Un tirchio quasi perfetto: recensione del film con Dany Boon
Biologia e buoni sentimenti nel percorso di Un tirchio quasi perfetto, oltremodo imperfetta commedia che si fa soverchiare dai suoi stessi cliché
Che problema ha François col denaro? La premessa a Un tirchio quasi perfetto è che la madre, mentre lui era ancora in pancia, sgridò sonoramente il padre in quanto quest’ultimo aveva scialacquato un’ingente somma in elettrodomestici ed ultimi ritrovati tecnologici dell’epoca. Con che pagare le spese, la casa, i pannolini? Non è ancora nato ché già François deve stringere la cinghia, in un mondo che non lo vuole poiché sostanzialmente una spesa non indifferente alla voce uscite.
Si resta combattuti alla luce di quest’ultimo lavoro con Boon, ma neanche tanto a dire il vero. Se la demenzialità di Supercondriaco poggiava su presupposti sin troppo traballanti, però, questo film di Fred Cavayé qualcosa da dire l’avrebbe pure; paragone dettato dal fatto che in entrambi i casi il protagonista è una persona che soffre di disturbi psichici. La tirchieria di cui al titolo non è infatti tirata in ballo a caso, anzi, la verve comica del film sta tutta lì, nei malintesi in cui viene calato un personaggio che davvero non resiste a risparmiare su tutto, anche sull’irrisparmiabile; tuttavia si parla d’altro, quell’altro con cui viene aperto e chiuso film, ovvero la tematica genitoriale, familistica se vogliamo.
Diventato adulto, François è riuscito malgrado tutto a diventare un ottimo violinista, che però abita ancora nella casa che fu dei suoi, rimane al buio pur di non spendere un centesimo per la bolletta e raccoglie campioncini di ketchup e maionese ai quali ricorre anche se scaduti. La sua malattia si riversa drasticamente su ogni aspetto della sua vita, così, com’è avaro sul fronte economico, lo è anche su quello delle interazioni sociali, ridotte all’osso, giusto il minimo per poter stare in mezzo agli altri. Le cose però cominciano a cambiare quando viene a trovarlo sua figlia Laura, di cui fino a pochi istanti prima di conoscerla non sapeva della sua esistenza: la giovane è frutto di un preservativo andato a male… manco quelli volle comprare François.Non solo. A lavoro la non meno stralunata Valérie avvicina il tirchio da guinness dei primati: un colpo di fulmine, di cui chiaramente François s’accorge con patologico ritardo. Il discorso è perciò povero, né potrebbe essere altrimenti, salvo non rendere troppo denso, indigesto ad un pubblico che invece, come sempre con Boon, si vuole più spensierato. Spensierato, certo, non del tutto disimpegnato però, dunque qualcosa va trasmessa anche su altri fronti, fosse anche un appiglio gettato lì per rendere meno fini a sé stessi gli episodi tra il comico ed il grottesco che vanno succedendosi.
Eppure Boon, in questo processo, riesce a costruire un personaggio che si mal sopporta genuinamente, sebbene al contempo ci si renda conto che la sua è in fondo una condizione da vittima. Solo che, ecco, non si può fare a meno di guardare a certe sue uscite come a delle vere e proprie bastardate, se non per arrecare danno comunque sprezzanti verso tutto e tutti, come quando si scopre che l’intero suo vicinato deve fare le vasche per andare a gettare la spazzatura, dato che il nostro non vuole contribuire con la sua seppur misera quota al fine di avere i cassonetti più a portata.
Il massimo lo si raggiunge nella seconda metà, quando il più imponente degli equivoci viene da lui cavalcato in maniera finanche subdola, sebbene tale deriva gli consenta, per la prima volta in assoluto forse, di mettersi in discussione. Ed è pur vero che certi passaggi un sorriso lo strappano, anche se si ha un bel daffare a non prendere per nulla sul serio tutto ciò che accade, non in funzione della sua scarsa verosimiglianza bensì dell’argomentare stesso, in relazione al quale ci si fa prendere la mano più del dovuto nel tratteggiare questo personaggio e gli eventi in cui viene calato.
Si resta quindi lontani dal ritratto riuscito, anche perché Un tirchio quasi perfetto finisce un po’ col risolversi quasi nella parodia di sé stesso: non è certo facile quando ci si trova a confrontarsi con così tanti cliché e luoghi comuni. Che sono sì preziosi nell’ottica della commedia, ma che devono sapere essere maneggiati, pena il restarne scottati. Che la pietanza non bruci del tutto, piuttosto, sembra già un mezzo miracolo. Al netto del sottotesto biologico, per cui tirchi si nasce; ma quel che è peggio è che non si guarisce.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
Un tirchio perfetto (Radin!, Francia, 2016) di Fred Cavayé. Con Dany Boon, Laurence Arné, Noémie Schmidt, Patrick Ridremont, Christophe Canard, Christophe Favre e Karina Marimon. Nelle nostre sale da giovedì 16 marzo 2017.