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Venezia 2010: Quando il cinema si guarda allo specchio

Anche quest’anno andrò a Venezia per Cineblog e ci vado con una speranza: che il cinema non si contempli, non si guardi allo specchio; e esca da quella che, con paroloni, si chiama “autoreferenzialità”. Ecco, è proprio questo parolone che mi preoccupa. Sono reduce da un mini giro d’Italia per festival minori perché poco conosciuti.

pubblicato 7 Agosto 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 21:48


Anche quest’anno andrò a Venezia per Cineblog e ci vado con una speranza: che il cinema non si contempli, non si guardi allo specchio; e esca da quella che, con paroloni, si chiama “autoreferenzialità”. Ecco, è proprio questo parolone che mi preoccupa. Sono reduce da un mini giro d’Italia per festival minori perché poco conosciuti. Ho visto piazze stracolme in deliziosi paesini che, per le serate col cinema, avevano fatto toeletta e si erano messi l’abito buono; si fa per dire, in certe sere calde anche bermuda e le gonnelline al vento vanno benissimo.

Non ci sono andato per fare lo spettatore. Presentavo i miei libri (che non cito) e il mio film documentario sulla Dolce Vita e i suo retroscena, “Via Veneto Set”. Ma soprattutto vedevo altri film e molti corti, in qualche caso si è trattato di qualche ripetizione estiva di pellicole già viste durante la scorsa stagione; o invece la conoscenza di quei corti che avevo perduto e che meritavano di essere conosciuti, certo non solo da me.

Corti che dimostrano, contro i pessimisti per partito preso, come i giovani registi più maturi stiano passando da sperimentazioni astratte a veri e proprie prove di lavoro. Dunque, se da un lato le rassegne dei film consentivano un bilancio (com’è avvenuto per il Tuscia Film Festival) del momento che il cinema giovane più maturo sta positivamente attraversando; dall’altra, si poteva notare qualcosa che contrasta la situazione di cellophane che circonda spesso il cinema, specie quello targato Mostra o altri festival, insomma i film cosiddetti d’autore, che nasce con le sette camicie di una comoda ma passiva, interessata attenzione.

Questa attenzione chiama in causa più la carta stampata, fra anticipazioni, notizie, polemiche in un bicchier d’acqua, gossip, cose che i blog o i siti di cinema su internet che sembrano evitare nella maggior parte dei casi il rischio della pellicola (il mondo del cinema) come il più bello e in salute del reame dei festival e delle grandi kermesse.

I tamburi quest’anno hanno cominciato a rullare, e hanno continuato, sulle dispute sulla esclusione dal concorso del film di Pupi Avati, Una sconfinata giovinezza (prima vedere, poi giudicare: sarà quello che faremo noi); sui confronti e rivalità fra la Mostra e la concorrenza del Roma Film Festival; sulle presenze dei divi sul red carpet, eterna aspettative fin dalla sfera di cristallo dei cronisti prèt-à-porter; sulle reazioni dei politici, sui quattro film italiani in concorso, su Ascanio Celestini e la su “Pecora nera” che avrebbe provocato il no ad Avati; e così via.

Con quel cinismo che il mestiere ci impone e ci stimola, si può persino pensare che il tam tam venga orchestrato ad arte per tenere su la Mostra che ha tanti problemi, tanti affanni, fra cui i ritardi- per nota vacanza di euro dalle tasche del potere- del tanto atteso Palazzo del Cinema al Lido.

Ma non siamo abbastanza addomesticati cinema che si compiace; e ci piace fare una grande apertura al presidente della Biennale, Paolo Baratta, e al direttore Marco Muller sulla loro Mostra e la loro mercanzia (sia detto con ironica simpatia). Detto questo, e tornando al battage meccanico e sordo a tutto il resto che riguarda le problematiche del cinema non solo italiano, dal rischio elitario alla carenza di ricambio artistico, ricompare l’effetto specchio del compiacimento che fa da contrappeso allo specchio della catastrofe, specchio semplicemente messo a rovescio.

Si tratta di un gioco di specchi che dalla stampa passa al mondo dei soliti noti del cinema: produttori di stato e di tv, campioni dell’indotto nella pubblicità e nel marketing, sciami di assaltatori informativi a caccia della banalità del male mediatico; e purtroppo a tanti autori o generici cinefili che in tasca non hanno molte idee ma molti specchietti delle loro brame, convinti che la vita sarà lunga fintanto che ci saranno loro, in mezzo a insensibilità, questioni, ritardi, colpe che non vedono o non vogliono vedere. Prometto che cercherò di raccontare, insieme agli amici del blog, una Mostra diversa.

Senza escludere curiosità o polemiche o pizzichi o morsi di moderato resoconto tipo red carpet; ma calandomi nei valori e nelle idee che spero mi confonderanno, e mi renderanno la ricerca difficile tra le proposte della Mostra. In testa, comunque, avrò quel pubblico dei paesetti e delle piazzette che frequenta d’estate le sale buie nel buio genuino delle notti e delle stelle vere; quel pubblico,tanti giovani che cercano nello schermo ciò che la tv non dà o non ha mai dato. Contro la stolta autoreferenzialità del cinema che vuole essere scusato sempre e pretende attenzione anche quando non lo merita.

Festival di Venezia