Venezia 2010: commenti a caldo su Le bruit des glacons, The Accordion, The happy poet e Legend of The Fist: The Return of Chen Zhen
4 brevi recensioni a caldo su 4 film visti nella prima giornata di Venezia 2010.Le bruit des glacons (Giornate degli Autori) di Bertrand Blier Blier osa forse troppo e si scotta: questa storia di persone che parlano letteralmente con i loro “cancri” (!), impersonificati da persone in carne ed ossa, può risultare un po’ di
4 brevi recensioni a caldo su 4 film visti nella prima giornata di Venezia 2010.
Le bruit des glacons (Giornate degli Autori) di Bertrand Blier
Blier osa forse troppo e si scotta: questa storia di persone che parlano letteralmente con i loro “cancri” (!), impersonificati da persone in carne ed ossa, può risultare un po’ di mal gusto, sadico senza avere le capacità di risultare apprezzabile e soprattutto non divertente. Si intuisce la voglia di essere cinici e non moralisti giocando con un problema serio e regalando comunque un messaggio di speranza, ma il risultato sbanda e perde le sue coordinate.
Non che qualche situazione a suo modo non strappi un sorriso o una risata, ma globalmente l’impressione che un film del genere lascia è piuttosto quella irritante di aver assistito a qualcosa di sbagliato. Il problema forse non sta né nella regia e neppure nella sceneggiatura. Qui il problema sta proprio nel soggetto, nell’idea iniziale: e allora anche tutte le altre componenti filmiche possono poco per salvare la baracca.
Voto Gabriele: 5
The Accordion (Giornate degli Autori) di Jafar Panahi
Il regista Panahi è stato liberato dal carcere, ma è ancora imprigionato in Iran. Non può infatti uscire dalla nazione, non può viaggiare e non può partecipare ai festival. Questo cortometraggio è l’ultimo lavoro del regista prima che venisse arrestato assieme alla famiglia e alla troupe, ed è perfetto per mandare un messaggio di tolleranza.
La trama sembra uscita direttamente da uno dei bellissimi progetti del Kanun degli anni d’oro: due bambini mendicanti che fanno un po’ di soldi suonando in giro con una fisarmonica si vedono rubare il loro prezioso oggetto da un uomo. Decidono di rincorrerlo e riprendersi la fisarmonica… Il finale forse è intuibile già da queste righe e la confezione tradisce un budget ovviamente limitato, ma il corto è a suo modo urgente e tocca i cuori per la sua attualità.
The happy poet (Giornate degli Autori) di Paul Gordon
Il cinema indipendente americano trova sempre molte vie per affermarsi, e di nuovi talenti emergenti ce ne sono a bizzeffe. Dall’applauso a fine proiezione in Sala Darsena si può forse dire che pubblico e critica vorrebbero rivedere all’opera il giovane Paul Gordon, che nel film si occupa un po’ di tutto, dalla regia all’interpretazione principale, dalla sceneggiatura al montaggio, passando anche per la colonna sonora.
Gordon è sicuramente un personaggio: una specie di Wes Anderson ancora più nerd, e forse per questo ha le potenzialità per avere una carriera. C’è da dire, d’altro canto, che ha bisogno di limare parecchie cose, anche se con il cinema indie c’è sempre il dubbio (in realtà spesso e volentieri una certezza) che certi limiti siano dettati innanzitutto dal budget.
La fotografia è spesso scura, e in alcune scene è difficile addirittura intuire che cosa stia accadendo in scena; la colonna sonora, molto semplice e basata sulle sole note di un pianoforte, dev’essere ricontrollata nell’uso che se ne fa mentre accompagna le immagini; e non sempre i tempi comici sono perfetti. Ma resta la simpatia, la voglia di continuare un discorso tutto americano sull’uso di certa comicità, e una battaglia pro-cibo sano portata avanti con convinzione.
Voto Gabriele: 7
Legend of The Fist: The Return of Chen Zhen (Fuori concorso) di Andrew Lau
Negli anni ’20, in una Shanghai in subbuglio, Chen Zhen sparisce dalla circolazione dopo essere stato l’eroe della situazione. Qualche tempo dopo Koo, che altri non è che Chen Zhen sotto mentite spoglie, torna in città per infiltrarsi nella mafia, scoprendo così una cospirazione tra Giapponesi e mafiosi, pronti a stilare una lista di persone da uccidere. Chen Zhen deve entrare in azione per proteggere coloro che sono stati presi di mira…
Il ritorno di Lau in patria dopo la parentesi hollywoodiana di Identikit di un delitto è uno di quei progetti che al loro interno hanno più intenzioni. Da una parte c’è un eroe popolare interpretato prima di tutti da Bruce Lee (e il film esce nel settantesimo anniversario dalla sua nascita), dall’altra il bisogno di oltrepassare l’omaggio e provare a reinventare, e dall’altra c’è tutto l’aspetto spettacolare che un film del genere richiede.
Donnie Yen, che abbiamo visto recentemente al Far East Film Festival nel secondo capitolo di Ip Man, sfoggia tutte le sue abilità nelle arti marziali, mentre Lau fa di tutto per rendere il film avvincente. E i combattimenti, le sparatorie e le esplosioni ci sono tutti, così come i colpi di scena (anche non riusciti) e i morti ammazzati (provate a contarli…).
Tutto il reparto tecnico è in attivo, nonostante l’utilizzo del rallenti nelle scene drammatiche sia stucchevole, ma Lau non riesce a non cadere nella retorica nazionalista, dando poi l’impressione di star girando un polpettone. Come se Ip Man incontrasse in qualche modo Lussuria. Ma Infernal Affairs era più conciso, teso ed avvincente…
Voto Gabriele: 4
Voto Simona: 6.5