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Venezia 65: Achille e la tartaruga – Cry me a river – Khastegi (Tedium)

Venezia 65Akires to Kame (Achilles and the Tortoise), di Takeshi KitanoOdio ripetermi, eppure mi vedo costretta a farlo per la seconda volta: non me ne vogliano i fan di Kitano, ma questa nuova commedia non rientra fra i suoi lavori migliori. Si apre sui toni del dramma, con un protagonista bambino che fa pensare a

di simona
29 Agosto 2008 07:02

Khastegi

Venezia 65

Akires to Kame (Achilles and the Tortoise), di Takeshi Kitano

Odio ripetermi, eppure mi vedo costretta a farlo per la seconda volta: non me ne vogliano i fan di Kitano, ma questa nuova commedia non rientra fra i suoi lavori migliori. Si apre sui toni del dramma, con un protagonista bambino che fa pensare a L’estate di Kikujiro, poi vira verso toni sempre più grotteschi ma senza mai sfociare nei deliri visionari a cui “Beat” Takeshi ci aveva abituati negli anni scorsi.

La pellicola, che essenzialmente parla della lenta autodistruzione di un individuo animato da una sconfinata passione per l’arte ma privo di qualsiasi talento, merita comunque di essere promossa, anche per la semplice bellezza estetica dei colori dei dipinti del protagonista (tutti – e sono tantissimi! – realizzati dallo stesso Kitano). La poesia di Dolls, comunque, è lontanissima… (Qui l’interessante intervista di Cinema.it a Kitano)

Orizzonti

Heshang de aiqing (Cry me a river), di Jia Zhang Ke

La speranza è che da questo bellissimo corto possa nascere un lungometraggio. Le premesse ed il materiale ci sono. La storia è interessante e delicata, meriterebbe di essere approfondita. Alcuni ex compagni di università, in Cina, si ritrovano dopo dieci anni per festeggiare il compleanno del loro vecchio professore di poesia. Quattro di loro avranno modo di confidarsi e di rivelare agli amici di non essere, ognuno per il proprio motivo, felice.

Khastegi – Tedium, di Bahman Motamedian

Il primo film a sorpresa di questo Festival è ambientato a Teheran e narra la storia di sette transessuali iraniani che, sullo schermo, vivono e raccontano stralci della loro esperienza di vita. Soprattutto nella società islamica iraniana, con i suoi preconcetti, con i suoi precetti religiosi e la sua tradizione patriarcale, l’essere considerati come “diversi” è un problema non da poco. La pellicola, opera prima dell’iraniano Bahman Motamedia, merita secondo la scrivente un plauso per il coraggio dimostrato nel portare al cinema un tema tanto controverso (quanto attuale) come quello del transessualismo e dell’identità di genere. Dubito lo vedremo mai nelle sale, ma consiglio a chi ne avesse la possibilità di recuperarne la visione in DVD.

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