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Venezia 2010: topi e palombari Post Mortem

Venezia- Le mattine si combinano con le notti. Ma, in questi secondi giorni della Mostra, il luogo degli incontri sono sale che si trasformano in soffitte. Si è visto un forte film cileno, Post mortem, di Pablo Larrain, il regista di “Tony Manero”, un successo a Cannes nel 2008. Lo scelgo per l’ apertura, tra

pubblicato 5 Settembre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 20:51


Venezia- Le mattine si combinano con le notti. Ma, in questi secondi giorni della Mostra, il luogo degli incontri sono sale che si trasformano in soffitte. Si è visto un forte film cileno, Post mortem, di Pablo Larrain, il regista di “Tony Manero”, un successo a Cannes nel 2008. Lo scelgo per l’ apertura, tra gli altri film in e fuori concorso, una slavina dopo l’altra.

A mio parere di “Post mortem” si parlerà ancora, nell’imminenza delle premiazioni, tra quattro-cinque giorni. E’un esempio di come si possa andare nella soffitta della storia di un paese con una idea narrativa di grande presa. Il periodo considerato è quello del golpe dei militari, Pinochet in testa, e dell’assassinio del presidente legittimo Allende, 1973.

Con un colore stinto, voluto dal regista, si racconta di un funzionario dell’obitorio di Santiago che matte a macchina i referti delle autopsie. Ma non è questo il fulcro. Lo è invece una vicenda d’amore che lega il funzionario, neanche troppo giovane, a una signorina di una certa età, ballerina e cantante, licenziata dal suo impresario. Larrain, all’epoca non era nato, non teme di presentare la sua versione, la sua metafora: l’ideale del funzionario “conquistare l’amore impossibile di una donna, è anche l’ideale di una nazione che prova a conquistare un modello politico nobile ma irraggiungibile (il socialismo)”.


Qui non mi metto a discutere queste intenzioni e soprattutto il giudizio- il socialismo modello nobile ma irraggiungibile-, né svelerò lo sviluppo dei colpi di scena che in modo molto felpato e abile si ritrovano nel film, peraltro capace di interessare e di sorprendere fino al finale.

Mi piace invece indicare un fatto. La strada scelta, evocativa, allusiva, di Larrain, ci porta a considerare i giorni del golpe e della fine della esperienza di Allende non solo come una tragedia storico-politica ma come l’insieme di vite, di desideri, di sospiri dei cileni, visti nel particolare di un addetto a un obitorio e di una ex soubrette, possieda la capacità di comunicare il dramma di quei giorni (che toccò tutti nel mondo) e di farlo vivere di persone all’oscuro di ciò che si stava preparando.

Una strada che sale in soffitta o scende in cantina della storia del Cile, aprendo gli occhi su inconsapevolezze, attese e crollo di gente comune, di esistenze anonime. Un bel film sui grossi topi del potere in piena luce, Pinochet e i suoi militari. “Post mortem” è un film politico in senso alto, senza essere “politico” o “impegnato”come noi in Italia siamo abituati fare o a vedere: approssimazione, schematismi, nessuna analisi. Chi ci potrebbe provare tra i registi giovani italiani?

Chi c’è-non mi viene un nome, al momento- che possa andare in soffitta nella nostra storia senza indossare la cieca tenuta da palombaro con tanto timbro ideologico vedendo poco o niente, e invece credendo di esplorare? Un nome, qualche nome per favore.

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