Home Festival di Cannes Un italiano a Cannes: Atto Secondo – la parola d’ordine è «fila»

Un italiano a Cannes: Atto Secondo – la parola d’ordine è «fila»

Cineblog racconta la propria trasferta al Festival di Cannes: Atto Secondo

pubblicato 17 Maggio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 11:51


Una delle prime cose di cui ci si rende immediatamente conto qui a Cannes è questa: qualunque cosa tu faccia, o abbia intenzione di fare, devi metterti in fila. Sembra scontato, anzi… qualcuno potrebbe pure storcere il naso alla sola idea che ci sia bisogno di puntualizzarlo. Sì ok, non avevo dubbi sul fatto che mi sarei dovuto sudare ogni singola proiezione. Ma per comprare un “panino sano” (parola della proprietaria dell’esercizio in questione), beh… per quello credevo bastasse avere qualche soldo in tasca.

Non esagero. Non si tratta di file interminabili, al pari delle proiezioni principali che si tengono qui al Palais, ma in certi momenti anche dieci minuti possono sembrare un’ora. Alludo a quelle situazioni in cui tu sei di corsa, mentre ti divincoli in mezzo alla folla, tra una proiezione e l’altra. Quando hai appena il tempo di comprarlo quel panino, non di mangiarlo, pena essere in ritardo. Capite a che livello l’impresa sia da considerarsi mastodontica, quando una sola azione ti occupa il tempo che dovresti impiegare per compierne tre.

Tuttavia, il rovescio della medaglia c’è sempre. Non per forza fare la fila è così estenuante, specie quando puoi contare su degli inconsapevoli compagni di noia che ti intrattengono, senza nemmeno essere stati interpellati, con le loro chiacchiere apparentemente superflue. La verità è che, quando getti nel cestino non meno di venti minuti della tua vita ad aspettare di entrare in un posto, quelle chiacchiere, per te superflue, rendono il tutto più “tollerabile” – anche per uno a cui gossip e affini non hanno mai detto nulla. Prendiamo ad esempio quanto accaduto ieri. Qualche spirito un po’ più ardito potrebbe addirittura redigere una pessima sceneggiatura su quanto sto per scrivere.

E’ sera, e tocca recuperare la proiezione persa di The Artist. Dopo aver impunemente scavalcato una fila di circa cento metri (privilegi della stampa), mi lascio trasportare da quell’inquietante onda umana, informe ma disciplinata. La proiezione comincerà in ritardo, e noi siamo tutti in anticipo di circa mezz’ora.

Credevo di dovermi accontentare di uno sciame di insetti che orbitava attorno al giardino antistante la sala. Ma ero ignaro del fatto che la serata, di lì a breve, mi avrebbe riservato qualcosa di un tantino più divertente. Proprio davanti a me, becco una coppia piuttosto atipica. Lei bionda, una bella ragazza, dai lineamenti tipici da donna dell’Est. Lui, semplicemente, asiatico. Nulla da ridire, ci mancherebbe. Se non che, a un certo punto, la mia attenzione viene stuzzicata dal seguente siparietto.

La donna, a quanto pare, è di Belgrado. Lo scopro mentre cerca di spillare al suo distinto ragazzo giapponese un biglietto di ritorno per la capitale serba. La richiesta giunge dopo circa mezz’oretta di moine, a seguito delle quali la bella getta la maschera. “Perché devi tornare così presto?“, chiede lui. E lei, fresca come una rosa: “perché devo tornare a scuola“. Ora, non so di preciso perché il ragazzo asiatico abbia riso. Per quel che posso capirne, sembrava che la signorina non mentisse affatto (oppure che lo facesse troppo bene… ma siamo a Cannes, patria di attori e registi in questo periodo dell’anno). Quel che è certo è che, dopo la “proposta indecente”, tutto è tornato come prima. Mano nella mano, come se non fosse successo nulla. Insomma, la donna dalla misteriosa anagrafe c’ha provato. Come ho fatto a seguire questa improbabile scena? Signori miei, in che lingua volete che possano comunicare fra loro un giapponese (sì, nel frattempo è diventato giapponese) ed una serba? No, non in mandarino.

Ora che ho riportato questo aneddoto (?), però, mi rendo conto di aver sorvolato con troppa superficialità su come il sottoscritto sia riuscito a scavalcare una fila di cui non si riusciva nemmeno ad intravedere l’inizio. Ebbene, in realtà quei “privilegi” a cui facevo riferimento poco sopra non valevano in questo caso. Anch’io, come qualsiasi comune mortale, avrei dovuto rassegnarmi all’idea di cercare quel posto in cui cominciava la fila. Il punto è che, beh… non mi andava.

Al che ho pensato comunque di fare un tentativo; al peggio mi avrebbero invitato a recarmi al solito posto. Ed invece, è andata proprio al contrario. Dato che non mangiavo da pranzo, ero piuttosto affamato. Eccomi quindi dinanzi ad un bivio: fila o cibo? Con una faccia tosta di cui certamente non vado fiero, ho optato per entrambi. Mentre io mi recavo ad ingurgitare la mia meritata baguette di mezzo metro, degli emeriti sconosciuti (ma di una squisitezza unica) mi tenevano il posto nella fila. Quale passaggio manca? Non saprei, a dire il vero. Ricordo solo di essere stato abbastanza gentile ed educato da chiedere se, cortesemente, mi avessero tenuto il posto mentre andavo a mangiare. In realtà, millanto impunemente, dovrei stare lì in virtù del mio pass (non era vero…), e non sia mai pensassero che io intendessi superarli. Quale cuore indurito può resistere a così tanto tatto? Evidentemente non un gruppo di francesi miei coetanei.

Capite perché, dunque, mi sento in dovere di ringraziare ancor prima di riuscire a entrare in sala. Grato per quei deliziosissimi momenti, poi, non riesco a fare a meno di confrontare la mia situazione con quella del primo della fila. Sì, quello che, per intenderci, è stato fermato trenta minuti prima mentre era in procinto di farla franca. Lo stesso che, se solo si fosse trovato davanti a colui/colei che gli stava davanti, sarebbe riuscito a prendere il posto che voleva, e con largo anticipo. E’ proprio nell’istante in cui realizzi la condizione di quel poveretto che il bicchiere, da mezzo pieno, diventa completamente pieno. Se lui può sopportare di non essere dentro la sala perché qualcuno l’ha bloccato sulla soglia, cosa sarà mai farsi una ragione delle circa cinquanta persone che ti stanno davanti?

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