Tutti vogliono qualcosa: le recensioni Straniere e Italiane
I pareri dei critici sulla commedia firmata da Richard Linklater
Dal 16 giugno è nei nostri cinema Tutti vogliono qualcosa (in originale “Everybody Wants Some!!”) di Richard Linklater e interpretato da Blake Jenner, Juston Street, Ryan Guzman, Tyler Hoechlin, Wyatt Russell, Temple Baker, Glen Powell, Zoey Deutch, Adriene Mishler, Jessi Mechler, Taylor Ashley Murphy, Sophia Taylor Ali, Ernest James, Courtney Tailor. Dopo la nostra recensione, ecco arrivare i giudizi dei critici Stranieri e Italiani. Su RottenTomatoes, mentre scrivo, il film ha raccolto l’88% di voti positivi.
Jake Coyle – Associated Press: il tocco leggero di Linklater è una meraviglia e la regia non è mai apatica.
Rafer Guzman – Newsday: Un’altra lettera d’amore sulla magia dell’adolescenza firmata da Richard Linklater. Voto: 3/4
James Berardinelli – ReelViews: Anche se può essere un Linklater “minore”, è più divertente di un sacco di ciò che è attualmente disponibile nelle sale. Voto: 3/4
Bill Goodykoontz – Arizona Republic: è un film terribilmente divertente e Linklater dimostra ancora una volta di essere un maestro nel catturare perfettamente il tempo senza giudizi o scuse. Voto: 4/5
Colin Covert – Minneapolis Star Tribune: uno dei capitoli più simpatici nella carriera di un regista straordinariamente affabile. Voto: 3.5 / 4
Matthew Lickona – Reader San Diego: sembra un ricordo affettuoso condotto sotto l’influenza di qualche sostanza chimica che permette di ricordare le cose nel modo in cui avrebbero dovuto essere. Voto: 2/5
Rex Reed – New York Observer: Ammiro Richard Linklater, ma tutti coloro che si fissano su ricordi come questi soffrono di un caso di sviluppo bloccato. Sembrano repliche di vecchie sit-com televisive. Voto: 2/4
Amy Nicholson – MTV: “Before Midnight” ci ha mostrato un Linklater come uno dei registi più emotivamente maturi della sua generazione. Con “Tutti vogliono qualcosa” ha una crisi di mezza età. Voto: C
Ty Burr – Boston Globe: è un lungo ammollo nel detrito proustiano della sua epoca. Voto: 3.5 / 4
David Sims – The Atlantic: Si tratta di un classico di culto senza sforzo, consegnato da un maestro della forma, e uno dei primi imperdibili film del 2016.
Stephanie Zacharek – TIME Magazine: cattura l’essenza di ogni tipo di desiderio giovanile, sia quelli che sono facilmente identificabili che quelli più doloranti e innominabili.
Peter Travers – Rolling Stone: Linklater costruisce commedie umane, di quelle che durano. Voto: 3.5 / 4
Mark Olsen – Los Angeles Times: con tutta la sua semplicità, il film ha un sottofondo costante di verità emotiva.
Justin Chang – Variety: Pochi registi hanno così pienamente abbracciato la gioia agrodolce di vivere il momento – e tanto più gloriosa perché svanisce così presto.
Maurizio Porro – Il corriere della sera: Un critico ha scritto a ragione che Tutti vogliono qualcosa, lo straordinario film di Richard Linklater pare Porky’s diretto da Rohmer: un’ educazione sentimentale all’università da parte di un gruppo di matricole, primi anni ’80 (…) Dialogo portentoso e attori che vivono e fanno ascoltare i battiti del cuore e il sudore del lancio (…)
Fabio Ferzetti – Il Messaggero: Anche se naturalmente dietro ogni film d’epoca c’è sempre il presente e tutta questa nostalgia per un’ età così innocente (età storica oltre che anagrafica) riesce a essere un insieme esilarante e commovente. Non uscite prima dei titoli di coda, forse la cosa più bella del film.
Maurizio Acerbi – il Giornale: Linklater, dopo Boyhood, dimostra di essere un regista tre spanne sopra la media. Il suo è un film nostalgico che elabora il Carpe Diem in un contesto competitivo e in una cornice Porky’s, ma alta. Un capolavoro.
Roberto Nepoti – la Repubblica: Il cinquantacinquenne regista ricostruisce bene quelli che furono i “suoi” anni; più nell’atmosfera, però (fondamentale il ruolo della colonna musicale), che nella lettera. Non cede agli stereotipi del genere, ma tratta le situazioni topiche (la ricerca delle ragazze, la competizione sportiva, le bevute…) con un’attitudine affettuosa e beffarda insieme. E mette bene in mostra il complesso mix tra le dinamiche dell’integrazione nel gruppo (la “popolarità”) e lo spiccato individualismo dei giovani (soprattutto) statunitensi.