Venezia 76, solite sterili polemiche sulle poche registe in Concorso: la replica di Alberto Barbera
Alberto Barbera replica punto per punto agli attacchi dell’Hollywood Reporter su Venezia 76.
“Il Festival del cinema di Venezia ha ancora molta strada da fare sulla parità di genere”, scrive polemicamente l’Hollywood Reporter, già un anno fa sul piede di guerra per l’unica regista in Concorso. Ogni anno, puntuale, la storia si ripete, come se un selezionatore da Festival dovesse decidere il proprio programma in base al sesso del regista, e non alla qualità dei film. Titoli, tra le altre cose, mai come quest’anno centrati proprio sulla figura della donna, e che verranno valutati dalla presidente di giuria Lucrecia Martel.
E non è tutto, perché dagli States la polemica è ulteriormente decollata grazie alla presenza di Roman Polanski con J’Accuse. Il regista premio Oscar, come dimenticarlo, rimane un fuggitivo per la giustizia americana, per un caso di violenza sessuale che dura da decenni. L’Hollywood Reporter ha ricordato le 4 registe viste in Concorso a Cannes, pochi mesi fa, ma anche il 46% dei film in concorso diretti da donne al Sundance e il 40 percento dei film in concorso a Berlino 2019.
Alberto Barbera, dal 2011 direttore artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha così risposto all’Hollywood Reporter.
Quest’anno abbiamo ricevuto più di 1800 film. Solo il 23 percento dei film presentati era diretto da donne. Nella competizione per cortometraggi, il 50 percento dei titoli sono diretti da donne. E nella Virtual Reality, le donne sono la maggioranza rispetto agli uomini. Significa che nella nuova generazione ci sono più registe che ai vecchi tempi. Ciò è evidente ed è molto promettente per il futuro.
Sul caso Polanski, invece, Barbera è stato chiaro.
È un grande film. Ha fatto un ottimo lavoro per ricostruire un’espressione storica e accurata del caso, basata su due documenti dell’epoca. Ha un grande cast con una sceneggiatura meravigliosa. E ovviamente proietta la sua esperienza personale. È una dichiarazione politica molto forte che non riguarda solo il passato, ma è una dichiarazione molto contemporanea sul razzismo e altri tipi di problemi. È sulla stessa scala di The Pianist. Siamo qui per vedere le opere d’arte, non per giudicare la persona dietro di esse. Spero che possiamo solo discutere della qualità del film e non di Polanski e del caso ancora aperto con la contea di Los Angeles. È uno degli ultimi grandi registi europei, uno degli ultimi veri artisti del del cinema classico del 20° secolo. Non credo che meritasse di essere espulso dal Academy. Non penso sia giusto e, soprattutto, non credo sia giusto. Penso che dovremmo sempre fare una distinzione tra l’artista e l’uomo. La storia o l’arte è piena di artisti che erano assassini, criminali, che avevano comportamenti estremamente cattivi. Ma erano grandi artisti e le loro opere rimangono. Caravaggio era un assassino, ma è uno dei maggiori pittori del periodo barocco italiano. Non è così diverso.
A Rainy Day in New York di Woody Allen, invece, è rimasto fuori dalla selezione. Questo il motivo.
La scelta della società di distribuzione [Lucky Red] è stata quella di non rovinare il film prima dell’uscita commerciale. Non ho visto il film, quindi non ho avuto la possibilità di discutere della possibilità di invitarlo o meno.