Visita ou Memórias e Confissões: recensione del film postumo di Manoel de Oliveira
Un’autentica lezione di cinema. Passato già da Cannes proprio nel corso dell’ultima edizione del Festival, Visita ou Memórias e Confisse (Conversazione privata), opera postuma di Manoel de Oliveira, è l’intimo resoconto di un regista affermato che accosta il fare cinema alla gioia di vivere
Entrare in una villa a due piani e perdersi nei suoi ricordi. Da tale premessa muove Visita ou Memórias e Confissões (Conversazione privata), film postumo di Manoel de Oliveira, prolifico cineasta portoghese, nonché assiduo ospite del Festival di Cannes coi suoi film. Come ho anticipato nel diario, la scusa per girare questo film intimo e piccolino è la forzata vendita della casa in cui il regista ha vissuto per circa quarant’anni.
Una pagina triste nell’esistenza di de Oliveira, che non tradisce una certa amarezza. Tuttavia, e qui si scorge il rigenerante tocco dell’autore, questo brusco cambiamento diviene occasione per fare un po’ il punto su una vita intera. D’altronde all’epoca il regista ha già 73 anni, quattro figli, tutti sposati con figli, nonché una carriera oramai stabile e consolidata. Di materiale su cui discutere, perciò, non ne manca.
Ed è davvero un resoconto, a tratti davvero schematico, semplice nella forma e nei contenuti. Due estranei, mai inquadrati, entrano in questa casa enorme ma calorosa, vissuta; i due parlano, discutono, ma non di frivolezze. S’interrogano su quesiti alti, mentre vengono passate in rassegna ali dell’abitazione, frutto di movimenti di camera sinuosi. Dopo un po’ i due vengono a contatto con un uomo: è l’ex-padrone di casa, Manoel de Oliveira.
Da qui in avanti è lui a salire in cattedra, illustrando vicende relative non solo a sé stesso ma anche a suo padre e qualche altro componente della famiglia. Alcuni di questi ricordi li mette pure in scena, come quando fu internato da funzionari del governo al potere per alcune frasi scomode espresse in una serata ad Oporto. E mentre scorrono le immagini di un soggiorno in un altro arioso immobile di famiglia, Manoel ricorda di quando addirittura Bazin lo venne a trovare, insieme a tanti altri.
«Non so perché in questo momento mi appassiona la nostra storia, capire come il Portogallo sia arrivato sin qui e cosa lo aspetta», dice più o meno il protagonista. E prosegue: «… ma vorrei capire perché noi portoghesi, ad un certo punto, ci convinciamo che tutto dipenda da noi, che tocca a noi salvare il mondo». Non è una critica bensì una curiosità sincera, di chi ha scelto il cinema o è stato scelto dal cinema (de Oliveira insiste parecchio sul fatto di averne ricevuto la vocazione) ma che al tempo stesso si trova ad un punto in cui tocca a lui rispondere. È il dovere dell’artista, la sua chiamata alle armi, alla quale, ne avremo conferma in seguito, de Oliveira non si sottrarrà.
Simpatico pure, quando dà ragione a chi praticamente lo critica per essere fissato col concetto di purezza: «è vero, è proprio così», conferma il diretto interessato. Emergono qui le radici cattoliche del nostro, che non ostenta ma nemmeno intende celare, perché in fondo sono queste sue origini ad avergli fornito le armi, ossia una lente attraverso cui leggere il mondo ed interrogarsi a riguardo.
Tutto qui, quattro chiacchiere di fronte a una macchina da presa e le immagini di una casa accogliente e dallo stile antico, anche per quel tempo. A de Oliveira non serve altro per raccontarci quasi un secolo, il suo secolo. Le sofferenze, la paura, la morte, gli affetti, le gioie e le amarezze di un uomo sposato per quarant’anni con la stessa donna, lui che la donna in generale la venerava proprio quale espressione più alta di umanità. Sì, Manoel de Oliveira era un uomo d’altri tempi. Ma non è solo per questo che vale la pena ascoltarlo, tanto più in questo Visita ou Memórias e Confissões, film-documento che rappresenta il lascito importante di un grande cineasta.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”9″ layout=”left”]
Visita ou Memórias e Confissões (Portogallo, 1982), di Manoel de Oliveira.