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Venezia 2012 – Disconnect: recensione in anteprima

Dal festival di Venezia arriva la recensione di “Disconnect”

pubblicato 4 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:45

Disconnect fonde molteplici storie che parlano di persone alla ricerca di legami umani nel mondo sempre connesso di oggi. Intense, strazianti e toccanti, le storie si intersecano con colpi di scena, che mettono a nudo una realtà scioccante nel nostro uso quotidiano della tecnologia che, facendo da mediatrice, definisce i nostri rapporti e, in fin dei conti, le nostre vite.

Ci sono tanti personaggi, in Disconnect, e di conseguenza tante storie che si intrecciano, nella tradizione del cinema indipendente americano corale. Ci sono un uomo ed una donna sposati che hanno perso un figlio, e di conseguenza stanno lasciando morire la loro relazione. Un giorno scoprono che la loro carta di credito è stata clonata on line, ed assieme decidono di scoprire chi è stato. C’è un ragazzo che lavora come camboy assieme ad altri coetanei, anche minorenni, che vivono tutti assieme in una casa, gestita da un uomo. C’è una reporter tv che si interessa alla storia del camboy e vorrebbe fare un servizio su di lui.

Ci sono poi due ragazzini che prendono di mira un terzo ragazzino, timido e solitario. Ci sono i genitori di questo ragazzino, che hanno anche un’altra figlia, e c’è il padre di uno dei due bulletti, ex poliziotto e vedovo. In un modo o nell’altro tutte le loro vicende hanno a che fare con la rete: Disconnect prova a vedere gli effetti che un mondo che non può più fare a meno di essere connesso costantemente ad un computer ha su queste storie: dimenticandosi, ovviamente, che “fuori” c’è altro…


Internet, webcam, clonazioni e frodi, social network, forum: il film non si scorda le “caratteristiche” principali della nostra società 2.0, e cerca di raccontarne i lati più insidiosi, quelli più a rischio. Girato a New York, in periferia, Disconnect fa esattamente quello che ci si aspetta da un prodotto professionale, che non ha alle spalle una major ma può vantare un cast con alcuni attori conosciuti (su tutti Jason Bateman e Alexander Skarsgård): tiene il ritmo, fa salire la tensione man mano che gli eventi prendono il sopravvento sulle vite dei personaggi, e tiene bene le fila di tutte le storie pur saltando da una parte all’altra.

Ci si ritrova così davanti un Crash 2.0, in cui al posto delle tensioni razziali di una Los Angeles sconvolta dalla propria (dis)umanità, c’è invece una New York di periferia in cui gli errori e le debolezze vengono amplificate da questa perenne estraniazione causata da Internet. Dopotutto, il titolo dice già molto: disconnettersi, ma anche “disconnettiti”. Quasi un consiglio. Perché alla fin fine Henry-Alex Rubin, nominato agli Oscar nel 2005 per il Miglior documentario grazie al suo acclamato Murderball, sembra dirci proprio questo. E non è certo una grande novità, ma come soggetto è molto cinematografico.

La storia più bella, la vicenda che colpisce di più ed emoziona per le sfumature che la contornano, è quella di Ben Boyd, il ragazzo timido e solitario. I due bulletti lo scovano su Facebook, e si inventano l’account di una ragazza inesistente, Jessica, e iniziano a mandargli messaggi, facendogli instaurare una relazione al buio con la “ragazza”. Il loro fine, ovviamente, è soltanto quello di prenderlo in giro e “usarlo” per divertirsi: finché un giorno non decidono di mandargli una foto di Jessica nuda (immagine scovata a caso in rete), chiedendogli di ricambiare…

Interessante anche la vicenda del camboy interpretato da un inedito Max Thieriot, pronto a fare tutti i giochi sessuali che uomini e donne gli chiedono attraverso la webcam e lo schermo del computer. La relazione che instaura con la reporter, interessata a fare un buon servizio per la sua emittente, ma anche sinceramente coinvolta dalla storia del ragazzo, non è così scontata come si potrebbe pensare. Non è nemmeno moralista, per fortuna, visto anche che ad un certo punto il ragazzo potrebbe scegliere, sotto consiglio della donna, di abbandonare la sua professione.

Rubin tiene bene le fila di tutte le storie nella prima parte del film, con un ritmo sostenuto ed una buona descrizione dei personaggi. Certo, la storia dei due coniugi distrutti dalla perdita di un figlio è quella più prevedibile, però tutto pare girare per il verso giusto. Il regista strizza l’occhio al suo pubblico imprimendo sullo schermo le parole che le persone si scrivono quando sono in chat, e l’effetto è molto interessante, soprattutto nei casi in cui i personaggi non si sono mai incontrati: vedi la chattata tra uno dei due bulletti, che si spaccia per Jessica ma racconta la sua “vera storia”, e il padre di Ben.

Nella seconda parte il regista comincia invece a calcare un po’ troppo la mano, usando un tono pesante e prendendo alcune scelte che possono far storcere il naso, e che culminano in un fastidiosissimo ed estetizzante rallenti in cui molte azioni si svolgono contemporaneamente. Certo, Disconnect può anche infastidire, perché le sue storie a volte sono a “rischio retorica”, e nel finale si “soffre” come spettatori nell’attesa e nella speranza che il regista chiuda il film senza deragliare troppo. Disconnect sarà recepito come emotivamente forte da certo pubblico, anche grazie all’ottima colonna sonora, mentre una’altra fetta potrebbe trovarlo risaputo e furbetto. Noi stiamo nel mezzo…

Voto di Gabriele: 6
Voto di Antonio: 7

Disconnect (USA, 2012, drammatico) di Henry-Alex Rubin; con Alexander Skarsgård, Michael Nyqvist, Jason Bateman, Andrea Riseborough. Distribuito prossimamente da Filmauro.

Update gennaio 2014: Disconnect uscirà nelle sale italiane il 9 gennaio 2014. Ecco il trailer italiano.