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World War Z: Recensione in Anteprima

Non chiamatelo «un film sugli zombie». World War Z riprende il più classico ed abusato dei filoni fantascientifici a sfondo apocalittico e ci immerge in un modo oramai rotto da una terribile epidemia su larga scala. Eccovi la nostra recensione

pubblicato 19 Giugno 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 13:11

Immaginate un modo alla deriva, la cui popolazione viene decimata ad una velocità disarmante. Città in preda al delirio, grattacieli fumanti ed urla, strepiti, pianti in ogni dove. Poi il silenzio. Già visto, eh? Sapevamo di non esigere da voi chissà quale sforzo d’immaginazione, ed evidentemente anche gli autori di World War Z hanno preferito optare per un approccio vagamente familiare.

Il film comincia incalzandoci a mo’ di documentario à la National Geographic, attraverso il montaggio ossessivo di estratti di telegiornali alternati ad immagini naturalistiche. Ci si fa una certa idea in queste prime fasi, e non è detto che non abbiano un loro perché. Ma se così sarà, lo scopriremo soltanto nel già preventivato sequel.

In una normale giornata feriale, Gerry Lane (Brad Pitt) e la sua invidiabile famigliola si accingono a presentarsi presso i rispettivi posti di lavoro. L’atmosfera è quella idilliaca da spot tv consumato, con i quattro componenti che ridono e scherzano sgranocchiando la colazione a casa ed improvvisando un tenero giochino mentre aspettano in fila che la coda di automobili torni a scorrere. Senonché quel traffico è dovuto ad un motivo: l’esercito sta cercando di contenere un’epidemia che ha oramai preso il sopravvento. Un quarto d’ora ed un autotreno ribaltato dopo, il lapidario verdetto: «Philadelphia è andata. L’abbiamo persa!».

Giunti nella base di fortuna predisposta ad hoc per cercare di comprendere quale sia la situazione – ma soprattutto perché – viene per la prima volta menzionato quel termine, «zombie». A scanso di equivoci, chiariamo tale punto: non si tratta di zombie, bensì di infetti, ben più simili a quelli visti in 28 giorni dopo. Perché con quelli di romeriana memoria non c’entrano nulla. Ma fin qui non ci strappiamo certo le vesti, accettando, nostro malgrado, l’equivoco.

Il valzer di scene-limite ha inizio di lì a poco, quando World War Z resta impotentemente imbrigliato all’interno di una rete di assurdità esagerate. Il primo di questi episodi altro non rappresenta che l’eliminazione più infame che uno sceneggiatore abbia scritto negli ultimi anni almeno, e riguarda il giovane dottore mandato in missione per osservare da vicino l’evolversi dell’epidemia. Vorremmo tanto descrivervela, ma rischieremmo di sottrarvi impunemente il piacere di una sincera risata; specie quando un tizio si avvicinerà al corpo esanime misurandone il battito per poi confermare: «è morto».

Sì perché in realtà la spedizione ricattatoria alla quale si unisce uno svogliato Gerry, sancisce l’inizio di un percorso dove non mancheranno scene palesemente quanto involontariamente comiche. Ci torneremo. Intanto è altresì corretto evidenziare come lo scenario sinora descritto non tarpi proprio in toto le ali a questa pellicola. In talune occasioni si riesce a preservare, anche se a costo di molta fatica, quel tono moderatamente teso in cui si aspetta l’attacco di un infetto o una nuova imboscata – ad ogni modo, visto che l’abbiamo citato, non ci avviciniamo neanche alla lontana ai livelli del film di Danny Boyle, dove la presenza-assenza dei mutanti era ben più palpabile e gestita con maggiore abilità. Qualche colpo d’occhio interessante, per lo più all’inizio, con quelle ampie panoramiche su una Philadelphia oramai in preda al caos totale, e poco altro.

Ma se ci riferiamo all’azione, beh, qui World War Z evidenzia ulteriori limiti. L’intera prima parte è contraddistinta da un’azione caotica, pressoché incomprensibile, demerito di una lunga serie d’inquadrature strettisime e colpevolmente instabili. L’apice lo si raggiunge sul finire di questa scena, quando viene inquadrata la città all’altezza della strada, con una notevole profondità di campo: anche qui, inspiegabilmente, la macchina da presa trema in maniera vistosa. Ok, c’è stato uno scoppio, ma questa soluzione genera un effetto del tutto fuori luogo.

In generale Marc Forster per circa metà film predilige queste inquadrature più inusuali, sempre ravvicinate, specie all’inizio e fuori dalle fasi per così dire concitate. Scelta da noi non condivisa, ma che, a differenza di quanto fatto poco sopra notare, ha un suo perché ai fini della costruzione di un contesto che, specie all’inizio, si vuole in qualche modo ancorato al reale, o per lo meno al verosimile.

Ma a questo punto tocca riallacciarci a quel registro immancabilmente comico, frutto di alcune scelte difficilmente spiegabili in fase di sceneggiatura. Potremmo citare l’atterraggio di fortuna su Cardiff, dopo che il biondo e piacente protagonista ha pensato bene di far esplodere una granata all’interno di un aereo di linea bielorusso. Oppure la telefonata compromettente della moglie, che rischia di vanificare sul nascere la missione di salvataggio del mondo. Gli infetti che piovono su Gerusalemme come fossero rane bibliche, ed altro ancora. Ma all’interno di questo strabordante calderone, il momento di fantascienza più alta lo si raggiunge progressivamente, quando alla fine ci si rende conto che il merito della pericolosa operazione va allo sforzo congiunto di ONU e OMS (Organizzazione mondiale della sanità), che dispiegano le proprie forze, seppure rimaneggiate, nel tentativo di mettere al sicuro il genere umano. Autori di fantascienza sparsi per il globo… scacco matto!

Se dobbiamo prendere atto che un film costato circa 200 milioni di dollari debba a tutti i costi funzionare, nondimeno si erge perentorio il dovere di ammettere che c’è modo e modo di esercitare la propensione ad imporsi come crowd pleaser. Eccitare le masse toccando i tasti giusti, perché un lavoro così esoso non può sbagliare, è un conto; riservare loro un un impegno così approssimativo, abbassando l’asticella di una tacca ancora, è un altro. Il punto è che, con ogni probabilità, World War Z andrà bene al botteghino, senza contare che la critica d’oltreoceano pare stia apprezzando. Ma cosa rispondere a chi parla di film provocatorio, profondo, intelligente, addirittura il «miglior film sugli zombie dai tempi de La notte dei morti viventi» (sic)?

A voler scavare più a fondo, a prescindere dalle rispettive sensibilità, World War Z si guarda oggettivamente bene dal fornire qualsivoglia risposta, lasciando una porta spalancata tanto in funzione delle premesse che dell’epilogo. Se perciò qualcuno vorrà spiegarci da quale materiale ha attinto per una così diligente speculazione, saremmo più che lieti di ascoltarlo. Se l’arguzia sta nell’aver lasciato ampi margini di intervento in vista di operazioni future, allora potremmo anche essere d’accordo. Per il resto trattasi per lo più di spettacolo, la cui resa rimane ampiamente discutibile. Certamente non provocatoria, semmai rischiosamente banale. Nota di colore, nonché parzialmente campanilistica: la presenza di Pierfrancesco Favino.

Voto di Antonio: 4,5
Voto di Federico: 5
Voto di Gabriele: 4
Voto di Carla: 7

World War Z (Azione-Fantascienza, USA, 2013) di Marc Forster. Con Brad Pitt, Mireille Enos, James Badge Dale, Daniella Kertesz, Matthew Fox, David Morse, Fana Mokoena, Abigail Hargrove, Katrina Vasilieva, Julia Levy-Boeken, John Gordon Sinclair, Féodor Atkine, Sarah Sharman, Julian Seager, Michiel Huisman, David Andrews, Lee Nicholas Harris, Trevor White, Iván Kamarás, Elyes Gabel e Eric West. Nelle nostre sale dal 27 Giugno.