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War Horse – Recensione in Anteprima del film di Steven Spielberg

Spielberg ci parla della storia di un “cavallo miracoloso” nel suo ultimo film. Cineblog recensisce War Horse

pubblicato 8 Febbraio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 04:17

A distanza davvero di poco tempo dall’uscita di Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno, Steven Spielberg torna a far capolino nelle nostre sale con War Horse. Un successo annunciato per alcuni, un po’ più cauti altri. Negli USA il botteghino non è stato poi così clemente come ci si aspettava, nonostante gli incassi della pellicola abbiano già pressoché doppiato le spese alle quali si è dovuto far fronte per girarlo.

Ed anche in questo caso, come per Tintin, Spielberg si è trovato a dover adattare per il grande schermo l’omonimo libro, scritto da Michael Morpurgo ed uscito nel 1982. Ma basta con i paragoni, e concentriamoci su War Horse. Un film assolutamente nelle corde del regista di ET e Jurassic Park, che dall’incipit narrativo con cui si è dovuto confrontare ha fatto suoi, quasi per osmosi, vizi e virtù. Non è tanto la scelta di trasporre una storia triste ma edificante, quanto la alcuni aspetti in fase realizzazione che prestano il fianco a qualche piccola perplessità.

Nulla di particolarmente spiacevole, anche perché Spielberg dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che in certi progetti ci sguazza ed anche bene. Manca qualcosa per poter elevare War Horse al rango di certi capostipiti dell’opera del vecchio Steve, ma la sua prosa rimane lì, pressoché intatta. Non avrà lo stesso mordente di altri lavori, ma siamo ben lungi dal gridare allo scandalo.


Protagonista assoluto è Joey, uno stupendo purosangue nato e cresciuto nella regione britannica del Devon. A conti fatti, abbiamo appena evocato due elementi chiave di War Horse, ossia il cavallo (manco a dirlo) e l’ambientazione. Se nel primo caso la ragione di tale menzione appare evidente, sul secondo caso è bene soffermarsi brevemente. Sono tempi cupi quelli in cui si svolge il film, a ridosso e durante la Prima Guerra Mondiale. Grazie al cielo la sceneggiatura non cede (anche se era lecito temerlo) alla tentazione di illustrarci il mondo non ancora in guerra come una sorta di Paradiso Terrestre.

A sud del Regno Unito non è certo l’agiatezza a farla da padrone. In questo contesto, il giovane Albert Narracott (Jeremy Irvine) si invaghisce di un puledro che conosce da quando è uscito dal ventre della madre. Tali eventi non sono altro che prodromi a quanto avverrà di lì a poco, quando il padre del giovane paga una cifra esorbitante per portarselo a casa, già grande ed in piene forze. In realtà questa svolta non avviene sotto i migliori auspici, visto che per accaparrarselo Narracott senior spende una somma che non possiede neanche alla lontana.

Non avremmo descritto quanto appena riportato se non fosse stato indispensabile per inquadrare lo scenario. Joey, questo è il nome che Albert dà al suo cavallo, dimostra immediatamente di non essere un semplice quadrupede. Più avanti gli verrà affibbiato l’appellativo di “cavallo miracoloso”, e non per nulla. Come spesso accade, in origine i miracoli hanno tutta l’aria di essere disgrazie.

Non a caso è strettamente legata al nostro simpatico protagonista una delle tematiche cardine su cui poggia l’intera sceneggiatura, ossia quella relativa alla perdita. Per l’intera durata del film seguiamo le vicende di questa povera bestia, mentre si divincola tra una tragedia e l’altra. In realtà, però, di volta in volta, alla sua storia ne vengono incastonate altre, tante quante sono le persone che incontra lungo il proprio cammino.

Questo tuffo da un contesto a un altro, che tocca persone appartenenti a tre nazioni diverse (Francia, Inghilterra e Germania), rappresenta uno dei limiti in termini d’immersione. Non facciamo a tempo a far nostro il retaggio di un particolare personaggio, che subito la scena si sposta altrove. Il risultato è che spesso e volentieri si ha l’impressione di assistere a situazioni dal potenziale “interrotto”, per così dire, seppur in maniera funzionale alla trama.

In sede di script, ciò potrebbe essere stato dettato dall’esigenza di mantenere alto e costante il focus sul protagonista equino, anche se non è impensabile una resa migliore sullo schermo. Il percorso di Joey si trasforma in un viaggio on the road che tocca più tappe, diverse tra loro ma tutte accomunate da quell’unica minaccia che è la guerra. Guerra, peraltro, vista da più prospettive: da chi la combatte sul campo a chi la vede a stento. Ma tutti ne sono in qualche modo travolti.

Alla fine della fiera, ciò che rende meno intollerabile una situazione così tremenda è proprio la presenza di Joey, più umano degli umani stessi. E’ un tema caro a Spielberg quello dell’antropomorfizzazione di creature altre rispetto all’uomo – che si tratti di un dinosauro, di un extraterreste o di un robot, poco importa. Ecco perché, come abbiamo accennato in apertura, War Horse può dirsi riuscito.

Salvo non tollerare proprio certi messaggi, nemmeno tanto velati, di cui pressoché da sempre si è fatto portavoce questo regista, la pellicola in questione da un logico seguito alla sua opera. E’ quasi impossibile fare a meno di scorgere la sua verve, marchio di fabbrica di Spielberg. Possiamo riscontrarlo nella tenerezza di alcuni personaggi, nell’ilarità di certi episodi, nonché in quello che forse è l’aspetto su cui è stata calcata di più la mano, ossia il finale. Se avrete modo di vedere questo film, scommettete con il vostro vicino di poltrona su come finisca. Nove su dieci avrete indovinato.


Ma non è certo tutto. Dobbiamo dar ragione del fatto che per quanto ci riguarda il film è stato gradito. Perché Spielberg, piaccia o meno, non significa solo quanto abbiamo molto schematicamente riportato. La sua presenza implica anche un’ingente quantità di denaro spostata per dar vita alle sue creazioni. War Horse non è da meno. In tal senso non possiamo esimerci dal menzionare l’ottimo lavoro operato in sede di scenografia durante le fasi in cui la scena si focalizza sulla battaglia vera e propria. Poche le licenze, è vero, ma trattandosi di sequenze assolutamente coerenti con quanto s’intende raccontare, bisogna necessariamente assegnare più di un punto a questa parte dell’opera, per via dell’ottimo lavoro compiuto. L’immaginario storico della guerra di trincea è stato qui riconfermato alla grande, come nei migliori film di genere. Ed anche in tale contesto, in una particolare sequenza sul finire del film, Spielberg riesce a metterci del suo inserendo un’ennesima vicenda che coinvolge due soldati di fazione opposta. Scena surreale questa, ma che in fondo funziona più che bene, pur spingendo al limite la credibilità di quanto avviene. Tutto a favore del messaggio però, s’intende.

Insomma, War Horse è un film costruito per piacere – qualche malizioso potrebbe aggiungere “anche troppo!“. Discutibili rimangono certe scelte, come, per esempio, quella di far dialogare tra loro in inglese (da noi in italiano, chiaramente) francesi e tedeschi. Vuoi per il doppiaggio, vuoi per via di una differente sensibilità, anche questo tende a spezzare un ritmo che in altre occasioni tocca vette leggermente più alte, anche senza decollare del tutto.

E che dire del cast? Alcuni potrebbero uscirsene col termine, senz’altro dispregiativo, di anonimo. Ma quello che per certuni potrebbe fungere da pretesto per gettare discredito, noi lo valutiamo come una decisione ponderata. Non c’è un interprete che spicchi realmente, seppur giocoforza le menzioni di Albert e soprattutto di Joey sembrerebbero scontate. No, l’enfasi non viene posta sulle interpretazioni dei singoli, bensì quest’ultime vengono subordinate all’esaltazione di determinati argomenti, come la lealtà, l’amicizia, l’abbandono o l’orrore della guerra, quale che essa sia. D’altro canto, a parte David Thewlis, Emily Watson e l’ultimamente parecchio quotato Tom Hiddleston, non si registrano volti abbastanza noti al grande pubblico.

Alla luce di quanto appena rilevato, dunque, il consiglio è quello di optare per l’approccio a War Horse senza lasciarsi inebriare dal gigantesco nome di colui che si è seduto dietro la macchina da presa. Pur consapevoli di assistere ad un film da cui sapete cosa aspettarvi, queste stesse aspettative non devono eccedere tali premesse. Con una simile predisposizione, avulsi da logiche secondo cui “è Spielberg, dev’essere per forza un capolavoro!“, quello che potreste trovarvi di fronte è una pellicola gradevole, tutt’altro che impegnata e capace di strappare qualche lacrima e qualche bonario sorriso a grandi e piccini.


War Horse (Drammatico – Guerra, USA, 2011). Di Steven Spielberg, con Jeremy Irvine, Peter Mullan, Emily Watson, David Thewlis, Benedict Cumberbatch, Stephen Graham, Tom Hiddleston, Niels Arestrup, Celine Buckens, David Kross, Patrick Kennedy, Rainier Bock, Nicolas Bro, Leonard Carow, Robert Emms, Rainer Bock, Pauline Stone ed Irfan Hussein. Nelle nostre sale dal 17 Febbraio.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 5,5
Voto di Simona: 5/6
Voto di Gabriele: 7