Under Electric Clouds: recensione del film in concorso a Berlino 2015
Opera dal respiro enciclopedico, in Under Electric Clouds Alexey German jr. condensa pressappoco l’ultimo secolo di storia russa. Ma ad avercene di film così ambiziosi, sebbene impegnativi, a suo modo unico pure nell’ambito di una cinematografia alla quale appartiene senza riserve
Quando ti trovi davanti un film come Under Electric Clouds, l’unica cosa saggia da fare sarebbe quella di recuperare decine e decine di opere tratte dalla Letteratura russa, studiare la storia di questo glorioso popolo, capire come e perché tutto ciò che è avvenuto negli ultimi cento anni e poi forse (forse) dotarsi dell’umiltà di scriverne. Essendo tutto ciò, allo stato attuale, mera fantascienza, ci tocca l’ingrato quanto stimolante compito di procedere ugualmente, affidandoci a quelle impressioni che, si spera, si siano avvicinate quanto più possibile a cogliere la portata del fenomeno.
Perché nel film di Alexey German jr. c’è tanto, forse troppo. Una collega russa, incalzata dalle domande del sottoscritto, ha fatto giusto in tempo a dirci che per capire un film del genere servirebbe aver vissuto nell’Unione Sovietica, non soltanto vivere nella Russia di oggi. E vabbè. Tuttavia, Deo gratias, non siamo totalmente avulsi dalla storia, né in fondo dalla filosofia di questa parte di mondo così fraintesa, oggi isolata, almeno sulla carta.
Sette capitoli, ciascuno slegato dall’altro, ma al tempo stesso consequenziale, perché Pod electricheskimi oblakami (questo il titolo originale) è un monolite che ripercorre mezzo secolo di storia, con particolare riferimento a ciò che è accaduto successivamente alla disfatta dell’ex-Unione Sovietica. Nell’ambito di un contesto surreale, sfuggente, che ricalca ora le atmosfere di un Tarkovskij, ora quelle di un Fellini, i cui echi sono facilmente distinguibili, con particolare riferimento ad 8½.
Un film alienante quello di German, in nessun caso alienato. Il senso di spaesamento che si avverte per buona parte della visione assume poco alla volta dei contorni che ci consentono di prendere familiarità con un contesto così onirico, sospeso tra realtà e sogno. Passanti che si sfiorano rimbalzandosi frasi apparentemente senza senso, classi sociali che s’incontrano e si scontrano, tra compromessi, diffidenze e malintesi. Di mezzo c’è la costruzione della “nuova” Russia, a tratti, ci pare di capire, esemplificata da un edificio in puro stile contemporaneo, quell’architettura priva di fondamenti perché si dice oramai emancipata da tutto ciò che l’ha preceduta.
Anche questo è un leitmotiv in Under Electric Clouds; il congedo, totale, dal passato, da tutto quello che ha significato, specie per una nazione in cui il concetto di popolo è forte, molto più che da altre parti. Un Paese che si rende conto di essersi incamminato verso una direzione specifica, che però non è convinta di voler seguire, perché essenzialmente non scorge la meta e quel che intravede non è certo incoraggiante. In tal senso sembra un po’ di trovarsi dinanzi alla risposta russa a The Zero Theorem, con molto meno Gilliam e più Tarkovskij, con quelle scene dilatate, che ragionano anche sullo scorrere del tempo.
La globalizzazione come disumanizzazione: lo si evince dal modo in cui si usa relazionarsi in questo film, come se davanti ci si trovasse delle macchine che interagiscono in maniera fredda, pressoché insensata. Ci si domanda di tutto a vicenda, ma non più ciò che conta: come stai? Cosa fai? Che ti serve? La curiosità in questo 2017 riveduto ad hoc (il film è ambientato fra due anni) è per lo più di stampo social, quella curiosità che è pettegolezzo o semplice informazione, quasi sempre fine a sé stessa. È tutto molto stilizzato, è bene dirlo, tanto che German ammette quasi apertamente di voler strizzare l’occhio al cyberpunk, di cui nel film ritroviamo alcuni elementi.
D’altro canto la forbice non poteva nemmeno essere ampia più di tanto, perciò il contesto, dalla scenografia ai costumi, non si discosta oltremodo dal presente. Parliamo di elementi fondamentali, perché dai luoghi così come dal vestiario filtra in discreta percentuale il complesso discorso del film. Distese innevate, nebbia, edifici fatiscenti perché essenzialmente incompleti, dato che effettivamente il processo è ancora in corso d’opera. In uno dei segmenti più riusciti, il sesto (intitolato «L’architetto»), il protagonista incontra una ragazza presso una campagna dove si sta svolgendo un raduno di appassionati di epoca medievale. In un modo o nell’altro, i due si ritrovano insieme, soli, nello stesso appartamento, e l’architetto dà il via ad una serie di quesiti su autori russi (chi è Kamenev? E Solženicyn? Quando è morto Lenin?), e la ragazza, spigliata, risponde candidamente di non essere più interessata al passato, poiché ciò che conta è il futuro.
Da notare che Under Electric Clouds è stato girato col patrocinio del Ministero alla Cultura della Russia, che non è esattamente come quando il nostro di Ministero ritiene un’opera «d’interesse culturale». Nel film di German c’è molto di ciò che la Russia oggi putiniana vuole che si capisca all’esterno. E se l’anima russa non ci è del tutto estranea, tenderemmo ad escludere che si tratti di mera propaganda, per quanto in politica il confine tra informazione e formazione è sempre molto labile.
Sta di fatto che Under Electric Clouds è un’opera quintessenzialmente ambiziosa, per certi aspetti spropositata, che ci offre un’opportunità unica per affacciarci su quel mondo così misconosciuto da noi occidentali. Il suo ritmo così pacato, la sua prosa molto personale, così come l’atmosfera opaca che si avverte sulla pelle, la rendono senz’altro un’opera ostica, fredda per via dell’approccio squisitamente intellettuale alla materia. Roba non per molti insomma, ma che costituisce comunque un tassello importante nell’ambito di una cinematografia piuttosto codificata ed alla quale Under Electric Clouds appartiene a pieno titolo; operazione peraltro analoga, sebbene diversa per portata e sensibilità, ai due film russi premiati rispettivamente a Cannes e Venezia, ossia Leviathan e The Postman’s White Nights. Strano, smodato, sopra le righe quanto volete. Ma ad ogni modo uno dei progetti più accattivanti e necessari visti fino ad ora qui alla Berlinale.
Voto di Antonio: 8½
Voto di Gabriele: 8
Under Electric Clouds (Russia, 2015, Pod electricheskimi oblakami) di Alexey German Jr. Con Louis Franck, Merab Ninidze, Viktoriya Korotkova, Chulpan Khamatova, Viktor Bugakov, Karim Pakachakov, Konstantin Zeliger, Anastasiya Melnikova e Piotr Gasowski.