Trieste Science+Fiction 2017: secondo giorno, siamo tutti mostri
Che i mostri fossero di casa qui allo Science+Fiction non è mistero. Ed i film visti oggi continuano a muoversi sul medesimo filo conduttore inaugurato ieri
Siamo tutti mostri. Si evince questo dai film visti oggi qui a Trieste. Tre, come ieri. Ma perché «tutti mostri»? Proprio nel precedente intervento si notava, rispetto ad Hostile, questo approccio più “umano” alla faccenda, con il mostro di turno che in realtà da minaccia diventa altro. Zombillenium fa praticamente la stessa cosa, con questo ispettore della sicurezza che va a fare le pulci al posto sbagliato, ossia in un Luna Park retto da un vampiro e popolato da altri come lui, oltre che zombie, lupi mannari e strane creature in genere. A tratti inquietante, così, en passant, perché si parla di forze demoniache però in fondo amiche, con streghe che fanno il bene pur essendo figlie di Satana ed in fin dei conti persino l’incipit non è una passeggiata, dato che l’ispettore in questione viene letteralmente ucciso e fatto diventare un demone: solo che la scena dell’assassinio non si vede. Per un film rivolto anche ai ragazzini qualche domanda ce la si pone; oppure oh, magari sono loro a risentire meno di certe cose. Ad ogni modo, animazione francese forse modesta sul fronte visivo, ma che malgrado tutto regge con un buon ritmo e certe interessanti intuizioni.
Dopodiché c’è Lovemilla, che gli organizzatori del Festival hanno definito una commedia anarchica. Sarà. Più che altro sembra un pretesto per collezionare tutta una serie di ossessioni/paturnie del regista finlandese Teemu Nikki, che c’infila di tutto e di più, senza però che la torta lieviti, anzi. Vi potrebbero dire che ci vuole un po’ di apertura per certe cose, che bisogna lasciarsi andare insomma, ma voi potreste pure rispondere che no, non è così: se non farsi impressionare a fronte di cose come passare da una stanza di zombie ubriachi ad una coppia d’investigatori improvvisati che cercano un tizio che s’infila il dito nell’ano per poi pucciarlo nelle bevande altrui, mentre il protagonista si fa impiantare delle protesi robotiche per far colpo sulla di lui donna equivale a non essere abbastanza postmoderni, beh… che diavolo c’avete capito di certo postmodernismo?
Per concludere è stato il turno dell’australiano Science Fiction Volume One: The Osiris Child, e qui già parliamo di qualcosa di un po’ più strutturato. Film che strizza l’occhio a certa fantascienza da b-movie, coi mostri ricostruiti senza scomodare alcuna computer grafica ed una recitazione tutto sommato accettabile, dato che in certi contesti sembra dogma che gli attori non sappiano mettere insieme due battute senza sembrare essere passati lì per caso. Per via di un sotterfugio il pianeta Osiris ha ventiquattr’ore prima di essere raso al suo a colpi di plutonio; un membro del Consiglio che ha preso questa scelta scopre l’inghippo e fugge perché su quel pianeta c’è la figlia. Una volta atterrato incontra un infermiere evaso di prigione ed insieme si mettono alla ricerca della piccola.
Pure qui, come accennato in apertura, viene reiterato questo concetto del mostro “amico”; anzi, forse in The Osiris Child si assiste, così come in Hostile, alla forma più diretta di questo “concetto”, per cui il mostro è potenzialmente ciascuno di noi, e ciò che li incattivisce è la sin troppo spontanea tendenza a tradurre la loro sola presenza in minaccia. Discorso tutt’altro che inedito, per certi versi naive, forse, che però al tempo stesso i generi grossomodo tendono ad affrontare così, evocando ma semplificando al tempo stesso.