Valerio Di Benedetto: “Spaghetti Story è uno spaccato dell’Italia di oggi”
Realizzato in soli 11 giorni di riprese e con un budget molto limitato, Spaghetti Story è la storia quotidiana di quattro giovani in cerca di un ruolo all’interno di una società che li respinge. Leggi l’intervista in esclusiva al protagonista Valerio Di Benedetto.
Uscirà il 19 dicembre nelle sale italiane Spaghetti Story, opera prima del regista Ciro De Caro, con protagonista l’attore Valerio di Benedetto, aspirante attore (nel film), che combatte per emergere nell’Italia della crisi e dei cosiddetti “bamboccioni”, dove emergere è quasi impossibile e sopravvivere una lotta quotidiana. Una storia di trentenni alla ricerca di un presente, più che di un futuro, ma non solo a livello economico: matrimonio, convivenza, famiglia, rapporti tra uomo e donna. Come si sono evoluti i giovani rispetto agli anni spensierati de I laureati o di Santa Maradona?
Nato a Roma nel 1985 e formatosi a teatro dopo un diploma in arte drammatica presso l’accademia Teatro Azione di Roma, ha recitato un po’ ovunque: televisione, pubblicità, web e ora, finalmente anche cinema. Legato da una lunga amicizia con De Caro, con il quale ha già collaborato nel corto Salame milanese, polemico e divertente precursore (di seguito in versione integrale) di Spaghetti Story. Valerio ci ha concesso una lunga chiacchierata, nella quale analizza non solo la sua ultima fatica ma, con grande obiettività, la situazione di tanti giovani in quella che sarà ricordata come “L’Italia della crisi”.
Parlami del personaggio di Valerio
L’omonimia è data da una scelta di sceneggiatura, Ciro (De Caro, il regista Ndr) per aiutarci aveva scritto la bozza utilizzando i nostri nomi, per aiutarci a esprimere meglio le emozioni, poi sono rimasti perché era un dettaglio ininfluente. Il mio personaggio è un evoluzione di quello di Salame Milanese: totalitario, se vogliamo, senza compromessi, non ci sono sfumature di grigio, anche nel rapporto di coppia. Ogni cosa che fa, la fa a fin di bene, pur non ottenendo il risultato che si aspetterebbe, invece quello che non dovrebbe fare si rivela la cosa migliore, come appunto aiutare la ragazza cinese costretta a prostituirsi.
Pensi che il film rispecchi l’attuale situazione dei giovani in Italia?
Penso proprio di si, non è un film edulcorato, dà uno spaccato ideale dei trentenni in Italia, alla ricerca di lavoro. E’ molto veritiero. Ciro si è ispirato a persone che conosce veramente. La storia di Valerio appartiene a tutti coloro che iniziano a fare questo lavoro, e che fanno di tutto affinché diventi veramente un mestiere. C’è una battuta nel film che mi sembra calzante “Sembra che in Italia fare il lavoro che ci piace è uno sfizio.” Valerio è il portavoce di una categoria, di un’età.
E’ un personaggio anche autobiografico?
Non è propriamente autobiografico, lo è per me ma come per tante altre persone: il personaggio cerca di capire il problema oggettivo, come ti dicevo prima. Il lavoro è secondario rispetto al problema principale: in Italia c’è una crisi culturale e sociale, non si investe nella cultura, si viene considerato un bambino non perché non ci si prende le proprie responsabilità, ma perché si è impossibilitati fisicamente a fare determinati lavori, come l’attore appunto.
Ciao Valerio, ormai la “tematica cinese” sta prendendo piede, e penso a film come Gorbaciof e Io sono Li. Come mai?
Credo sia dovuto al fatto che il regista sia molto amante della cultura orientale, come del resto sono io, ma non è stata studiato a tavolino, Il film è stato scritto di getto e poi è stato riaggiustato il tiro. Non abbiamo studiato trovate di marketing per cercare di fargli avere successo.
Qualche curiosità sulle riprese del film?
L’atmosfera era fantastica e la mancanza di un budget importante, alla fine è diventato un punto di forza: non avere scadenze prefissate ci rendeva liberi. L’assenza di fondi però non ci ha permesso di tirarla troppo per le lunghe, e abbiamo girato in soli 11 giorni. Il che significa avere solo 4 ciak a disposizione per ogni scena: può essere considerato un a fonte d’ansia e un problema non indifferente, ma la magia che si era creata ci ha dato la spinta per dare il meglio, eravamo tutti molto più concentrati. Inoltre, anche se si dice sempre così, abbiamo veramente creato dei grandi rapporti tra di noi e pensa non sapevamo se il film sarebbe uscito fino a 6 mesi fa. Abbiamo creato un rapporto umano unico e questo è molto positivo.
Cosa pensi della situazione attuale del cinema italiano?
Non necessariamente i film meritevoli riescono a trovare il giusto spazio, ma non siamo noi il problema, che invece è portato dalla massificazione dettata dalle major e che non permette una giusta competizione. Con 100 mila euro si potrebbe dare la possibilità a tanti registi di girare un’opera prima e di pagare tutti il giusto compenso, invece di investire 700 mila euro o 1 milione per lo stesso film, che magari racconta cose già viste, oltre a dare anche molte più opportunità di lavoro. Il problema italiano è che se noi continuiamo a voler fare Hollywood non andremo da nessuna parte, noi abbiamo sempre potuto raccontare storie, non abbiamo bisogno di effetti speciali per essere vincenti. Con più coraggio ci sarebbero più risultati… Dare la possibilità ai giovani di emergere.
Chi sono, se ne hai, i tuoi punti di riferimento?
Alberto Sordi sopra chiunque altro, come simbolo della commedia all’italiana, perché penso che il migliore attore drammatico sia l’attore comico, basti guardare la potenza espressa in Un borghese piccolo piccolo. Poi tutti i film e gli attori di quel periodo, Mastroianni e Volonté su tutti… Poi Troisi, un personaggio impressionante. Tra i “giovani” direi Fiorello e Zingaretti, veramente bravissimi.
Qual’è il tuo obiettivo “realizzabile”?
Vivere e pagare le bollette facendo questo mestiere.