Venezia 2016: una sala al posto di una lugubre buca (detta anche bara) accanto al palazzo del cinema
Mentre la Mostra si avvia alla conclusione, un fatto di cui si è poco parlato è l’apertura della Sala Giardino fortemente voluta da Piero Baratta, presidente, e Alberto Barbera, direttore, proprio nello spazio dove sarebbe dovuto sorgere il nuovo palazzo del cinema…
Andando al Palazzo cinema, alla Sala Darsena e alla Sale del Casinò- luogo delle proiezioni- si vede subito un grande cubo colorato che è stato chiamato Sala Giardino (Il Giardino è stato tale per un anno in altro luogo e senza cubo). La cosa che mi ha colpito di più in un primo momento è stato appunto il rosso cubo in una piazza dechirichiana, spazio con alberi e verde, in ordine sparso e suggestivo. Poi, ho sentito rumori potenti e suoni: la sala funzionava, sotto il cielo cocente. E i film?
Un programma intenso con lavori interessanti, incontri e visioni dalle 9 a mezzanotte. Nomi poco conosciuti e altri molto conosciuti come quello di Michele Santoro, debuttante come regista di un documentario, “Robinù”.
Quel cubo e le sue voci mi sono parsi simbolo della articolazione delle forme già in atto alla Mostra nel suo bisogno di rinnovamento, e nel tentativo complicato e forse anche affannoso di sciorinate una larga offerta. Uno sforzo per sottolineare ancora come Venezia è una città del cinema aperta, articolata, che osa e cerca di non sprecare, mostra un largo disegno di interessi, fra il vecchio e caro cinema, e il cinema che arriva, sta arrivando, promette di arrivare.
Pochi ne hanno parlato ma proprio in questi giorni, nei più diversi siti del Lido, si sono tenuti importanti convegni sul diritto d’autore, sulla digitalizzazione, sul mercato, sulla qualità del cinema. Alcune di queste iniziative sono state volute dalla Unione Europea che investe nel cinema per sostenerlo, promuoverlo, nella speranza di favorite le varie espressioni territoriali, cercando obiettivi comuni, traguardi di coesione. Alcuni esponenti della stessa UE hanno espresso dubbi e perplessità più o meno su tutto, dalle condivisioni e usi tecnologici alla lenta maturazione di convergenze pratiche e fini culturali, artistici: troppo lenti.
I problemi dopo l’annuncio della Gran Bretagna di exit dall’Unione sono aumentati, anche per le divisioni tra i paesi aderenti sulla generale, delicata, questione delle migrazioni. I venti della politica, con lo spettro di una ripresa della guerra fredda tra le grandi potenze, soffiano sul Palazzo del cinema, su tutte le sale, compresa la Sala Giardino; e lasciano perplessi.
In uno degli incontri, un produttore italiano ha detto che da noi una certa sofferenza nel concretizzate iniziative significative è dovuta alla realizzazione e al successo dei film comici, incapaci di superare le frontiere, essendo poco o nulla comprensibili negli altri paesi della UE.
Dunque che fare? Bien sur, altri convegni nella speranza le exit non s’incarichino di sfasciare i timidi segni di collaborazione da individuare.
Ricordo come momento di grande, fruttuoso modo di fare cinema con intenti comuni si verificò negli anni Sessanta, tra Italia, Francia, Germania. Grandi autori (Visconti e Fellini, Duvivier, Risi, Monicelli), grandi attorie e divi (Anouk Aimée, Mastroianni e Trintignant…) traversavano le frontiere. Ora che c’è Schengen, libera circolazione, ognuno sta a casa sua). Intanto, Sorrentino dopo aver filmato il Papa Giovane, pensa a Berlusconi giovanotto del 1936.