Viva l’Italia: Recensione in Anteprima
Ecco a voi in anteprima la recensione di Viva l’Italia. Di Massimiliano Bruno, con Raoul Bova, Michele Placido, Alessandro Gassman ed Ambra Angiolini
Come tentare l’approccio all’odierna questione italiana servendosi del mezzo cinematografico? Le difficoltà alle quali si deve far fronte nel cercare di motivare la cancrena in cui versa questo Paese, illustrandone le dinamiche, sono palesi. Non solo. Sono anche dovute all’impreparazione di una generazione cresciuta tutto sommato nell’agio, convinta che negli ultimi sessant’anni davvero non abbiamo partecipato ad alcuna guerra. Anzi. Per molti, troppi, quella conclusasi nel 1945 è stata davvero l’ultima guerra.
Eppure come spiegare, oggi, il profondo frazionamento di cui soffre l’Italia? Un problema che va al di là della Politica, ma che coinvolge la nostra società tutta, ad ogni livello. Massimiliano Bruno sceglie di inoltrarsi all’interno di questo tortuoso sentiero, optando per una fotografia meno greve possibile di ciò che ci circonda, ma altrettanto veritiera.
E le sfide da affrontare non sono poche, né poco ardue. Riuscire a restare in equilibrio in simili contesti richiede non solo abilità, ma un grado di consapevolezza difficile da acquisire, immersi come si è in questa vasca. Viva l’Italia, al di là di tutto, è una pellicola figlia di tale incertezza. Quella di far fatica a capire inequivocabilmente cosa davvero ci stia lacerando. Ed è impensabile prescrivere alcuna cura se non si è in grado di stilare una seria diagnosi – come avviene, peraltro, in una delle scene del film.
Viva l’Italia fa perno su un’idea in particolare, che si risolve in questa semplice domanda: cosa succederebbe se all’improvviso fossimo costretti a dire soltanto la verità? Pur condividendo la propria base concettuale con un film come Bugiardo bugiardo, le differenze con il lavoro di Tom Shadyac sono anzitutto di prospettiva. Bruno opta per un taglio meno favolistico rispetto alla controparte americana. Cerchiamo di capire perché.
Michele Spagnolo (Michele Placido) è un politico di lungo corso. Quarant’anni sulla cresta dell’onda, tra malaffare e vizi di tutti i tipi. Una sera l’onorevole Spagnolo viene colto da un malore, proprio mentre si trova con la sua amante. La demenza fronto-parietale che ne consegue comporta il peggiore dei sintomi per uno come lui: dire la verità.
Ma Spagnolo ha anche tre figli, più meno diversi tra loro. C’è Valerio (Alessandro Gassman), il classico fallito che è riuscito a portarsi avanti solo grazie alle raccomandazioni del padre, stimato nulla da sua moglie e suo figlio (una, borghesotta di facili costumi, l’altro, giovane viziato in rotta col mondo). C’è Susanna (Ambra Angiolini), ragazza senza né arte né parte, afflitta da una fastidiosa zeppola, che tenta di sfondare in un mondo che non le appartiene, ossia la recitazione. Ed infine c’è Riccardo (Raoul Bova), l’unico dei tre che dimostra un qualche interesse verso qualcosa, di cui ne ha fatto la propria vocazione; è un medico per passione e per impegno.
Ed è mediante la storia della famiglia Spagnolo che Bruno tratteggia lo stato in cui versa quello che un tempo veniva definito il Bel Paese. Attraverso le vicende di ognuno di loro si tenta di descrivere dinamiche più capillari di quello che sembrano. Dalla somministrazione di cibo scaduto nelle mense per volere dei piani alti dell’azienda che si occupa della sua distribuzione, all’inconsistenza di fiction televisive dove la ben nota spinta regna sovrana.
E così assistiamo a giovani brillanti costretti ad emigrare, altri invece limitati da un’occupazione di ripiego, giusto per sbarcare il lunario. Indifferenza verso la dignità dell’uomo, quella stessa dignità per cui un italiano come Pico della Mirandola si batté tanto rischiando ancora di più, in un’epoca in cui prodursi in certe speculazioni esponeva all’eresia. Oggi, invece, l’eresia procede al contrario, non solo nei riguardi della dignità ma della vita stessa. Medici che si servono malamente dei contributi statali per ingrossare le casse delle proprie cliniche private, un po’ come l’Alberto Sordi de Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue.
Promesse non mantenute in maniera disonorevole, come quelle relative alla ricostruzione di L’Aquila. Scontri tra poliziotti e manifestanti, inspiegabilmente divisi laddove condividono la medesima situazione. Teatrini televisivi d’avanspettacolo, che né divertono né intrattengono, ma che della farsa coltivano ed esasperano un solo effetto: la distrazione. Panem et circenses: nell’Antica Roma erano leoni e gladiatori, in quella Nuova sono membri di partiti di cui conosciamo a stento la denominazione.
Eppure alla fine è proprio su quest’ultimo aspetto che si fa maggior leva, ossia la questione politica. O meglio, della classe politica. Corrotta e talmente intrisa di scelleratezza e disonestà da non poter più nemmeno aspirare ad una qualsivoglia redenzione. Quella che, in fondo, meglio rappresenta ciò che noi siamo; come popolo, come individui. Insomma, tutte cose che già sappiamo. E tutte cose di cui il nostro attuale cinema, quello che cerca di staccarsi un po’ di più dal suolo, ci ha già raccontato. Purtroppo sempre allo stesso modo.
Non mancano certi virtuosismi da parte di Bruno, sia registici che a livello di sceneggiatura. Nel primo caso siamo stati toccati da due sequenze in particolare, entrambe coinvolgenti il personaggio di Placido. La prima è quella in cui l’onorevole, in pigiama, attraversa una zona in cui si stanno tenendo degli scontri tra polizia e manifestanti. Girata in lieve slow-motion, con il sottofondo di Italia di Mino Reitano: fa un certo effetto. L’altra, tenera ma non smielata, in cui lo stesso Michele Spagnolo si sovrappone all’immagine di un filmino proiettato sul muro di casa. La scena riguarda una vecchia giornata a mare con la sua famiglia. Quanto all’ultima annotazione, saremmo curiosi di sapere se il cognome affibbiato al personaggio di Placido abbia anche solo vagamente a che vedere con lo spagnolo di Ossessione. Citazione non del tutto campata in aria, se si pensa alla portata di un personaggio che, nel film di Visconti, si divide tra la sua valenza pubblica (quindi politica) e quella privata. Perché, volendo approfondire una delle possibili chiavi di lettura, il punto è proprio questo: può o non può incidere la qualità della vita privata di un politico sul personaggio pubblico che è chiamato ad essere? Quesiti di non facile risposta, che oramai non possono più essere liquidati con la solita, sprezzante retorica del “ognuno a casa propria fa ciò che vuole“. Perché se in questa massima c’è un fondo di verità, è pur vero che per troppo tempo certe affermazioni hanno impedito una critica seria a ciò che davvero non va.
Ed in fondo il messaggio di Viva l’Italia tende a risolversi in un epilogo positivo. Positivo sì, ma che stona e che non alimenta chissà quali speranze, qualora fosse stato questo l’intento. Ad una prima parte forse troppo canzonatoria, esasperata e stilizzata, fa da contraltare una seconda metà più sobria e più ispirata, ma che nonostante tutto stona con quanto avvenuto in precedenza. Susanna, il personaggio della Angiolini, più e meglio di altri esemplifica questa schizofrenia di tono (se così possiamo definirla) che si avverte tra la prima e la seconda parte della pellicola. Per metà del film stupida come poche, con quell’odiosa zeppola che appesantisce un personaggio già di per sé volutamente e negativamente esagerato. Poi, quasi di colpo, via la zeppola, via il dolore: Susanna si trasforma, non diventa una cima ma di certo un’altra persona. A nostro parere troppo diversa da quella che era per un lasso di tempo così ridotto.
A questo punto bisognerebbe capire quali fossero le premesse; pur nell’ambito della commedia, s’intende. Perché se è una favola che si voleva raccontare, allora un’inversione così repentina, ma debole nelle dinamiche, ci può stare. Se invece è ad un certo realismo, per quanto non marcato, che si puntava (come crediamo), allora le cose cambiano. Ed è questo, essenzialmente, il limite di Viva l’Italia. Un film in cui non mancano spunti interessanti, ma in fin dei conti ridimensionato da questo suo limitarsi a riportare fatti “nudi e crudi”, senza alcuno slancio degno di nota. Ed è un peccato, perché certe interpretazioni se non sono notevoli poco ci manca (tra i più in ombra, esilarante Maurizio Mattioli), ed i presupposti per osare di più ci è parso ci fossero.
Voto di Antonio: 5
Voto di Gabriele: 2
Viva l’Italia (Italia, 2012). Di Massimiliano Bruno, con Raoul Bova, Michele Placido, Alessandro Gassman, Rocco Papaleo, Edoardo Leo, Ambra Angiolini, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Rolando Ravello, Imma Pirro, Camilla Filippi e Barbara Folchitto. Qui trovate il trailer. Nelle nostre sale dal 25 Ottobre.