Vinodentro: Recensione in Anteprima
Uno dei maggiori esperti di vino in circolazione viene accusato di aver ucciso l’ex-moglie. Vinodentro racconta la storia di come si sia arrivati a tale omicidio e perché
A Trento si tiene una gara di degustazione con alcuni dei massimi esperti in materia. Uno di questi è Giovanni Cuttin (Vincenzo Amato), possibilmente il migliore tra tutti. Mentre assapora i vari vini sottoposti al suo vaglio, una conturbante ragazza lo fissa con un sorriso irresistibile, invitante, dal quale Giovanni, bicchiere in mano, resta ammaliato.
Qualche giorno dopo l’ex-moglie di Giovanni, Adele (Giovanna Mezzogiorno), viene trovata morta a casa sua. Chi l’ha uccisa? Ovviamente l’indiziato principe è Giovanni, che di corsa viene portato in commissariato: lì potrà riportare la sua versione, che manco a dirlo lo vuole innocente.
Vinodentro alterna essenzialmente due anime, sfumandole verso la metà, quasi sovrapponendole prima di operare il definitivo passaggio dall’una all’altra. La prima è una nemmeno troppo velata esaltazione del mondo enogastronomico, fatto di vini, profumi e una passione spropositata per la materia. Quello che dà l’idea di funzionare meglio come sfondo, per l’appunto, si appropria della scena, ed anche a posteriori non si capisce il perché un così pronunciato indugiare su vini, aste, degustazioni e quant’altro. Che l’argomento stia a cuore ad Orgnani non è certo un mistero, dato che è cresciuto in quell’ambiente, ma l’impressione è che in tal senso si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano.
Anche perché la seconda parte, quella a partire dalla quale si devono inesorabilmente tirare le fila del discorso, si pone su un altro livello, le cui connessioni con la prima appaiono troppo opache, se non addirittura aleatorie. Cosa è stato, dunque, quell’incipit? Senza voler svilire ulteriormente la pellicola caricandola di inopportune domande, lo spettatore percepisce questo salto nel vuoto, dal quale il film riemerge cambiato, e non siamo sicuri se in meglio.
Mentre si cerca di capire chi sia quella donna misteriosa dell’inizio, l’unica soluzione per tenere in qualche modo desta l’attenzione è quella di affidarsi a qualche estemporanea battuta o fugace siparietto. Toni, questi, che di fatto indeboliscono preventivamente quel finale ambiguamente onirico, tra un’accennata citazione di Kubrick e l’altra (il barocco della sala nella scena che anticipa di poco il finale risente di qualche influenza da parte di Eyes Wide Shut, sensazione acuita dal brano suonato in loco dall’orchestra, lo stesso di Schubert nella celebre scena in cui Barry e Lady Lyndon si baciano al chiaro di luna). Anche se la citazione più immediata, quasi una fonte vera e propria, resta senza dubbio L’avvocato del diavolo con Al Pacino.
La piega metafisica che infatti Vinodentro assume alla fine non può che capitolare sotto i colpi di un lungo, incerto preambolo, che ha condotto la narrazione a quel punto senza costruire solide basi per sorreggere tale conclusione. Spiace per Lambert Wilson, il cui valore non si discute e che non a caso, da francese, recita meglio di tutti gli altri italiani. Certo, non che Stefania Mezzogiorno sfiguri, ma il suo è un personaggio scritto in maniera talmente raffazzonata che nemmeno un’ottima attrice come lei ha potuto nulla.
Un progetto, insomma, che su carta avrebbe convinto più o meno tutti, con quel suo rifarsi a certi intramontabili temi faustiani. Ed è a quel mezzo che appartiene, la carta, ossia la letteratura. Perché purtroppo di soluzioni afferenti al medium cinematografico se ne scorgono davvero poche e mal assortite. Un collage di intuizioni magari interessanti prese a sé, ma che nell’insieme generano un senso di inconsistenza alla quale sembra non esserci alcun rimedio. Nemmeno attraverso le svariate, gradevoli citazioni colte.
Voto di Antonio: 2
Vinodentro (Italia, 2013) di Ferdinando Vicentini Orgnani. Con Vincenzo Amato, Giovanna Mezzogiorno, Pietro Sermonti, Lambert Wilson, Daniela Virgilio, Erika Blanc e Gioele Dix.