Venezia 2010: I Telegatti sono meglio degli Oscar!
Lo sapete. Sofia Coppola al Lido con Somewhere. Brividi italoamericani al Lido. Succede a volte così. Quando il nostro cinema rimane un po’ in ombra, ci si ricorda di Frank Capra, Martin Scorsese, Bob De Niro, Francis Ford Coppola, e via discorrendo. Ovvero, italoamericani di svariate generazioni che sanno qualche parola di italiano, qualche volta
Lo sapete. Sofia Coppola al Lido con Somewhere. Brividi italoamericani al Lido. Succede a volte così. Quando il nostro cinema rimane un po’ in ombra, ci si ricorda di Frank Capra, Martin Scorsese, Bob De Niro, Francis Ford Coppola, e via discorrendo. Ovvero, italoamericani di svariate generazioni che sanno qualche parola di italiano, qualche volta solo un dialetto stentato sentito in casa dai genitori. Il cinema ha di bello che viaggia il mondo, integra linguaggi e ispirazioni, e non cambia le situazioni.
I registi e gli attori di cui sopra sono fieri della loro origine, spesso tenuta sotto traccia, e sono soprattutto fieri di aver partecipato al sogno americano, di cui sono diventati le star. E’ il gioco delle emigrazioni e della sorte. Per ricordarcelo, la Mostra ha chiamato a presiedere la giuria il genio Quentin Tarantino – che vuole Lino Banfi per il suo prossimo film- e anche la sua ex fidanzata (dicono le gazzette): Sofia, figlia del regista che ha una meritata fama per “Il padrino” e in particolare, a mio parere, per “Apocalipse Now; e che è anche un noto e apprezzato vitivinicoltore. Cinema e bottiglie doc.
Sofia era già stata a Venezia con uno dei suoi primi film, il grazioso (per non dire carino) Lost in Translation. Questa volta ha portato in concorso una sagra di banalità su Hollywood e note ambientali che può persino sconcertare. Niente di nuovo sulla capitale delle grosse produzione e sulle sue magiche storture fra gli affari, le frustrazioni e, come si diceva anni fa, le angosciose alienazioni dal troppo o troppo poco successo. Eppure. Però.
La storia è quella, guarda caso, di un giovane attore Johnny Marco, italoamericano che parlotta la lingua madre nel nostro lontano paese ma che più stereotipato non si potrebbe. Belloccio, i capelli raccolti a banana smozzicata sulla fronte (inutilmente spaziosa?), che lo rende simile alle sagome anonime che si affacciano su Facebook quando i maschietti non offrono una loro foto; la barba cresciuta a cura del rasoio elettrico; seduttore a getto continuo con pause, a volte improvvise: cade in sonno nel momento della attesa penetrazione; possessore di una Ferrari (sponsor) e cucinatore di spaghetti in quantità industriali.
Il film vive grazie a trovate seminate con spirito da Sofia qua e là, in mezzo a tempi morti o stramorti quando si sofferma sul volto di Johnny o sui culetti delle ragazze lap che si fa venire in camera, prima di stramazzare per il sonno. Pennellate che descrivono una Hollywood non già alla maniera di Robert Altman, maestro inarrivabile in “Professionisti” sulla mecca del cinema bastarda e involontariamente comica, tuttavia con felice capacità di osservazione e reinvenzione sul filo dei paradossi. Il clou del film, magari girato alla brava e con una scenografia rimediata, è quella parte in cui il divo si reca a Milano e viene alloggiato in un albergo famoso di cui non facciamo il nome (sponsor), dove in una suite galattica trova una piscina di dimensioni quasi olimpioniche in cui nuota la figlia che gli fa compagnia, mentre lui si lascia massaggiare dalla jacuzzi.
Poi c’è la serata per la quale il divo è venuto in Italia, nella sua ex capitale morale, e cioè quella da mito dei Telegatti. Un’apoteosi con Simona Ventura e Nino Frassica,a far da conduttori, e un balletto talmente scemo da lasciare stralunato persino Johnny che di balletti scemi ne avrà visti a centinaia. Ma tutto è scemo e appiccicoso: dalla intervista volante ,a cura di una scema che manovra il microfono come una carota, all’accoglienza con signore dalla strapanza che lo porterà alla cena con il sindaco della città per la consegna delle chiavi (della scemenza?).
Peccato che la regista abbandoni questa strada fra la satira e il ritrattino di costume per tuffarsi nella scontata crisi intima della sagoma da Facebook per via dei sensi di colpa verso la figlia, pattinatrice, che piange perché non lo vede mai. Piange, nel finale, il divo che parcheggia la sua bella Ferrari lungo una strada secondaria e continua a piedi. Per espiare fare tutto un pellegrinaggio in direzione di Hollywood, studi e costumi da Sodoma & Gomorra, comunque un po’ meno squallida dei preziosi Telegatti? Sorrisi e risatine durante la proiezione per la stampa. I miei sono stati in numero ragionevolmente misurato.
Qui trovate la recensione di Somewhere e qui il trailer italiano. Qui il Red Carpet direttamente da Venezia.