loro lato artistico, ed è sempre più difficile riuscire a fare questo tipo di cinema oggi. Ma mi piacciono anche i film d’azione, o di fantascienza. Mi piacerebbe davvero fare un film d’azione, qualcosa che sia fisicamente una scommessa. Quattro anni fa stavo lavorando proprio ad un film d’azione. Il regista è stato in Colombia per 6 mesi, mentre io mi allenavo in palestra ogni giorno… e poi il film non si è fatto. L’industria funziona così. Ma l’esperienza mi ha fatto assaggiare il sapore di prepararsi per quel tipo di film.
Hanno scritto che da qualche anno stai realizzando un film autobiografico, molto personale, forse come regista. Sta andando avanti il progetto?
Esiste ancora. È cominciato assieme a Tommy Pallotta, il regista del film, che si è ispirato alla serie 7 Up. Abbiamo cominciato a girare quando avevo 18 anni, e dopo 6 mesi mi sono trasferita a Los Angeles. Abbiamo girato finché ho compiuto 21 anni e per ora abbiamo quel materiale. Potremmo riprendere a breve, ma non è un progetto per il quale ho fretta. Vogliamo anche sperimentare a livello visivo, non ci piacciono i documentari in stile “teste parlanti” a livello estetico. Stiamo prendendo tempo.
Il passato nell’hard come ha influito nelle tue successive scelte lavorative? È stato un pro o un contro?
Entrambi. È una specie di paradosso: mi ha dato benefici, il mondo della letteratura e della musica mi hanno accettato facilmente. Con il cinema “tradizionale” è stato strano. Per quel che riguarda Open Windows, Nacho Vigalondo ci ha lavorato per 5 anni prima di girare, e stava finendo la sceneggiatura quando l’ho incontrato. Il fatto che ci fossi io nel ruolo che interpreto è interessante per il mio passato, e questo ha creato una sorta di lettura in più. Eravamo tutti d’accordo che fosse interessante e divertente e che avrebbe giovato al personaggio. Poi ci sono state altre volte in cui è stata una sfida per me: ho detto no a molti ruoli perché si basavano solo sull’apparenza fisica. Ci sono molte persone che mi vedono solo da quel punto di vista, ma è strano perché magari non hanno in realtà neanche mai visto un mio film hard!
Open Windows è stato definito “La Finestra sul Cortile del 21° secolo”, basato tutto sui media e quindi anche sulla loro invasività. Una definizione giusta come film per la nostra generazione “social”? E questa invasività che vive la protagonista Jill l’hai vissuta anche te nella tua vita privata?
Non sono personalmente cresciuta in questa generazione “social”, da piccola e da adolescente non avevo nemmeno un computer in casa. Usavo Internet a scuola per una ventina di minuti al giorno. Non ha fatto parte della mia identità mentre crescevo. Ne sono diventata parte solo oggi che sono un po’ più grande della generazione che ci è nata dentro. Come dicevo, con Nacho eravano d’accordo che il mio passato avrebbe portato qualcosa in più a Jill, ma lei resta un personaggio a sé. Deve confrontare cose che a me non sono mai capitate, non vengo inseguita da persone ad ogni ora del giorno. Jill non ha mai avuto il controllo della sua vita o della sua carriera, e quando ci prova capita il peggio.
Sei anche entrata nel mondo della produzione musicale.
È da poco disponibile il mio ultimo singolo, Heat of the Night, in collaborazione con Jayceeoh, e tra poco partirà un tour. Ricollegandomi al discorso dell’influenza del mio passato sulla mia attuale carriera, devo dire che non è stato neanche facilissimo nel campo musicale. Vi racconto un aneddoto. Una volta ero ad Istanbul e, nonostante il mio passato, mi hanno tutti accolto in modo rispettoso e caloroso. Poi, quando sono arrivata al club nel quale dovevo fare la dj, tutti non la smettevano di fissarmi: stavano lì a scattarmi foto e a guardarmi e non ballavano. Ad un certo punto mi sono stufata e ho messo il tutto in automatico…
Riguardo infine la tua carriera d a scrittrice, e in particolare il suo secondo libro, The Juliette Society, hai dei riferimenti letterari che ti ispirano?
Ci sono tre libri in particolare che mi hanno ispirato: Thérèse philosophe di Jean-Baptiste Boyer; il Candido di Voltaire; The Sadeian Woman and the Ideology of Pornography di Angela Carter. Volevo rispettare la letteratura erotica classica, ma anche adattarla e renderla più contemporanea. Ma ci sono elementi in questi libri che sono senza tempo, una riflessione sulla loro società che ancora oggi mi sembra sia rilevante. Volevo mantenere quello spirito in The Juliette Society, infarcendolo di riferimenti pop e alla cultura dei media. Poi mi ha ovviamente influenzato Le 120 giornate di Sodoma, e mi piacciono Puškin, Burroughs e Isherwood. E di recente ho scoperto Gabriele D’Annunzio! Sto leggendo adesso una sua biografia, e trovo pazzesco il fatto che non lo conoscevo.
La conferenza finisce e noi giornalisti ci tuffiamo per dei saluti faccia-a-faccia e per gli autografi di rito. Siamo tutti rapiti e incuriositi da Sasha. Io provo a fare la domandina scema di rito sulla ormai celeberrima intervista con Andrea Diprè, ma non c’è più tempo. “Oh, too bad! Maybe next time”, mi dice lei. Ci sarà un’altra occasione, e forse Sasha Grey la prossima volta a Trieste porterà un film di genere sceneggiato da lei. Con lei, mai dire mai.