Venezia 2015, The Childhood of a Leader: recensione in anteprima del film di Brady Corbet
Brady Corbet debutta con un’opera prima ambiziosa, magmatica, a dispetto di una forma per lo più austera ma visivamente appagante. A cavallo tra le due guerre mondiali del secolo scorso l’infanzia di un futuro trascinatore in The Childhood of a Leader
Francia, 1918. Periodo estremamente tumultuoso; la Grande Guerra ha avuto fine da così poco tempo che sembra ancora vi si sia immersi. Lungi dall’essere rientrati, molti dei problemi che hanno portato allo scontro si sono piuttosto acuiti e non meno decisivo in tal senso si rivela la redazione del Trattato di Versailles. Un Trattato tutt’altro che esente da crepe, difetti che, voluti o meno, hanno finito col condurre dritti ad un conflitto successivo, se possibile ancora più sanguinoso, intenso e su larga scala.
È questo il contesto entro il quale operano i personaggi di The Childhood of a Leader, uno dei più esaltanti, curiosi ed ambiziosi debutti dell’ultimo periodo. Regista il ventisettenne Brady Corbet, che nonostante l’età ha covato il progetto per svariati anni. Lavoro intenso il suo, audace perché, diciamocelo, chi alla sua prima prova tenta la strada del film in costume? Peraltro moderatamente impegnato, visto che il soggetto, come abbiamo accennato poco sopra, si sofferma su una pagina di Storia non facile e su cui ancora si va dibattendo.
Tuttavia l’approccio di Corbet al materiale è coraggiosissimo. Non solo la complessità dell’argomento, ma anche uno stile denso, ricco di suggestioni, trasognante. The Childhood of a Leader non è film immediato, ma soprattutto non è mera ricostruzione di un periodo. Prendendo spunto da eventi realmente accaduti, il giovane regista s’ingegna qualcosa di oggettivamente più libero, un tentativo di rilettura alla luce soprattutto degli eventi successivi. Senza volere trincerare le premesse ad una sola domanda, il tutto rappresenta una tentata risposta ad un quesito comunque stimolante: al di là di meccanismi politici e sociali, cosa a livello umano ha contribuito in maniera determinante nella formazione dei partiti sfrenatamente nazionalisti (e, non a caso, anche personalisti) che sono scesi in campo, l’uno contro l’altro, sul finire degli anni ’30?
Riuscire a trasporre tale sfida con uno stile così fresco, pretenzioso ed evocativo, a posteriori ci sembra l’unico modo possibile, nonché, va da sé il più rischioso di tutti. Non a caso qui alla Mostra in parecchi ne sono rimasti al meglio infastiditi, tenuti a distanza da un modo di raccontare così saturo. Anzitutto di riferimenti, perché l’opera di Corbet è anche colta, sebbene prediliga vergare le proprie rime a suon di autorialità. Non (auto)referenziale, ma che ammicca ad atmosfere tipiche di certi cineasti, su tutti Il petroliere di Paul Thomas Anderson, da cui Corbet trae l’andamento cadenzato ma disturbante. Ma poi anche Dreyer, esplicitamente citato, da cui prende in prestito l’alone trascendente che pure permea pesantemente l’opera; Kubrick, quanto all’estetica da dipinto (Barry Lyndon); Bresson per l’austerità.
Un’inquietudine che monta anche mediante il ricorso ad una colonna sonora eccezionale, quella di Scott Walker. Ben utilizzata pure, enfatizzata dove serve. Al centro della vicenda l’infanzia di un ragazzino il cui padre (Liam Cunningham) lavora per conto del governo di Woodrow Wilson alla compilazione del Trattato sopra menzionato, spostandosi infatti in Francia con la famiglia, dove c’è fermento per l’assetto della nuova Europa. Un padre autoritario fino a un certo punto, per lo più assente, apparentemente disinteressato, tanto che il piccolo instaura un rapporto speciale con la madre (Berenice Bejo). Ma c’è qualcosa in questo ragazzino che lo colloca su un piano diverso rispetto ad altri; un po’ per la mancata frequentazione di coetanei, un po’ per la sua naturale inclinazione ad imporsi.
Le vicende mostrate non hanno nulla di straordinario, anzi; Corbet, semmai, trova l’insolito nell’ordinario. Attingendo da atmosfere che hanno del surreale, all’inseguimento di un formalismo a tratti rigoroso ma a suo modo stravagante. Il titolo è ciò che il film rappresenta, ovvero un collage di episodi tratti dall’infanzia di questo bambino, alcuni ripescati da biografie reali, come il lancio dei sassi nascosto dietro a un cespuglio, cosa realmente accaduta ad un giovanissimo Mussolini. Per quanto infatti Corbet cerchi di non farsi imbrigliare dalla Storia, è innegabile che il suo lavoro poggi su una meditazione quantomeno attenta del contesto storico. Ricorrendo ad una fotografia meravigliosa, grazie ad un glorioso 35mm, vero e proprio schiaffo al digitale: semplicemente, non è possibile generare quel mood se non mediante la pellicola, e The Childhood of a Leader è una cartolina dal fascino unico, conturbante. Che un giovane si getti a capofitto su un formato lì lì con l’essere sostituito si presterebbe peraltro a discorsi oltremodo interessanti, ma che esulano dall’intento di questo nostro scritto.
Tornando a noi, emerge un ritratto la cui preoccupazione principale è dunque quella di filtrare sensazioni, non mera casistica. La struttura è infatti lineare quanto alla cronologia, ma per il resto procede per impressioni, soffermandosi su situazioni determinanti, tese a darci un’idea di questo ambiguo e dunque inquietante ragazzino, eccentrico nelle parole ma soprattutto nei modi. Rifuggendo la morale, o addirittura un indirizzo specifico interno alla trama, che infatti si chiude in maniera non chiara, quasi che la storia avesse inizio proprio laddove il film si congeda. Un esordio folgorante, mosso da una tensione metafisica che in fin dei conti, probabilmente, sola è capace di spiegare lo stravolgimento di quegli anni.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”9″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”9″ layout=”left”]
The Childhood of a Leader (Regno Unito, Francia) di Brady Corbet. Con Robert Pattinson, Stacy Martin, Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Sophie Curtis, Rebecca Dayan, Caroline Boulton, Luca Bercovici, Michael Epp, Roderick Hill, Scott Alexander Young, Jeremy Wheeler, Patrick McCullough ed Andrew Osterreicher