Un’estate da giganti: recensione in anteprima
Tra Stand by Me e Mean Creek, un coming-of age belga piccolo e tecnicamente validissimo: è Un’estate da giganti. Leggi la recensione di Cineblog.
È estate. Zak e Seth (13 anni e mezzo e 15 anni) si ritrovano nel cottage di famiglia senza un soldo e abbandonati dalla madre costantemente assente. Come ogni anno, sono rassegnati a trascorrere l’ennesima estate noiosa. Ma quest’anno le cose cambiano quando incontrano Dany (15 anni), un ragazzo del posto vittima di Angel, il fratello maggiore che non perde occasione per picchiarlo. Insieme, con il futuro nelle loro mani, iniziano il grande ed emozionante viaggio della loro vita.
Sarebbe facile tacciare Un’estate da giganti come un film in cui tutto è già stato detto altrove, e probabilmente meglio. È senz’altro vero: da Stand by Me a Mean Creek, di scampagnate e avventure di giovanissimi adolescenti in mezzo alla natura, con il confronto diretto spesso con gli orrori della vita e la morte, ne abbiamo viste tantissime. È anche vero che si tratta ormai quasi di un sottogenere a sé, codificato e con le sue regole, che si pone come corrente che racconta il rito di passaggio alla maturità e la perdita dell’innocenza.
Rileggendo poi le nostre parole su Eldorado Road, il film precedente diretto dal belga Bouli Lanners, viene un po’ da fare copia-incolla: “è un po’ risaputo, e strappa il sorriso senza toccare punte altissime”; “non rimarrà nella storia e in Italia non diverrà un cult, ma è un piccolo film (costato pare davvero niente) con tutti i suoi difetti e il suo sapore di “già visto””… Insomma: segno che non c’è stata una maturazione effettiva nello stile dell’autore o che invece c’è una poetica più sottile da analizzare?
Non ne siamo convinti. E a suo modo questo cinema piccolo piccolo, eppure curatissimo in ogni dettaglio tecnico, continua a non dispiacerci. Un’estate da giganti ha cose sparse qua e là che hanno la parvenza di segnali preziosi, di attimi vivi dentro ad una cornice sospesa tra il documentarismo più verosimile e la magia rarefatta dell’epoca adolescenziale che racconta. Il ritmo è lento ed accelera soltanto nei momenti più stralunati, o nei momenti più crudi. Perché in un film che “testimonia” un rito di passaggio da un’età all’altra non può mancare anche la violenza.
Presentato al Festival di Cannes 2011, premiato nella Quinzaine des Réalisateurs, dove si era visto anche Eldorado Road, Un’estate da giganti vede tutto il campionario dei “divertimenti” e delle piccole trasgressioni dei giovanissimi nel momento in cui si ritrovano soli al mondo, senza famiglia e senza scopi: spinelli, un’automobile da guidare in mezzo alla natura, una pistola usata per fare il tiro al bersaglio. E poi parolacce, rutti, peti, discorsi sulla masturbazione…
Come per il film precedente, bisogna segnalare nuovamente la capacità del regista di costruire affascinanti inquadrature in cui valorizza la natura. Si vede che viene dalla pittura, grazie alla resa dei colori (l’acqua verde stagnante e la casetta sul fiume), alla disposizione degli oggetti, e in un certo senso anche al movimento di questi (notare la scena dell’auto all’interno del campo). L’avventura dei ragazzi acquista un valore in più proprio grazie alla fotografia di Jean-Paul De Zaeytijd, ma è ovviamente grazie all’alchimia e alla bravura degli interpreti se il risultato è credibile.
Perché alla bellezza sospesa tra realismo e magia dei colori della natura non fa da perfetto contraltare la sceneggiatura, assai meno “ricercata” e studiata, e appunto già vista. I tre giovani protagonisti si ritrovano a dover affittare la casa a Toro, il capo di Angel, per poter racimolare qualche soldo: ma non potendo più vivere in casa devono cercare un altro posto dove dormire. Partono alla ricerca quindi di un tetto sotto il quale ripararsi, e si troveranno a dover cambiare posto da un giorno all’altro. Tutto qua. Se il film regge, appunto, è anche grazie a Zacharie Chasseriaud, Martin Nissen e Paul Bartel, che offrono ai loro personaggi la spensieratezza ma anche le ansie dei giovani della loro età.
Tra giri in barca, falò nella notte, e sogni per un futuro diverso – magari in Spagna, dove “le ragazze sono bellissime” -, Un’estate da giganti si pone ad altezza ragazzino per narrare un’ambiente affascinante ma ostile, contaminato dalla violenza degli adulti. Vero che le figure dei “grandi” sono macchiette bidimensionali, utili soltanti a fini narrativi. Ma, appunto, hanno una loro concreta funzionalità. Anche l’amorevole signora che raccoglie i protagonisti dalla strada ha una sua funzione: perché diventa la pietra di paragone per i tre ragazzini sul loro stesso futuro.
Il film non è forse ancora l’opera della maturità di Bouli Lanners, ed è perfetto per il Giffoni, ma è comunque un nuovo tassello all’interno di una filmografia che deve ancora spiccare il volo, ma non può che incuriosire. Da segnalare la colonna sonora di The Bony King Of Nowhere, che contribuisce attivamente con i suoi brani a costruire l’atmosfera del film.
Voto di Gabriele: 7
Un’estate da giganti (Les géants, Francia / Belgio / Lussemburgo, drammatico, 2011) di Bouli Lanners; con Marthe Keller, Martin Nissen, Zacharie Chasseriaud, Paul Bartel, Gwen Berrou. Uscita in sala il 31 ottobre 2012.