XXY: il maschile, il femminile e la critica del web
Da me XXY di Lucia Puenzo non è nemmeno arrivato, capisco che l’ermafroditismo sia un tema difficile da trattare ma se poi fanno film e non li distribuiscono… Vediamo il parere della critica internettiana:Da Mymovies:In concorso alla sessantesima edizione della settimana della critica e vincitore del Prix de JeunesseXXY è una pellicola asciutta, a basso
Da me XXY di Lucia Puenzo non è nemmeno arrivato, capisco che l’ermafroditismo sia un tema difficile da trattare ma se poi fanno film e non li distribuiscono… Vediamo il parere della critica internettiana:
Da Mymovies:
In concorso alla sessantesima edizione della settimana della critica e vincitore del Prix de JeunesseXXY è una pellicola asciutta, a basso costo, e senza troppe pretese estetiche. La camera a mano e una colonna sonora molto discreta, fanno sì che non si perda mai di vista il punto centrale di tutta la narrazione: la diversità e l’essere accettati socialmente. La regista argentina porta sullo schermo un tema originale su cui il cinema non ha mai speso molte energie, e lo fa con discrezione e accuratezza, senza sbavature e intenti pedagogici, riprendendo con l’occhio esterno della macchina da presa una storia di vita vera, per permettere a tutti, usciti dalla sala, di saperne qualcosa in più sulle vite degli altri.
Da SentieriSelvaggi:
E non e’ certo un merito da poco aver trattato un tema cosi’ scottante con delicatezza, rifuggendo da qualunque pietismo o facile commiserazione: il problema, semmai, e’ un altro. Ed e’ quello che, forse per un peccato di gioventu’, ha costretto la regista a non sapersi limitare, a non mettere a freno certe pericolose escursioni narrative che appesantiscono la pellicola che avrebbe altresi’ goduto di una leggerezza quasi fantasmica, di un’incosciente viaggio sulla luna a bordo di una lambretta. Anche perche’ non mancano le soluzioni visive che catturano l’occhio e il cuore dello spettatore: la scena della doccia tra le due ragazzine, ad esempio, che riesce a tenere ben lontane certe pruriginose fantasie saffiche ma anche a solleticare strane derive della diegesi, oppure quella del temporale, nella quale Alex e Alvaro sembrano studiarsi a distanza, quasi come se si trovassero di fronte ad un dilemma molto piu’ grande di loro, inconoscibile come la natura misteriosa. Ed e’ l’acqua l’elemento che riunisce queste due scene, ma anche piu’ in generale l’intero film: un’acqua che, probabilmente, non purifica ma accoglie e difende chi vi entra in contatto, una sorta di “grande madre natura” che protegge i propri figli dalle iniquita’ degli esseri umani.
Da IlMeridiano:
Per fortuna il cinema non è solo blockbuster made in Usa. Se si pesca nel mazzo delle distribuzioni, se si è capaci di rivolgere lo sguardo altrove senza pregiudizi, si trovano bellissime opere di un cinema “altro”. Ovvero quella filmografia non urlata, a basso budget e di grande valore artistico. Come nel caso di “Xxy”, della trentunenne Lucia Puenzo, criticato “scientificamente” ma ben accolto dalla critica a Cannes. È un film intenso, vibrante sulla diversità, sull’importanza e la difficoltà di saper scegliere in una società omologante e benpensante. (…) Lucia Puenzo con “Xxy” compie sul tema della “sessualità altra” un’operazione filmica delicata e allo stesso tempo forte, grazie ad una magistrale capacità narrativa che si fonda sulla pregnanza del significante cinematografico. In questo modo, i silenzi, gli sguardi e i luoghi diventano un unicum che lavora sinergicamente allo svelamento del dramma di Alex (la straordinaria Ines Efron). (…) Ma ben inteso, “Xxy”, nonostante la difficoltà e la delicatezza dei temi trattati, non è assolutamente un film pedante e difficile. Tutt’altro. Purtroppo però, è piuttosto facile ipotizzare che saranno in pochi a vederlo e che al botteghino attingeranno a piene mani i soliti noti. Per carità. Non si vuole fare del moralismo al contrario. Ma perdere questo film è davvero un peccato. Comunque la si pensi.
Dal Corriere:
(…) Esordiente di talento, la Puenzo ha i doni congiunti della stringatezza e della leggerezza, un modo pulito e incisivo di attraversare le situazioni imbarazzanti. E proprio raccontando in maniera quasi diaristica un caso tutt’altro che impossibile, ma certo raro, la regista sa conferirgli un’imprevista universalità alla ricerca di una qualità poetica. Per cui il dramma dell’ermafrodito che non potrà forse mai inserirsi nel contesto della società diventa una metafora del male di vivere di cui soffrono i diversi di qualsiasi specie. Potrebbe essere Cechov il modello remoto da cui l’autrice ha mutuato lo sguardo che la fa osservare con tanta intensità e serietà, con tanto strazio per lo più taciuto, un gruppo di esseri umani volontariamente isolati dal resto del mondo e in difficoltà nel rapportarsi gli uni con gli altri.