Venezia 64: Infamous giorno 2
Sleuth – Kenneth Branagh (concorso) Ammetto di essermi divertito pur con questo Sleuth, un filmetto leggero leggero che mi dicono essere il remake di un’altra pellicola. Un adattamento di una piece teatrale fatto talmente fedele (almeno nel respiro e nel ritmo/impostazione delle battute) che ci si chiede per quale motivo non si sia lasciato su
Sleuth – Kenneth Branagh (concorso)
Ammetto di essermi divertito pur con questo Sleuth, un filmetto leggero leggero che mi dicono essere il remake di un’altra pellicola. Un adattamento di una piece teatrale fatto talmente fedele (almeno nel respiro e nel ritmo/impostazione delle battute) che ci si chiede per quale motivo non si sia lasciato su di un palcoscenico.
Due uomini (Jude Law e Michael Caine) si contendono una donna e giocano l’uno a spaventare e umiliare l’altro, fino a quando non si invaghiscono l’uno dell’altro e litigano fra di loro.
Come film per aprire la giornata non c’è male, diverse linee di dialogo funzionano e fanno pure ridere, i due attori sono bravi (Caine ovviamente più di Law) e quindi il film passa veloce veloce e leggero leggero.
Sad Vacation – Aoyama Shinji (orizzonti)
Ok, effettivamente la tira un po’ troppo per le lunghe e ormai di film giapponesi dal ritmo lento e che ci mostrano l’alienazione (anche se qui si cerca un modo per combatterla) della famiglia e della società Giapponese ne abbiamo piene le scatole, se ci aggiungiamo che il protagonista assoluto è Tadanobu Asanu abbiamo completato il quadretto del tipico film giapponese che parla dei problemi della famiglia. Sarà noioso e un po’ troppo pedante, ma quello stile di regia secco e piatto, con i colori desaturati e il ritmo a zero è sicuramente un catalizzatore di fascino per un orientofilo quale sono, sembrava di stare a guardare un film di dieci anni fa, dieci anni fa magari sarebbe stato anche molto bello e innovativo.
C’é anche il finale surreale di quella surrealtà tipica dei Giapponesi. Si, forse è un po’ troppo canonico.
Kantoku Banzai! – Takeshi Kitano (fuori concorso)
Che cosa succede quando un regista che era stato sulla vetta dell’arte si rende conto di aver perso la mano magica? Che cosa succede quando un regista acclamato e venerato in tutto il mondo si rende conto di non aver più niente di buono da dire?
Bene se è un regista intelligente prova a scherzarci sopra e prendersi in giro, sperando che la gente in sala non gli vada dietro e continui a idolatrarlo andando anche contro quello che lui stesso gli suggerisce sullo schermo: che è un regista finito e che si è bevuto il cervello.
Dopo Takeshi’s, che già era tacciabile di mille difetti, ma aveva anche i suoi indubbi pregi, Kitano ci propone un film che di buono ha solo le premesse, non fa ridere se non con risatine strette fra i denti, imbarazza più di una volta e fa dispiacere per tutta la durata.
Chi ha visto getting any si può immaginare una cosa del genere, purtroppo però solo la seconda parte, quella che non fa ridere. E sto ancora pensando di scrivere qualcosa che in qualche modo lo possa salvare, ma proprio non ci riesco, improponibile sotto ogni punto di vista. Povero Kitano, anche se non riesco a capire se è completamente rincoglionito lui oppure se sono troppo scemo io per capirlo.
Lust, Caution – Ang Lee (concorso)
Probabilmente è fino ad adesso il filmone più filmone visto al festival, oltre due ore e mezzo di film in costume con i Giapponesi occupanti e cattivi, tanti sentimenti contrastanti e la resistenza che combatte clandestina contro l’occupazione. Un Tony Leung che probabilmente non si era mai visto così cattivo e così nudo sullo schermo. Qua sembra ci sia stato un grande scandalo per le scene di sesso, che io di solito aberro, ma c’è da dire che sono girate con eleganza ed efficacia, e sono tutt’altro che messe li giusto per creare scandalo.
Bravi tutti, gli attori, il regista, il fotografo, una sceneggiatura che conquista e commuove (davvero un bel melodrammone), via, non mi sarei mai pensato di parlare con questi toni entusiasti di un film di Ang Lee, ma bisogna riconoscere che fino ad adesso è il film più leccato patinato e riuscito che si sia visto fino ad ora.
Sztuczki – Andrzej Jakimowski (giornate degli autori)
Un classico film da festival, fatto in modo discreto e con dei buoni momenti di dolcezza e amore fraterno. Polonia dei nostri giorni, una sorella cerca lavoro e sogna l’Italia, il suo fratellino gli sta sempre appresso e cerca il loro scomparso padre, che ha abbandonato loro e la madre per un’altra donna, e prende il treno tutte le mattine per Varsavia. Già da qui potete immaginare come un classico film da festival si evolverà, tanti buoni sentimenti e un’ottima e calda fotografia. Ammetto di essere rimasto in sala solo accecato dalla bellezza acqua e sapone (ma conturbante) della protagonista, ammetto che mi sarebbe piaciuta vederla in un film vm18.