Viva la libertà, un lungo cammino, l’Italia di Roberto Andò
In che Paese siamo? Lo domanderò a Roberto Andò alla Scuola Superiore della Università di Catania che parlerà del suo cinema, tra Leonardo Sciascia e Tomasi di Lampedusa
Come sta l’Italia? Roberto Andò sta completando il suo nuovo film, sul quale darà qualche anticipazione oggi 5 ottobre, nell’incontro alla Scuola Superiore dell’Università di Catania. La domanda riguarda il suo ultimo film uscito, “Viva la libertà”, 2013. Una delle risposte del giovane regista siciliano, 56 anni, sta nel film e ne parleremo nel confronto imminente; con la consapevolezza che interrogarsi è meglio che cercare solo la suggestione irresistibile della parola, “libertà”, bellissima e continuamente riproposta.
Due nomi mi vengono immediati: quello di Leonardo Sciascia e quello di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ho appreso, col tempo, che Andò è stato avviato alla scrittura come creatività e professione proprio da Sciascia, la stessa cosa da invidioso potrei dire anch’io: molto devo a questo grande intellettuale e alle sue opere, idee e suggestioni sul del Paese e sulla sua straordinaria terra(non è un vezzo carino ripetitivo); terra, che è pure nostra. Sofferte modernità.
Per Tomasi di Lampedusa ricordo che Andò ha diretto un film, il suo primo, “Il manoscritto del Principe” (1999), prodotto da un altro siciliano-italiano eccellente, Giuseppe Tornatore. Il racconto degli ultimi quattro anni in cui Tomasi scrisse “Il Gattopardo”, meraviglioso, e del rapporto tormentato- dicono le cronache-con il suo allievo Francesco Orlando, che ho conosciuto e che ha scritto un libro, “Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura”, una fantastica cavalcata seria e ironica nel piacevole “assurdo”, stile di immaginazione”, delle cose che scompaiono mai esistono. Un’opera, un classico, fonte di ispirazione per il cinema. “Il Gattopardo” che Luchino Visconti ha ripreso e proiettato sugli schermi sempre più grandi della memoria. E’ proprio da questo film, dalle sue immagini e dalla sua musica che vorrei dire qualcosa su Andò, in vista dell’incontro di Catania.
Più volte, mi sono sorpreso a cercare la musica del film, scritta da Nino Rota, notevole musicista, in colonne sonore incastonate e padrone di “La dolce vita” e dei film di Federico Fellini. Rota e la sua ouverture del “Gattopardo”, distillata nelle varie sequenze di un’opera troppo conosciuta per insistere nei preziosi dettagli e insieme. Qui, in queste note, avverto il senso profondo di una fascinazione che non dimentica mai asperità,frizioni, contraccolpi, drammi; e non dimentica il viaggio ansioso nel nostro Paese fatto di speranze e di disperazioni, illusione e delusione, commedia e tragedia. E comunque voglia di vivere e non soltanto di sopravvivere.
La scelta di Andò, la sua poetica come si dice, vive nelle contraddizioni che non ci danno pace. La ricerca di una “libertà” vera, sonante, concreta, e non prodotto di simil-libertà di una società caduta nella libertà dei consumi e dei suoi modelli predoni, come scrisse Pier Paolo Pasolini, mai smentito negli anni, fino ai nostri (e domani?).
Il film di Andò dedicato a Tomasi ha il cuore, lo stesso cuore dell’ouverture di Rota, in cui si specchia “Il Gattopardo”, carta e pellicola. Suscita emozioni e pensieri. Lo prendo come principio per andare oltre, e completare una prima presentazione dell’incontro alla Scuola Superiore dell’Università catanese. Tutti noi abbiamo sicuramente presente la scena in cui il Principe di Salina conversa con l’emissario del Regno dell’Italia Unita, dopo il 1861, e gli propone di entrare in politica. nel nuovo Parlamento italiano?
Basta poco per rievocarla perchè è incisiva, grazie alla recitazione di Burt Lancaster, a suo agio nel ruolo, e alla regia di Visconti che sottolinea con passione le parole di Tomasi. Le sentite, resistono, sempre. Queste dolorose parole del Principe sulla Sicilia, sono nutrite da sentimento e ragione, sul passato, la sfiducia, l’incertezza, i dubbi, ombre mortali. Ma l’effetto che esse fanno, al di là di tutto, della storia che raccontano o tentano di rappresentare nella globalità di esperienze vissute, sono un roco, travolgente, inquietante richiamo alla “libertà” perduta, la “libertà” come svincolo da storie secolari, dal magma di bisogno dei pentimenti e del perdono dai quali lui stesso, il Principe, non sapeva, non poteva liberarsi in nome della “libertà”, non una chimera ma una possibile realtà da rifare.
Il cinema di Andò si muove come un giovane regista può fare in un paese ingolfato come il nostro di freni, frustrazioni, illusioni e delusioni, in attesa di meno miraggi e di maggiori concretezze, soprattutto di verità e mete possibili, credibili. Lo ha fatto con un intenso lavoro di scrittura e di esperienze solide, non velleitarie. La collaborazione, come aiuto regista, di Francesco Rosi (che Andò considera come un maestro, a cui ha dedicato un bel documentario), Fellini (“E la nave va”), gli americani Michael Cimino (Il Siciliano), Francis Ford Coppola (Il Padrino parte III) . Le esperienze teatrali, la sua prima regia è per una messa in scena per “La foresta-radice labirinto”), con bozzetti di Renato Guttuso. Verranno la direzione artistica delle Orestiadi di Gibellina; i testi e le regie con Moni Ovadia, Anna Maria Ortese, il Nobel Harold Pinter; le regia liriche, classici melodrammi, lavori più vicini a noi.
Verranno i documentari, numerosi, per il cinema e la tv. Ad esempio, “Memory Loss” (1994), dedicato Robert Wilson, un nome famoso nel teatro, americano, che la lavorato a lungo in Itala. Un ritratto di Pinter. Un lungometraggio ambientato a Palermo, in cui mescola saggio, documento, finzione. Ma tanto altro ancora, ci sarebbe da annotare. Invece bisogna andare a “Viva la libertà” che presenta il nostro Paese, 2013, che sta per affrontare una consultazione elettorale, tra diffuse incertezze e mire politiche, in un intreccio che rivive in una idea su cui non mi soffermo. Potrei non farlo, ma il film è uscito, ha avuto successo, e continua la sua vita.
Il suo valore sta non solo nel titolo, e nella interpretazione in un doppio ruolo di Tony Servillo, bravo, bravissimo; ma nelle intenzioni, nei colpi di scena, nello svolgimento la sintesi da quanto Andò ha compiuto fino ad oggi, nell’arcipelago delle sue scelte e pratiche. Sta in quel titolo che è un urlo, “Viva la libertà”. Se ne parlerà alla Scuola Superiore. Cercheremo di capire il senso dell’urlo, anzi delle urla che salgano nel nostro Paese, il passato e uno sguardo in avanti. Perché la parola “libertà” non sia nè rimpianto nè enfasi.