Venezia 2015, Sangue del mio Sangue di Marco Bellocchio – Recensione in Anteprima
Marco Bellocchio divide Venezia con la sua ultima controversa fatica, Sangue del mio Sangue
[quote layout=”big”]”Vista la mia età, a Venezia sarei andato volentieri fuori concorso. Poi ho pensato che un film è un’opera collettiva e sarebbe stato ingiusto penalizzare gli altri. La verità? Ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto. Ho comunque preso una decisione: non parteciperò mai più a un festival. Questo è stato l’ultimo della mia carriera”.[/quote]
Con questo sfogo, nel 2012, Marco Bellocchio commentò la sua 5° partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia con il controverso La bella Addormentata, tornato a casa a mani vuote. 3 anni dopo, neanche a dirlo, il 75enne regista emiliano è sbarcato al Lido con il 3° film italiano in Concorso alla 72esima edizione, Sangue del mio Sangue, accolto da tiepidi applausi alla proiezione stampa e non poche perplessità.
Ambientata nella sua amata Bobbio esattamente 50 anni dopo I Pugni in Tasca, la nuova fatica di Bellocchio spiazza, per quanto poco lineare e criptica. Un’opera nata quasi per caso, come ammesso dallo stesso regista, unendo due progetti separati. Tutto è nato nel laboratorio della sua scuola di cinema, con sede proprio a Bobbio, sua città natale. Qui, insieme ai suoi studenti, Bellocchio ha scoperto il carcere abbandonato e ne è rimasto talmente affascinato da volerci girare una storia, incentrata su una monaca di clausura ammaliatrice che per riscattare l’anima dell’innamorato Fabrizio, frate suicidatosi, deve dichiararsi strega. Ad imporle la confessione la temibile Inquisizione, che la sottoporrà a tre prove (tutte storicamente provate) per confermare, o smentire, il suo scellerato patto con Satana. Prove di acqua, lacrime e fuoco che Benedetta, la monaca, dovrà provare a superare indenne dinanzi allo sguardo del gemello di Fabrizio, ovvero Federico, ugualmente ‘stregato’ dalla donna, murata vita perché condannata.
A questa ‘prima’ storia passata Bellocchio ne abbina un’altra ambientata ai giorni nostri, all’Italia degli anni 2000, corrotta e globalizzata, portandoci per mano dinanzi allo stesso portone del convento chiuso e cadente perché abbandonato, tanto dall’interessare un potenziale acquirente russo, tale Rikalkov, accompagnato sul posto da un presunto ispettore del Ministero. Peccato che all’interno della struttura, negli anni poi diventata prigione, abiti un misterioso ‘Conte’, ufficialmente scomparso da 8 anni e da tutti conosciuto come il ‘vampiro’, perché in libera uscita solo di notte. Una doppia presenza, quella del milionario e dell’ispettore, che manderà in subbuglio l’intera comunità di Bobbio, di fatto tenuta a galla dallo stesso Conte grazie a frodi fiscali e sotterfugi. Un micromondo in cui combattere e ostacolare quella vampirizzazione sociale chiamata ‘modernità’ (vietati Internet e i social network). Costi quel che costi.
Volti perplessi e primi commenti disorientati. Venezia 72 ha digerito con non poche difficoltà l’atteso ritorno in laguna di Bellocchio, neanche a dirlo consapevole del proprio ambiguo progetto. Alla prima conturbante parte, dedicata alla ‘Monaca di Bobbio’ e a quel processo inquisitorio bagnato con il sangue, il regista si è poi lanciato in un triplo salto carpiato tanto nei toni quanto nella sua rappresentazione, dando vita ad una critica socio-politica dell’Italia di oggi. Un mix di generi ed epoche di difficile comprensione, volendo arrivare ad un senso preciso, ma non poco coraggioso, avendo sperimentato ed osato all’interno di un’industria cinematografica, quella nostrana, solitamente accartocciata su se stessa.
Per trovare una precisa quadratura del cerchio il regista si è affidato alla sua ‘famiglia’, reale e cinematografica. Al fianco dell’eccessivamente teatrale Pier Giorgio Bellocchio, infatti, si sono trovati Elena Bellocchio, sua figlia, ed Alberto Bellocchio, suo fratello, ma anche alcuni attori ‘feticcio’ del regista come Roberto Herlitzka, meraviglioso ‘vampiro’ terrorizzato dalla globalizzazione, Alba Rohrwacher e Filippo Timi. Quasi un’opera ‘sperimentale’, quella diretta dal padre de I Pugni in Tasca, tra potere ecclesiastico e potere politico, mostri ‘statali’ e succhiasangue notturni, pazzi reali e streghe per pura finzione, canzoni dei Metallica e Alanis Morissette, all’interno di un Universo racchiuso in un comune di 3.660 abitanti della provincia di Piacenza, in Emilia-Romagna. Bobbio, per l’appunto, che non a caso l’immenso Herlitzka definisce ‘il mondo intero’. Un Pianeta ‘seppiato’ con la Chiesa dominatrice nella prima parte che si fa spiazzate ‘farsa’ nella seconda, tra personaggi grotteschi e svolte surreali, scritte e dirette da un 75enne che non ha ancora perso il gusto di provare linguaggi diversi e provocatori. Tanto da dividere, ancora una volta, il Festival di Venezia.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Sangue del mio Sangue (Ita, drammatico, 2015) di Marco Bellocchio; con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Lydiya Liberman, Fausto Russo Alesi, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Filippo Timi – uscita in sala: 9 settembre.